sulla buia situazione attuale
dominata dalle nuove tecnologie
che annullano
ogni senso critico.
-
di Alessandra Galetto
Se
dunque il lavoro precedente dello psichiatra, sociologo, saggista
e opinionista esortava a «Mordere il cielo» in risposta alla
preoccupante constatazione dell’eclissi della nostra sfera emotiva, qui pare
che la questione sia ancora più grave.
Da
che mondo è mondo despoti, potenti, dittatori, ma anche semplici cittadini
(basterebbe pensare alle relazioni sentimentali e familiari) hanno temuto il
pensiero libero. La storia insegna che i conflitti sono nati per sradicare,
impedire, punire chiunque abbia cercato di esprimere le proprie opinioni. Il
fatto è che non ci siamo accorti di quello che stava succedendo, siamo partiti
con il cellulare e poi ondata dopo ondata - ondate da una parte silenziose,
dall’altra ammalianti - eccoci qui: stiamo lambendo un imprevisto quasi
paradossale, un limite che silenziosamente sta facendo regredire la civiltà
invece di garantirne un progresso. Una muraglia invisibile per secoli ha
sfidato l’umanità più coraggiosa, ora sembra illuderla.
L’intelligenza
artificiale fa il suo lavoro in modo coerente con il suo business, ma sono gli
stessi promotori di questa tecnologia che ci hanno messo in guardia sui rischi.
Questi meccanismi di dipendenza ormai sono globali, nel senso che sono diffusi
ovunque nel nostro pianeta. Qualcosa è andato storto, ormai questo è evidente
anche a chi non vuole ammetterlo e preoccuparsene: viviamo una contraddizione
lacerante. Vedo attorno a me gente confusa che in parte cerca nuove parole,
mentre altri percepiscono una visione assottigliata dalle proprie, smisurate
necessità individuali. Come se, abbattendo nuovi muri e pronunciando parole che
solo qualche decennio fa sarebbero sembrate blasfeme, improvvisamente fossimo
dominati dall’eco silenzioso di nuove paure generate dall’angoscia che quelle
stesse nuove forme di libertà siano improvvisamente diventate abbagli, azzardi,
pericoli, insuete forme di ansia e di inquietudine. Addomesticare le parole,
quindi il pensiero che le genera, porta alla normalizzazione che fa parte di
una regola del nuovo marketing ideologico. Temo che possa accadere qualcosa di
più: che si faccia avanti l’esigenza un nuovo “codice” che disciplina il
pensiero.
Non
saranno più la morale, l’etica o i sensi di colpa, ma un ritorno indietro
all’idea che le parole, ma soprattutto l’ispirazione che le genera, debbano
essere auto-inibite. Una forma di censura autoindotta che permetta un
asservimento di massa. Il reato di pensare inciderà sulla reciprocità, così
svanisce la contaminazione culturale, emotiva, relazionale. Si arriva a essere
atterriti delle proprie idee, dall’idea e dalla necessità di esporle. Alla
radice di ogni forma di libertà c’è il pensiero, l’esercizio del libero
arbitrio. Se per la prima volta nella storia dell’umanità si decidesse che per
seguire le regole del mercato e della politica si deve proibirlo, che ne sarà
della nostra immaginazione, del nostro genio che nasce dalla disubbidienza
all’omologazione?
I
più penalizzati sono i geniali, che sono da sempre fuori dal coro. Quante forme
di “politicamente corretto” stanno distorcendo la formazione dell’ideazione,
quanti veti ideologici e contro- ideologici stanno costruendo nuove gabbie
invisibili ma paralizzanti, quante censure e autocensure ci stiamo imponendo
pensando che siano nuove forme di libertà?
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