Un’atmosfera.
Solo il senso critico
elimina
l’inquinamento"
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“Internet e i social sono
un’atmosfera: inquinata o meno, la respirano tutti. L’importante è avere una
maschera che la depuri. Questa maschera è il senso critico". La voce del
cardinale Gianfranco Ravasi arriva dalla Roma vaticana
limpida, cordiale. Non racconta dell’età che, per norma canonica, tiene lontano
il biblista e teologo dai grandi incarichi a cui è stato chiamato. Fra i quali
la guida del Pontificio consiglio della Cultura, di cui è presidente emerito.
Eminenza, Internet sta cambiando la nostra vita: in meglio o
in peggio?
"Serve una premessa. Per una figura mitica come Marshall
McLuhan (sociologo canadese teorico del villaggio globale, ndr ) i mezzi di
comunicazione sono un’estensione della persona. Telefono, televisione, il
telescopio... erano protesi dei sensi umani. Oggi invece sono un ambiente. Ci
viviamo immersi. Quest’atmosfera ci impegna, ma ci rende anche schiavi. Il
filosofo Luciano Floridi parla di infosfera. Un altro strato che avvolge il
globo. Un’aria che è anche inquinata. Ma molti la maschera della capacità critica
non la vogliono o non ce l’hanno".
Allora il web ci peggiora...
"Non necessariamente. Vorrei dare un messaggio
equilibrato. Umberto Eco distingueva gli uomini davanti alle novità fra
’apocalittici’ e ’integrati’. Non si può essere apocalittici, ma integrandosi
ci si adatta anche alla parte corrotta".
L’immagine è tutto sui social. È lavoro, risorsa economica,
relazione fra persone... E spesso qualcuno ne resta vittima.
"Vedo tre rischi fondamentali. Il primo è per i nativi
digitali. C’è una moltiplicazione esponenziale dei dati disponibili. Questo può
produrre un’anarchia intellettuale e morale... Guardi gli studenti e le loro
tesine. Su ogni singolo vocabolo ci sono 20mila risultati. Chi li aiuta a
selezionare? Vengono sconvolte le gerarchie oggettive dei valori. Il filosofo
seicentesco Thomas Hobbes scriveva ’la regola la fa l’autorità, non la
verità’".
Secondo rischio?
"Solo in apparenza c’è una democratizzazione. Dietro la
deregulation della globalizzazione informatica si nasconde una sottile
operazione di condizionamento. Il controllo delle grandi corporation. C’è poi
un terzo pericolo: il trionfo delle fake news, delle fandonie travestite da
verità pseudo-oggettiva. E poi c’è la parola colorata...".
Ovvero?
"La parola che spicca: violentissima, degenerata,
minacciosa. Attraverso questi meccanismi diventa comune, accettata. E poi torna
nel mondo reale e si trasforma in violenza. Si dice che i giovani stiano
perdendo l’udito. Forse è il volume delle cuffie, forse è evoluzione. Presto
non saremo più in grado di sentire i pianissimo della musica. Lo stesso è per
le parole".
È pessimista?
"No. Il realismo non giustifica il pessimismo
radicale".
Politica e istituzioni promettono nuove regole.
"Dobbiamo interrogarci e agire. Non solo per
l’intelligenza artificiale, di cui tutti parlano. Bisogna partire dalle basi.
Serve educazione informatica. Non solo per la tecnica, ma per i fornire
capacità critica. Ci sono esperienze in Francia e in Israele. La scuola è il
luogo giusto. In classe non bisogna solo istruire, inserire dati, ma anche
educare, fare uscire la persona nella propria umanità. Oggi la scuola è quasi
muta, come la cultura. Mancano figure che sapevano incidere, come don Lorenzo Milani,
padre Turoldo, Norberto Bobbio. Presenze vive, che educavano. La Chiesa,
nonostante le difficoltà, ha un ruolo importante. E quella di Papa Francesco è una figura che incide...".
Proprio in questi giorni ha parlato di social e Vangelo.
"È un tema su cui torna spesso. Ha parlato anche di
intelligenza artificiale, etica e pace. E ha paragonato quelle che ho definito
’parole colorate’, offensive e corrotte, alla guerra. Certe volte, come
vediamo, fanno vittime reali. La Chiesa non sarà più quel cuore del villaggio a
cui la domenica tutti accorrevano, ma è una presenza che cerca una nuova
strada".
Ci sono sacerdoti che, fra alterne fortune, sui social fanno
evangelizzazione.
"Vero. Anche io uso Twitter".
E cosa le insegna Internet?
"Che se interpelli direttamente, spesso hai una risposta
creativa. C’è chi dice qualcosa. Certo, c’è anche chi attacca a prescindere.
Però segue. Nella storia dell’arte il crocifisso è spesso oggetto di attacco.
Ma se si sente il bisogno di farlo è perché è un simbolo forte. E questa è
epoca di simboli, più che di astrazione. E in fondo la tecnica di Gesù è molto
simile a Twitter. I suoi ’loghia’, i suoi detti sono più sintetici di un
cinguettio. ’Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio’ in
greco sono forse solo 53 caratteri...".
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