Una delle cause è l'impoverimento del linguaggio.
Diversi studi dimostrano infatti la correlazione tra la
diminuzione della conoscenza lessicale (e l'impoverimento della lingua) e la
capacità di elaborare e formulare un pensiero complesso.
La graduale scomparsa dei tempi (congiuntivo, imperfetto,
forme composte del futuro, participio passato) dà luogo a un pensiero quasi
sempre al presente, limitato al momento: incapace di proiezioni nel tempo.
Un altro esempio: eliminare la parola "signorina"
(ormai desueta) non vuol dire solo rinunciare all'estetica di una parola, ma
anche promuovere involontariamente l'idea che tra una bambina e una donna non
ci siano fasi intermedie.
Meno parole e meno verbi coniugati implicano meno capacità di
esprimere le emozioni e meno possibilità di elaborare un pensiero.
Gli studi hanno dimostrato come parte della violenza nella
sfera pubblica e privata derivi direttamente dall'incapacità di descrivere le
proprie emozioni attraverso le parole.
Più povero è il linguaggio, più il pensiero scompare.
La storia è ricca di esempi e molti libri (1984, di George
Orwell; Fahrenheit 451, di Ray Bradbury) hanno raccontato come tutti i regimi
totalitari abbiano sempre ostacolato il pensiero attraverso una riduzione del
numero e del senso delle parole.
Se non esistono pensieri, non esistono pensieri critici. E
non c'è pensiero senza parole.
Facciamo parlare, leggere e scrivere i nostri figli, i nostri
studenti. Insegniamo e praticare la lingua nelle sue forme più diverse. Anche
se sembra complicata. Soprattutto se è complicata.
Perché in questo sforzo c'è la libertà.
Coloro che affermano la necessità di semplificare
l'ortografia, sfrondare la lingua dei suoi “difetti”, abolire i generi, i
tempi, le sfumature, tutto ciò che crea complessità, sono i veri artefici
dell’impoverimento della mente umana.
Non c'è libertà senza necessità.
Non c’è bellezza senza il pensiero della bellezza.»
Lo studio è stato condotto da due ricercatori del Centro Ragnar Frisch per la ricerca economica in Norvegia, Bernt Bratsberg e Ole Rogeberg, che hanno esaminato un ampio campione di dati del quoziente intellettivo di giovani militari in Norvegia, per un periodo di quasi 40 anni. I risultati sono pubblicati sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America.
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