Le
riflessioni del vescovo
Nunzio Galantino,
tra sfide del presente e verità
immutabili
- - di MIMMO MUOLO
Parole.
Spesso fiumi, come direbbero i Jalisse. Talvolta da scagliare contro gli altri,
sempre meno spesso da custodire nel nostro cuore. O in generale, come fa
osservare Claudio Magris, sempre più sottoposte a «un’insopportabile torsione».
Le parole che maneggia il vescovo Nunzio Galantino, presidente emerito
dell’Apsa e in precedenza segretario generale della Cei, sono invece oggetti
preziosi, essenziali, delicati ma anche formidabili, per comprendere il mondo e
il senso della vita. Sono le parole che il presule distilla nei suoi interventi
domenicali su Il Sole 24 ore nella rubrica “Abitare le parole” e ora raccolti
in un volume intitolato
Oltre
la superficie – Liberare la luce nascosta nelle parole.
In
8 capitoli e circa 300 pagine l’autore riflette volta a volta sulle impronte
che restano, sulle esperienze di senso, sulle preziosità da custodire e i pesi
da portare con leggerezza, oltre che sui tornanti sulla nostra storia, la
spiritualità e il dialogo sempre più necessario.
«Scrivere
parole – sottolinea nell’introduzione – facendo incontrare il silenzio, grembo
che le genera, e il cuore di chi le legge è un esercizio spirituale per me. Non
solo letterario. Qualche volta le parole possono far male. Ma, per quel che mi
riguarda, sono sempre animate dal desiderio di risvegliare attese sopite ed
emozioni inaridite, riscaldare i cuori provati dalla sofferenza e rimettere in
gioco la voglia di osare». Ed è proprio questo che si prova sfogliando le
pagine di Galantino. Non è un libro questo da leggere tutto d’un fiato, semmai
da assaporare poco alla volta come quei vini d’annata che una volta aperti
rivelano il loro bouquet solo dopo un po’ e cambiare sapore dalla prima
all’ultima boccata. Grazie anche a una ricchissima rete di rimandi (una
semplice occhiata all’indice dei nomi in fondo al volume ce ne dà la prova), e
di citazioni mai fini a se stesse, ma sempre funzionali al pensiero che si
intende sviluppare, i paragrafi e i capitoli aprono nuovi orizzonti,
suggeriscono punti di vista originali, correggono (ma sempre con gentilezza)
modi di pensare e di agire che pur essendo maggioritari non sono parenti
stretti della verità evangelica e perciò semplicemente umana. L’impressione è
di trovarsi di fronte a una tavola imbandita in cui vi sono una serie di
pietanze nutrienti: possono essere passi della Bibbia, riflessioni di filosofi,
descrizioni di quadri o di opere d’arte, reminiscenze letterarie. Tutto in
sostanza concorre ad aumentare la fame di conoscenza del lettore.
Un'operazione di salvataggio
Come
scrive Luigi Verdi, fondatore della fraternità di Romena nella postfazione,
questo libro e la rubrica che lo ha generato, è una sorta di arca e il lavoro
di Galantino è una operazione di salvataggio. Ogni parola «viene fatta salire a
bordo, riabbracciata, e poi curata, ripulita, recuperata. Solo allora riprende
contatto davvero con ciò che rappresenta, un valore, un pensiero, un
sentimento, una qualità». Per questo il libro del vescovo di origine pugliese
va davvero oltre la superficie. Il cardinale José Tolentino de Mendonça,
prefetto del dicastero vaticano per la Cultura e l’educazione, nota giustamente
nella prefazione che «questo volume costituisce una riflessione antropologica
aperta sul presente». Una sorta di «opportunissima grammatica dell’umano con
l’intento di contribuire all’urgente riflessione circa le questioni
fondamentali che si pongono in questo momento di transizione epocale e di
mutamento culturale». E in questo senso diventa perciò responsabilità che, non
intendendo rinunciare all’analisi della realtà, resta fedele alla terra,
all’uomo e in definitiva al Dio di Gesù Cristo.
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