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- -di Luigino Bruni
La gratuità non coincide con l’altruismo. È un atteggiamento,
una dimensione dell’azione, che dice qualcosa sulla natura e anche sulle
motivazioni di chi agisce. Gli esseri umani sono capaci di gratuità, quindi di
amore puro e incondizionato, sebbene aiutati, per la fede cristiana, dalla
charis donata loro da Dio. La gratuità, allora, è quella dimensione dell’agire
che porta ad avvicinarsi agli altri, a sé stessi, alla natura, o a Dio non in
modo puramente strumentale, ma attribuendo all’azione un valore intrinseco, e
in vista del bene.
Occorre poi distinguere tra gratuità e due parole che le sono
confinanti: dono e incondizionalità. Se la gratuità non è un contenuto
dell’azione ma una modalità di agirla, si capisce che ci può essere un dono
gratuito e un dono non-gratuito (che i latini chiamavano munus), che include
obblighi o pratiche sociali legate a norme. Non tutti i doni sono gratuità, ed
è la presenza della gratuità che fa di un regalo un dono.
Più complesso è il rapporto tra gratuità e incondizionalità.
Certamente chi agisce con gratuità vive una certa incondizionalità, perché non
decide di fare un atto di gratuità a condizione che gli altri facciano
altrettanto. Al tempo stesso, l’incondizionalità non va intesa come se la
gratuità si misurasse dall’assenza di qualsiasi condizione. Se così fosse, la
gratuità sarebbe un sinonimo di disinteresse, ma il disinteresse non è a sua
volta un sinonimo di agape né di charis. Essendo, invece, la gratuità una
modalità di azione, essa può esprimersi in varie forme concrete, dove possiamo
ritrovare anche elementi di condizionalità e di interesse per l’altro, come ben
sanno i genitori nei confronti dei figli, o come ci mostra la Bibbia quando ci
mostra la charis di Dio o di Gesù Cristo, che spesso si traducevano in
richieste e patti caratterizzati da molta condizionalità: basti pensare alla
stessa categoria di Alleanza, o alla parabola del servo spietato.
La prima gratuità
La gratuità, così intesa, è poi essenziale in ogni mercato,
in ogni professione e lavoro, in ogni rapporto, perché è la dimensione
antropologica che più dice l’eccedenza degli esseri umani sugli incentivi e
suoi controlli, e quindi la loro libertà. La gratuità arriva nel mondo,
trasformandolo ogni mattina, attraverso due grandi vie. La prima si trova
dentro di noi, poiché ogni essere umano ha una capacità naturale di gratuità.
La vita stessa, il nostro venire al mondo, è la prima grande esperienza di gratuità.
Ci ritroviamo chiamati all’esistenza senza averlo scelto, perché qualcuno ci
genera e poi ci accoglie senza porci nessuna condizione nel suo atto di
accoglienza. È questo dono primigenio e fondativo la radice di ogni altra
gratuità. Questa nostra vocazione naturale alla gratuità è ciò che ci fa
attribuire un immenso valore alla gratuità degli altri, e ci fa soffrire molto
quando la nostra gratuità non è riconosciuta, apprezzata, ringraziata, e forse
non c’è dolore spirituale più acuto di chi vede la propria gratuità calpestata
dagli altri, offesa, fraintesa.
La seconda via maestra di gratuità sono i carismi. Ogni
tanto, e molto più spesso di quanto si pensi, arrivano nel mondo persone con
una vocazione speciale di gratuità. Tra queste persone ci sono gli artisti, che
si ritrovano dentro un dono, di cui non sono i proprietari, che costituisce
l’essenza della loro vocazione artistica. In passato molti portatori di carismi
operavano soprattutto all’interno delle religioni, o delle grandi filosofie.
Oggi si trovano anche in altri luoghi dell’umano: dall’economia alla politica,
dall’ambientalismo ai diritti umani. Ce ne sono molti, ma raramente abbiamo la
capacità culturale e spirituale per riconoscerli. I carismi aumentano e
potenziano la gratuità sulla terra, e la fanno risvegliare o risuscitare in
quelli che li incontrano. Trovano il “già” della nostra gratuità e fanno
fiorire il “non ancora”. Ogni incontro vero con un carisma è l’incontro con una
voce che interpella la nostra gratuità, e se sembra morta le dice: «Talitha
kum».
Una dimensione dei carismi e della gratuità-charis è la loro
“naturalezza”, che li affratella alla terra
e ai bambini e ci rivela la gratuità nascosta, misteriosamente ma
realmente, nella natura. Quando si incontra un autentico portatore di carisma,
sia esso un cooperatore sociale o una fondatrice di una comunità religiosa, la
prima e più radicale esperienza che si fa è la sensazione fisica di incontrare
persone che ti vogliono bene, e fanno bene al mondo, solo con il loro esserci.
Non ci colpisce il loro volontarismo ma il loro essere semplicemente sé stessi.
Non vedi persone più buone o altruiste di altre, ma gente che è e fa ciò che è.
Perché il carisma non è primariamente una faccenda etica, ma
antropologica e ontologica: è l’essere che si manifesta e splende, e la
gratuità è esercizio ordinario della vita quotidiana (anche se sono necessarie
molte virtù per non perderla lungo il cammino). Così i carismi sono, a un
tempo, la pura spiritualità e la pura laicità. Questa dimensione naturale dei
carismi, ad esempio, fa sì che chi si sente beneficiato da questa gratuità non
si senta debitore, ed è liberato dal debito della riconoscenza che quando
arriva è tutta libertà e gratuità.
La charis arriva nel mondo per il bene di tutti, anche di chi
i carismi non li vede, o li disprezza. Ma vengono soprattutto per i poveri. Se
non ci fossero i carismi, i poveri non sarebbero visti, amati, curati, salvati,
stimati: sarebbero solo gestiti o nascosti per non vederli. È lo sguardo
diverso dei carismi che dona ai poveri speranza, gioia, e spesso li risorge. Ed
è lo sguardo dei poveri che rende viva la charis del carisma.
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