LA MEMORIA PERDUTA
Quello
che stupisce è che ci si meravigli che il passaggio dal Curricolo di Storia al
Curricolo della Memoria non sempre avvenga e che l’incedere idealista dello
“svolgimento della storia che cade nel tempo” non sia poi il modo migliore
perché tutti imparino cosa è accaduto realmente nel passato, perché è accaduto
e – soprattutto – cosa sarebbe meglio non accadesse più
di Stefano Stefanel
In questi ultimi tempi c’è stata un’accelerazione
imprevista di comportamenti e segnali molto preoccupanti per chi ritiene che
alcune verità storiche non possano più essere revisionate, ma debbano soltanto
essere insegnate dentro un sistema naturale di civiltà. Molto spesso, poi,
accade che dal mondo accademico o scolastico si chieda di smetterla con
competenze e curricoli e si torni a conoscenze e programmi. E così i segnali
peggiori vengono ignorati e abbandonati al loro destino senza avere il coraggio
di andare a vedere da che cosa nasce tutta questa confusione revisionistica su
un passato piuttosto recente e incontrovertibile (Shoah, leggi razziali,
alleanza tra Hitler e Mussolini, antisemitismo). Il vecchio mantra di destra “ma
Mussolini ha fatto anche cose buone” si è evoluto, purtroppo, in un
incredibile crescendo di follie interpretative.
Assemblo alcuni fatti a cui ci stiamo assuefacendo e che
sono il sintomo di un mutamento drammaticamente duraturo:
l’insegnante che in classe denigra Liliana Segre dicendo che cerca
solo visibilità; il Comune che attribuisce la cittadinanza onoraria alla Segre,
deportata in quanto ebrea, e poi dedica una via ad Almirante che aveva
firmato il “Manifesto della razza” che ha dato origine alle leggi razziali
che hanno fatto deportare la Segre;un aumento di
italiani (qualcuno ha detto che sono il 15%) che nega la
Shoah; il saluto fascista ridiventato segno di distinzione; le
scritte antisemite sulle porte delle case degli ebrei e sui muti delle
città; il richiamo al comunismo ogni volta che si nomina il
nazismo; il negazionismo su quanto avvenuto nei campi di sterminio. Questo
museo degli orrori è sì un museo “storico” degli orrori, ma questo
uso distorto della storia sta entrando nelle coscienze civiche, alterando
il concetto stesso di civismo che non può svilupparsi dentro queste atroci falsità.
La prima banalità che balza agli occhi è che tutte
queste persone hanno frequentato le scuole pubbliche italiane in cui si
insegna, ormai da più di 70, anni in forma antifascista e
antirazzista la storia del Novecento. La scuola esecra, ma non si interroga sul
perché ciò sia potuto accadere. La scuola italiana ritiene che la
storia si possa insegnare solo in forma storicistica, cioè seguendo nella linea
del tempo l’evolversi degli avvenimenti, dei motivi e delle cause. E così la
storia del Novecento si affronta in terza media (secondaria di primo grado) e
in quinta superiore (secondaria di secondo grado), cioè senza alcuna
connessione temporale e verticale (a 14 anni si studia la storia del Novecento
e a 15 quella dei greci e dei romani: e tutto questo viene ancora definito
logico!), per poi ritornare a studiare il Novecento a 18-19 anni. La battaglia
sul compito di italiano con una traccia di tipo storico continua a pretendere
questa partizione di tipo storico. E la drammatica assenza di verticalità
tra i due ciclo oltre a produrre dispersione, ora mi pare produca anche
revisionismo.
Tutto questo cozza contro la banale considerazione che
l’evoluzione mentale dei ragazzi si evolve più velocemente di un tempo, anche
perché messi a contatto con un mare di nozioni e notizie rinvenibili senza
sforzo critico sul web. Così può accadere (ed è accaduto) che uno studente
faccia un approfondito studio sul passato di suo bisnonno, internato nei campi
di concentramento dai nazisti durante la seconda guerra mondiale e
contemporaneamente sia segretario provinciale di Casa Pound. Non comprendo
perché a nessuno venga in mente che l’insegnamento storicistico della storia
(parto dall’uomo di Neanderthal e arrivo fino a Donald Trump se ci arrivo) sia
un elemento cardine della trasformazione del sapere storico in un semplice
film del passato dove tutto si confonde (la Resistenza come Lepanto, la Prima
Guerra Mondiale come la Guerra dei Trent’anni). E tutto questo avvenga
mentre cresce e si sviluppa il pensiero dello studente e le ideologie
si sedimentano e non sono più scalfibili. Così accade che se un ragazzo tra
i 15 e i 18 anni diventa fascista poi quando in quinta superiore studia la
storia non la collega con la propria ideologia e può al tempo stesso studiare
la Shoah e negarla. Cosa avvenga poi dopo la fine degli studi è sotto gli occhi
di tutti. Quando un’ideologia si è formata – qualunque essa sia – è
difficile da scalfire: e a 18 anni è quasi sempre già formata.
A me pare evidente
che la storia del Novecento si dovrebbe studiare in prima superiore legandosi
strettamente a quanto si è studiato in terza media, prima cioè che la corsa
verso l’ideologia (sia di destra sia di sinistra, sia antifascista sia
revisionista) inizi la sua “fuga” irreversibile. Ma poiché questa
evidenza appare solo a me e l’Università, gli intellettuali, il Miur, gli
studiosi si battono per la Storia del Novecento in terza media e in quinta
superiore assistendo, attoniti, al drammatico fatto per
cui tutti quelli che hanno studiato nelle scuole pubbliche italiane
(statali e private) possano acquisire quanto appreso o negarlo
senza poterci fare nulla. Credo che allora l’unica cosa da fare sia
quella di separare il Curricolo di Storia (che continuerà nel suo incedere
storicista, per cui se prima non si è studiata la Seconda Guerra d’Indipendenza
non si può studiare la Seconda Guerra Mondiale) dal Curricolo della
Memoria. Erodoto non la pensava così e neppure Tito Livio, ma allora la
Storia raccontava i vincitori e non aveva altre pretese. Noi invece abbiamo
attuato una pedagogia scolastica dell’antifascismo per sentirci poi dire da
troppi che Fascismo e Antifascismo sono solo due modi di pensare e tutti e due
leciti.
Potrebbe allora
accadere che il Curricolo di Storia produca le amate conoscenze dentro i sempre
applauditi Programmi, il Curricolo della Memoria, invece, sviluppi dentro
un suo percorso, slegato da rigide partiture annuali, le Competenze
Civiche e di Cittadinanza dove i valori del sapere e quelli del civismo
coincidono. Prima che sia troppo tardi spero nello sdoppiamento, così che il
Curricolo della Memoria aiuti dai dieci ai vent’anni lo studente a
crescere culturalmente su quanto si deve ricordare mentre sviluppa la
sua ideologia, fermando così alcune derive revisioniste, antisemite e naziste
che si annidano nella mente dei giovani mentre sono spinti a studiare il
Medioevo e il Rinascimento.
Il passato non è
ordinato e il suo ordine dentro in manuali è spesso spaventoso, con la storia
della Cina ridotta a qualche paragrafo e quella dell’Islam messa qua e
là. Ma questo Novecento messo alla fine dei due cicli, senza neppure farsi
sfiorare dal dubbio che il passaggio dallo studio della Seconda Guerra Mondiale
(terza media) allo studio di Pericle (prima superiore) non sia così logico come
sembra in uno sviluppo armonico e organico dell’apprendimento.
Quello che stupisce
è, allora, che ci si stupisca che il passaggio dal Curricolo di
Storia al Curricolo della Memoria non sempre avvenga e che l’incedere
idealista dello “svolgimento della storia che cade nel
tempo” non sia poi il modo migliore perché tutti imparino cosa è accaduto
realmente nel passato, perché è accaduto e – soprattutto – cosa sarebbe
meglio non accadesse più.
Nessun commento:
Posta un commento