Più in alto,
ancora
Dal Vangelo
secondo Matteo - Mt 5, 38-48
In quel tempo,
Gesù disse ai suoi discepoli:
«Avete inteso
che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non
opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu
pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la
tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo
per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da
te un prestito non voltare le spalle.
Avete inteso
che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico:
amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate
figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi
e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli
che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E
se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario?
Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il
Padre vostro celeste».
Commento di p.
Paolo Curtaz
Tutto
è nostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il
presente, il futuro.
Papa
Francesco, il movimento che mi ha accompagnato a Cristo, quel maestro di vita
spirituale, il mio cammino di fede, diremmo oggi.
Tutto
è nostro, ma noi siamo di Cristo e Cristo è di Dio.
Questo
possiamo fare per tornare ad essere credenti credibili.
Discepoli.
Cioè seguire gli insegnamenti del Maestro. Senza infingimenti, senza glosse,
senza “ma”, senza annacquare, senza ridurre l’incontro a dottrina, a etica, a
ragionamento, a politica.
E
Cristo, a conclusione dell’immenso discorso delle Beatitudini, dopo avere
chiesto a chi cerca la felicità di fidarsi, di crederci, alza il tiro.
Ha
ragione, il Signore: se facciamo quello che fanno tutti, se amiamo chi ci ama,
se perdoniamo chi poi ci perdona, se prestiamo a chi sappiamo di restituirà,
che facciamo di straordinario?
Il
mondo è pieno di buon senso. Più o meno.
Il
cristiano, quindi, sarebbe solo un brav’uomo più ragionevole degli altri?
No.
Non basta il buon senso.
Ciò
che il mondo ha bisogno è di santità.
Della
santità di Dio che si rifletta nel nostro sguardo, nelle nostre parole, nei
nostri gesti.
Il taglione
Diversamente
da come appare, la cosiddetta legge del taglione era una forma di giustizia
primitiva ma efficace. Contenuta anche nel Codice di Hammurabi, è una limite
alla barbarie, alla vendetta privata. La troviamo nella Torà (Es 21): Ma
se segue una disgrazia, allora pagherai vita per vita: occhio per occhio,
dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura,
ferita per ferita, livido per livido.
L’idea
era quella della proporzione e al tempo di Gesù era previsto un risarcimento
(come scrive il rabbino medievale Rashi di Troyes: Non si intende che
si deve privarlo a sua volta dell’organo menomato).
Alla
vecchia legge del taglione Gesù ne contrappone una inversa: invece della
vendetta suggerisce di accettare un altro torto maggiore di quello ricevuto.
Di
porre la guancia destra, quindi ad un manrovescio, più brutale del solo
schiaffo, a chi ti schiaffeggia.
Alla
Torà (Es 22,25-26) che afferma che alla sera occorre restituire il mantello, la
sopravveste, Gesù dice di lasciargli anche quello, restando in mutande.
Di
ascoltare gli angari, da cui viene angheria, i corrieri
del re che avevano il potere di costringere chiunque a mettersi a loro
servizio, percorrendo più strada di quanta richiesta.
Di
concedere prestiti a vuoto. Sul serio?
Paradosso
In
questo brano Gesù raggiunge certamente il vertice del linguaggio paradossale.
Ma, come fanno notare gli esegeti, non dobbiamo prendere alla lettera le parole
del Signore, quanto capirne l’intenzione profonda, non occorre presentare
materialmente l’altra guancia ai persecutori ma dare possibilità al malvagio di
riflettere sui suoi errori. Non si tratta di subire passivamente i soprusi, di
rimanere inerti davanti alle ingiustizie ma di rinunciare ad ogni rivincita,
anche a qualche diritto pur di cercare di salvare chi ci perseguita.
Gesù
propone un’ascesi paradossale, che disarma l’avversario.
“Gesù
non offriva l’altra guancia quando lo schiaffeggiavano, però morì in croce per
i malvagi, un sacrificio immensamente superiore. I santi del cristianesimo,
salvo casi aneddotici, non si sono esercitati in ingenuità nel regalare il
proprio vestito ad un mendicante o nel raddoppiare il tempo del servizio
militare, ma in ben più ardue rinunce a favore dei perseguitati e dei nemici” (I.Goma).
La
logica del paradosso è sempre presente nell’annuncio evangelico, anche nel
nostro, non è certo tenendo le porte della canonica aperte ai poveri che risolveremo
la questione dell’immigrazione ma i segni che proponiamo sono credibili e
profetici. Questa carica di sovversione evangelica ha caratterizzato la storia
della Chiesa anche se, a dire il vero, a volte la Chiesa si è piegata alla
logica comune, tradendo il Vangelo.
Non violenza
Rispetto
alla non-violenza il cristiano proclama la possibilità del dialogo, lo esercita
fino in fondo ma, alla fine, pone il bene della vita altrui prima di ogni altra
cosa, ammettendo la difesa personale e di chi sia ha intorno.
Da
qui è nata la querelle dell’intervento umanitario, anche
violento. Da qui la guerra giusta di agostiniana memoria, che
tentava di porre un freno alla violenza (De Civitate Dei, IV, 6).
Per
quel che mi riguarda voglio affrontare l’origine della rabbia e della volenza
che trovo in me, che pongo nei miei piccoli gesti quotidiani, che avvelenano le
relazioni.
Per
amare il prossimo, come chiede il Levitico, devo anzitutto imparare ad amare me
stesso.
La perfezione
dell’amore
Alla
fine capitolo delle Beatitudini, Gesù pone un’autentica rivoluzione: invita ad
amare i nemici (agàpe) con l’amore che ci proviene da Dio, non per
simpatia, non per folle idealità.
Ed
esemplifica il modo di amare: pregare per quelli che ci perseguitano (Matteo
sta scrivendo ad una comunità di perseguitati!).
E
motiva: questo è possibile perché imitiamo l’atteggiamento di Dio che fa
piovere sui giusti e i malvagi. E invita noi discepoli a riflettere: in cosa i
nostri atteggiamenti non diversi rispetto a chi non crede?
L’amore
resta un vertice ma corriamo il rischio di interpretarla come se fosse il
risultato di uno sforzo. È possibile sforzarsi di amare? Non è solo un
sentimento? No, certo, l’amore ha anche una componente di volontà soprattutto
nei confronti dei nemici, di chi ci ha fatto del male.
Non
un amore di affetto, o mieloso, ma una scelta consapevole, dettata dalla nostra
vicinanza a Cristo. Questo amore nasce come imitativo (fare come il Padre che
fa sorgere il sole e fa piovere) ma, in Giovanni, diventa contagioso: sono
capace di amare con l’amore con cui il Padre mi ama!
Mamma
mia se mi piace questa cosa!
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