Il più antico presepe del mondo si trova in Sicilia, a Siracusa.
E' scolpito in un sarcofago in marmo
risalente al IV secolo d.C.
di Rocco
Mazzolari
In tutti
i paesi cattolici del mondo l’avvento del Natale è l’occasione per dar vita al
presepe, la rappresentazione plastica della nascita di Cristo, l’evento
prodigioso che avrebbe cambiato la storia dell’umanità. In un ambiente
ricostruito per lo più in modo realistico, vanno in scena personaggi e luoghi
di una tradizione ormai bimillenaria: dalla povera grotta in cui Dio si incarna
nella vita e nella storia dell’Uomo, alla mangiatoia che lo accoglie come suo
primo giaciglio, ai due sacri sposi Giuseppe e Maria, ai pastori primi
testimoni del grande prodigio, al bue e all’asino, agli angeli che intonano il Gloria
in excelsis Deo, ai Re Magi giunti dall’Oriente per adorare Gesù.
Si tratta di una tradizione la cui matrice va ravvisata senz’altro nelle prime raffigurazioni pittoriche ispirate ai versetti dei Vangeli di Matteo e di Luca, cosiddetti “dell’infanzia”, che descrivono la nascita di Cristo avvenuta al tempo di re Erode, a Betlemme, in Giudea.
Nelle catacombe romane di Priscilla, sulla via Salaria, troviamo ad esempio alcuni affreschi con la più antica raffigurazione di Madonna con Bambino (III sec. d.C.) affiancata da un profeta che addita una stella, oltre a una Adorazione dei Magi, con i tre personaggi rivolti verso la Vergine in trono col Bambino sulle ginocchia. Se dunque di tali raffigurazioni pittoriche si conserva testimonianza già in contesti cristiani tardo imperiali, la più antica rappresentazione scultorea della Natività si trova invece su uno splendido sarcofago marmoreo coevo rinvenuto a Siracusa il 12 luglio del 1872 all’interno delle catacombe di S. Giovanni.
Si tratta di una tradizione la cui matrice va ravvisata senz’altro nelle prime raffigurazioni pittoriche ispirate ai versetti dei Vangeli di Matteo e di Luca, cosiddetti “dell’infanzia”, che descrivono la nascita di Cristo avvenuta al tempo di re Erode, a Betlemme, in Giudea.
Nelle catacombe romane di Priscilla, sulla via Salaria, troviamo ad esempio alcuni affreschi con la più antica raffigurazione di Madonna con Bambino (III sec. d.C.) affiancata da un profeta che addita una stella, oltre a una Adorazione dei Magi, con i tre personaggi rivolti verso la Vergine in trono col Bambino sulle ginocchia. Se dunque di tali raffigurazioni pittoriche si conserva testimonianza già in contesti cristiani tardo imperiali, la più antica rappresentazione scultorea della Natività si trova invece su uno splendido sarcofago marmoreo coevo rinvenuto a Siracusa il 12 luglio del 1872 all’interno delle catacombe di S. Giovanni.
Dal
dicembre del 2015 l’opera è visibile presso il Museo Archeologico
Regionale “Paolo Orsi” nel settore espositivo definito “La Rotonda di
Adelfia”, dal nome della donna a cui risulta essere appartenuto l’antico
sarcofago, presentato al pubblico insieme ad altri importanti reperti in un
momento di rinnovata attenzione per l’arte paleocristiana nella quale trovano
espressione le radici più antiche della nuova fede sorta sulle spoglie
dell’antico paganesimo. Per l’occasione, nell’area museale dedicata all’arte
cristiana, è stata ricreato il cubicolo circolare della necropoli in cui
l’oggetto fu rinvenuto a fine Ottocento da Francesco Saverio Cavallari,
allora direttore delle Antichità della Sicilia. Il ritrovamento ebbe a suo
tempo una straordinaria eco suscitando la curiosità della popolazione
siracusana accorsa ad ammirare il prezioso reperto per poi scortarne il
trasporto fino alla sede del locale Museo.
Il
sarcofago si presenta istoriato con scene a rilievo tratte dal Vecchio e Nuovo
Testamento; quelle riconducibili al tema del Natale di Cristo sono due: la
prima è visibile sull’estremità destra dell’alzata del coperchio, subito dopo
il cartiglio centrale fiancheggiato da due putti alati su cui è incisa
l’iscrizione “(H)ic Adelfia c(larissima) f(emina) / posita compar Baleri
comitis” (Qui giace Adelfia ‘clarissima femina’, moglie del conte
Valerius).
La delicata decorazione ci mostra il Bambino in fasce disteso su un giaciglio di vimini al riparo di una piccola tettoia in legno e tegole, scaldato dal fiato del bue e dell’asinello. Sulla destra si scorge Maria seduta su una roccia e accanto a lei uno dei pastori a cui l’Angelo ha annunciato la nascita del Salvatore. A sinistra, preceduti da una stella a sette punte, avanzano i re Magi con i loro doni. La seconda scena, collocata nella parte inferiore della cassa, ripropone la visita dei Magi, raffigurati con tunica e clamide mentre si avvicinano con passo ritmato e le braccia protese ad offrire oro, incenso e mirra al Bambino seduto in grembo alla Vergine in trono.
La delicata decorazione ci mostra il Bambino in fasce disteso su un giaciglio di vimini al riparo di una piccola tettoia in legno e tegole, scaldato dal fiato del bue e dell’asinello. Sulla destra si scorge Maria seduta su una roccia e accanto a lei uno dei pastori a cui l’Angelo ha annunciato la nascita del Salvatore. A sinistra, preceduti da una stella a sette punte, avanzano i re Magi con i loro doni. La seconda scena, collocata nella parte inferiore della cassa, ripropone la visita dei Magi, raffigurati con tunica e clamide mentre si avvicinano con passo ritmato e le braccia protese ad offrire oro, incenso e mirra al Bambino seduto in grembo alla Vergine in trono.
Fra le
altre immagini scolpite sul sarcofago, spicca il medaglione centrale in
forma di valva di conchiglia, contenente i busti di una coppia di sposi stretti
in un affettuoso abbraccio coniugale: probabilmente si tratta degli stessi
personaggi citati nel cartiglio del coperchio. Ma a tal proposito non manca chi
sostiene che quest’ultimo, di diversa manifattura, sia stato adattato al
sarcofago e che quindi le figure menzionate nell’iscrizione non coincidano con
quelle scolpite nel medaglione: fra gli indizi addotti, la misura del coperchio
non corrispondente a quella della cassa, la strana ripetizione della scena con
la visita dei Magi e un superiore livello qualitativo delle sculture della
cassa rispetto a quelle del coperchio.
Sebbene
l’arca marmorea sia stata decorata con la tecnica del “fregio continuo”, molto
in voga nel IV secolo, le scene raffigurate non sono legate da una continuità
narrativa; sono però accomunate dal fondamentale tema della salvezza
eterna e mirano ad evidenziare l’unità esistente fra Vecchio e Nuovo
Testamento, i testi sacri da cui sono tratte. Caratterizzati da evidenti tracce
di policromia, i rilievi si sviluppano su un doppio registro, interrotto
solo dalla valva di conchiglia che racchiude i busti dei due sposi. Ove si
ritenesse verosimile la correlazione fra essi e i nomi citati nel cartiglio,
deve trattarsi del comes Balerius – da alcuni studiosi
identificato con Lucius Valerius Arcadius Proculus Populonius,
consularis Siciliae negli anni 325-330, presunto proprietario anche
della splendida villa romana di Piazza Armerina (Enna) – e della moglie Adelfia, la
cui salma è peraltro l’unica ad essere stata rinvenuta all’interno del
sarcofago.
Se si
osservano, da sinistra verso destra, le scene raffigurate sulla cassa, è
possibile riconoscerne i soggetti: nel registro superiore, la consegna
dei simboli del lavoro ad Adamo ed Eva; la negazione di Pietro; la guarigione
dell’emorroissa; Mosè che riceve la legge; il sacrificio di Isacco; la
guarigione del cieco; la moltiplicazione dei pani e dei pesci; la resurrezione
del figlio della vedova di Naim. Nel registro inferiore i tre
giovani ebrei di Babilonia; l’adorazione dei Magi; l’ingresso di Cristo in
Gerusalemme; le nozze di Cana; il peccato originale. Di minore immediatezza
interpretativa i rilievi presenti sull’alzata del coperchio di fianco al
cartiglio con l’iscrizione: a parte la già menzionata scena di presepe, la cui
particolare originalità ci riporta alle profezie di Isaia e Abacuc rielaborate
nei testi aprocrifi, troviamo infatti sul lato sinistro una serie di figure sul
cui significato manca una visione univoca. Una delle ipotesi formulate è che si
tratti di un ciclo mariano ispirato agli scritti apocrifi dell’infantia
Salvatoris ed articolato in alcune scene aventi per soggetto
l’Annunciazione, la preparazione di Maria al matrimonio e infine la Vergine
assisa in trono circondata da altre donne. Una diversa lettura vede invece
nella sequenza una possibile allusione alla vita della defunta, Adelfia,
improntata ad una particolare devozione per la Madre di Dio.
Al di
là della complessa simbologia soteriologica e delle valenze artistiche di un
manufatto tra i più belli del repertorio paleocristiano, si impone tutto il
fascino di quelle prime rappresentazioni della Natività e dell’Adorazione dei
Magi che, nella loro arcaica semplicità, rievocano una delle pagine più
emozionanti e suggestive della storia umana.
Da Fame
di Sud
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