PASSIONE, COMPETENZA, PARTECIPAZIONE, ENTUSIASMO
“Ti voglio
parlare in questa mia lettera delle doti che fanno di te un buon insegnante.
Delle strategie
perché tu possa espletare il tuo compito pienamente.Credo che la prima
qualità sia l’autorevolezza. Viene percepita come caratteristica della persona
ed è certo l’insieme di molti elementi. L’autorevolezza dà credibilità: ti
rende punto di riferimento e le tue affermazioni assumono il significato di
«verità».
I tuoi allievi se
ne accorgono e ne sono certi: di fronte a un mondo di menzogne,
improvvisazioni, maschere per «apparire», vedono in te la serietà.
L’autorevolezza diventa sicurezza. Non è riducibile a quanto si sa sulla
materia, ma fa riferimento a una personalità che si presenta convinta e
convincente, coerente, capace di svolgere il proprio ruolo e di manifestarlo
anche nel silenzio, con la sola presenza. E persino nell’assenza, poiché
l’insegnante viene introiettato e c’è anche quando non c’è e si può
giungere a una presenza che dura una vita. L’autorevolezza non è mai
autoritarismo, che si veste della violenza e della minaccia del potere.
La qualità che segue subito dopo è la partecipazione
alla scuola
Una presenza
attiva, animata dalla voglia di dare, di fare sempre meglio senza mai chiudersi
in una recita fredda, seguendo uno stanco copione che si ripete da anni. La si
misura con il desiderio di andare a scuola, di entrare nell’aula o all’opposto
con la paura persino di salire sulla cattedra. La partecipazione è
condizionata dal modo di pensare, dallo sforzo di percepire e far percepire
qualsiasi argomento in maniera accattivante, interessante e aggiornata, dunque
in una versione sempre nuova poiché nulla nelle discipline insegnate rimane
immutato e l’insegnante deve coglierne le novità. Ma c’è una partecipazione che
riguarda l’affettività e che esprime la voglia di trasmettere quello che
uno sa e che ha raggiunto in tanti anni di approfondimenti.
Un sapere che si coniuga con la passione o
almeno con il piacere.
Il piacere di
insegnare, ecco un altro punto su cui interrogarsi. Riesci a dare un senso alla
tua vita proprio per il tuo ruolo, per il fatto di proporti ai tuoi allievi
come insegnante e con un sapere specifico che però trasmette al tempo stesso la
gioia di quella scelta? Oppure hai quell’aria assente che ti porta
faticosamente a compiere un dovere che è però scialbo e senza piacere? Come
fossi diventato frigido o frigida. Come se ormai il piacere dei sensi fosse
pura illusione o ricordo di momenti meno sfortunati.
Sei un rassegnato?
Nessun lavoro,
senza il gusto di compierlo, può risultare gratificante e dunque efficace. Vale
quindi il principio che il piacere con cui svolgi il tuo ruolo di insegnante è
proporzionato alla sua efficacia. E quindi al gradimento della classe che lo
dimostrerà stando attenta e appassionandosi alla tua materia poiché vi sente
dentro la tua personalità. Altrimenti il tuo competitore diventerà il computer che
è disanimato, mentre tu l’anima ce l’hai: è la caratteristica che differenzierà
sempre l’uomo dalle macchine.
Una qualità
importante si lega alla tecnica della comunicazione e quindi all’efficacia del
messaggio che la lezione trasmette. Il tuo racconto, la tua lezione devono
avere la forza di una favola per un bambino che, ascoltandola, la partecipa,
entra nel personaggio. Anzi alternativamente in tutti e così non solo capisce
la struttura della fiaba, ma anche le sue parti e le vive e, se le vive, riesce
a farle proprie, ad apprendere. Non devi poi dimenticare che ogni ruolo ha una
propria liturgia che va mantenuta e non è concesso a un insegnante diventare
amico dei suoi allievi o esercitare un’azione di volontariato.
Il tuo ruolo è
sacro e non intendo assolutamente parlare di missione, che non c’entra nulla,
ma mi riferisco alla sacralità come svolgimento di una cerimonia che è certo
fondata su un sapere razionale, ma anche su qualche cosa di strano, di
fascinoso, persino di misterioso, poiché il mistero rimane dentro il pensiero
umano. Tu non sei il padre dei tuoi allievi, non l’amico, non lo psicologo che
assiste ai drammi della crescita. Sei un uomo o una donna con l’incarico di
allevare un gruppo di persone, di fare il direttore d’orchestra e devi
indossare, anche materialmente, un abito che sappia di cerimonia, che si adegui
alla tua parte.
Questa società ha
creduto di demolire ogni formalità e non si è accorta che non cancellava
semplici decorazioni bensì la sacralità della vita. E la scuola non può essere
banalizzata come se fosse un luogo di intrattenimento per giovani, un pub o un
club di amici”.
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