Via i cellulari, riprendiamo il dialogo in famiglia: il compito che il Papa ci affida
Teste e sguardi
chinati, dita impegnate a chattare vorticosamente e un silenzio che “sembra di
essere a Messa”: il Papa all’Angelus di ieri, mentre la Chiesa celebrava la
festa della Sacra Famiglia di Nazareth, ha scattato una triste istantanea dei
pranzi e delle cene che genitori e figli consumano in casa, alienati dagli
smartphone, senza più condividere nulla, eccetto lo spazio del tavolo attorno
al quale siedono.
“I tre
componenti di questa famiglia si aiutano reciprocamente a scoprire il progetto
di Dio. Loro pregavano, lavoravano, comunicavano. E io mi domando: tu,
nella tua famiglia, sai comunicare o sei come quei ragazzi a tavola, ognuno con
il telefonino, mentre stanno chattando? In quella tavola sembra vi sia un
silenzio come se fossero a Messa … Ma non comunicano fra di loro. Dobbiamo
riprendere il dialogo in famiglia: padri, genitori, figli, nonni e fratelli
devono comunicare tra loro …”
La famiglia
invece oggi lungi dall’essere il luogo del convivio dove la parola e le risate
si alternano al cibo, risulta troppo spesso demolita dalla chiusura, dal
silenzio appunto, foriero tra l’altro di incomprensioni e conflitto, che l’uso
illimitato e sbagliato della tecnologia ha provocato. Ma a tutto questo c’è
rimedio, basta darsi dei limiti e delle regole, cercare nella tecnologia le
cose buone e virtuose, evitare il più possibile lo scollamento tra la vita on
line e quella off line, dice a Vatican News Bruno Mastroianni,
giornalista e social media manager.
R. - Direi che
quello della comunicazione è un tema centrale, anche perché nelle relazioni o
c’è comunicazione o le cose non funzionano; tra l’altro è interessante il
paragone che il Papa ha fatto con la Messa: perché se è vero che una persona a
Messa esteriormente sta in silenzio, interiormente invece ci deve essere
proprio quel dialogo con Dio che attraversa tutta la celebrazione. (Cosa che
davanti ad uno smartphone è difficile da alimentare!) Quindi anche in famiglia
è molto importante che si veda, si manifesti che ci si vuole bene proprio
perché si parla, perché si condivide...
C’è qualche
consiglio pratico che vuoi darci, in particolare ai giovani, ai quali il Papa
si rivolge per primi, per metter via il cellulare e ricominciare a comunicare?
R. - Intanto
ricorderei che non sono solo i giovani. Il Papa ha fatto un riferimento diretto
ai giovani che stanno sul telefonino e chattano; ricorderei che anche i meno
giovani, cioè i genitori, gli adulti, spesso hanno questo problema e non sono
di esempio. Il problema non è tanto il telefonino in sé, ma che significato
diamo al nostro essere connessi. È chiaro che se una persona si mette
online mentre è a cena, è come se non desse significato a quel momento preciso,
in cui invece si ha l’occasione di condividere qualcosa con gli altri. Direi
quindi che il primo consiglio – che poi è la base - è darsi dei limiti, cioè
mettere via il cellulare quando non è il caso di usarlo, ma poi ci vuole
l’altezza e la profondità, cioè cercare il senso che vogliamo dare ai nostri
momenti che viviamo con gli altri, perché mettersi solo dei limiti, dei divieti
– spegniamo il cellulare, mettiamolo via, quindi il semplice “off”, non basterà
per accendere le nostre relazioni.
Tra l’altro il
messaggio che il Papa ha voluto darci colpisce ancora di più, perché lui è
davvero un campione di comunicazione, di quella comunicazione che non ha niente
di virtuale, ma che si fa con i gesti, con gli abbracci, i sorrisi, le parole
per tutti … Quindi questa sollecitazione arriva da un esempio credibile. Tu
dicevi: i genitori devono dare l’esempio. Il Papa lo dà …
R. - Sì. Il Papa
ha un modo di comunicare secondo me molto interessante, che è quello di fare
spazio all’altro. Lo si vede proprio anche nella sua gestualità, nel suo modo
di stare con le persone, anche quando non parla, quando semplicemente sta nella
folla; si vede come Lui adotta proprio una prossemica in cui fa entrare l’altro
che gli dà qualcosa, fa entrare l’altro nel suo spazio. Credo che questo sia un
modello di comunicazione molto interessante, che si può riproporre in famiglia,
perché noi spesso abbiamo una visione muscolare della comunicazione: dobbiamo
dire qualcosa, fare qualcosa. Anche nei confronti dei giovani, i genitori
devono dire qualcosa ai figli. Invece la maggior parte delle volte, si tratta
di crear quello spazio per cui il figlio o l’atro in generale possa esserci,
possa dire qualcosa di sé, possa mostre qualcosa di sé. Lì, quello spazio,
diventa condivisione e comunicazione.
L’invadenza
degli smartphone nel mondo, nella vita reale, è però sotto gli occhi di tutti.
Divorano, fagocitano le relazioni sociali. Si può guarire da questa ‘patologia’
oppure la non comunicazione, quella che il Papa addita, l’isolamento la perdita
di interesse, sono un processo irreversibile?
R. -
Assolutamente non sono una condanna. Chiaramente gli interessi commerciali
delle piattaforme e delle grandi compagnie tecnologiche comportano il fatto di
attirare il più possibile la nostra attenzione e il nostro tempo su quelle
piattaforme. Da parte nostra, quello che dobbiamo fare è lavorare proprio sulla
comunicazione. Non è solo una dieta che dobbiamo fare, anche se poi la dieta è
importante, ma è anche incominciare a nutrirsi di cose buone e nutrienti, cioè
usare la connessione per dare significato alla propria vita, per costruire
qualcosa, per informarsi, per comunicare.
Potremmo dire
che la comunicazione vien comunicando, quindi si comincia magari in famiglia e
poi anche fuori, negli altri ambiti relazionali …
R. - A volte noi
dividiamo mentalmente off line – on line, come se off line fosse tutto apposto
e on line tutti problemi. In realtà noi siamo in continuità, come dice Luciano
Floridi, la “Onlife”: la nostra vita è una vita contemporaneamente connessa nel
digitale, ma anche nell’analogico, nel fisico, negli incontri che facciamo.
Dovremmo vivere il più possibile un’unità in equilibrio in cui siamo le stesse
persone on line e off line, cercando significati, provando a costruire
relazioni e non a distruggerle. Credo che questo ci potrà aiutare a scegliere
quando è il momento di guardare lo schermo e quando è il momento invece di
guardare in faccia l’altra persona. Questa sfida è grande, perché significa che
noi dobbiamo essere uomini all’altezza della connessione. Questo vuol dire non
soltanto aver paura degli usi negativi che stanno venendo fuori da alcuni
eccessi, ma incominciare a diventare protagonisti, in prima persona, prendere
l’iniziativa per provare a trovare forme di vita connessa non solo sostenibili
ma addirittura che contribuiscono al bene, che migliorano la vita delle
persone. è tutta una sfida ampia che abbiamo di fronte come genitori, come
figli, come insegnanti – ciascuno ha il suo posto-, ma credo che sia veramente
la sfida più importante: cosa vuol dire la vita buona connessa!
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