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sabato 14 dicembre 2019

IL PRESEPE PIÙ ANTICO DEL MONDO

Il più antico presepe del mondo si trova in Sicilia, a Siracusa.

E' scolpito in un sarcofago in marmo risalente al IV secolo d.C.



di Rocco Mazzolari

In tutti i paesi cattolici del mondo l’avvento del Natale è l’occasione per dar vita al presepe, la rappresentazione plastica della nascita di Cristo, l’evento prodigioso che avrebbe cambiato la storia dell’umanità. In un ambiente ricostruito per lo più in modo realistico, vanno in scena personaggi e luoghi di una tradizione ormai bimillenaria: dalla povera grotta in cui Dio si incarna nella vita e nella storia dell’Uomo, alla mangiatoia che lo accoglie come suo primo giaciglio, ai due sacri sposi Giuseppe e Maria, ai pastori primi testimoni del grande prodigio, al bue e all’asino, agli angeli che intonano il Gloria in excelsis Deo, ai Re Magi giunti dall’Oriente per adorare Gesù. 
Si tratta di una tradizione la cui matrice va ravvisata senz’altro nelle prime raffigurazioni pittoriche ispirate ai versetti dei Vangeli di Matteo e di Luca, cosiddetti “dell’infanzia”, che descrivono la nascita di Cristo avvenuta al tempo di re Erode, a Betlemme, in Giudea. 
Nelle catacombe romane di Priscilla, sulla via Salaria, troviamo ad esempio alcuni affreschi con la più antica raffigurazione di Madonna con Bambino (III sec. d.C.) affiancata da un profeta che addita una stella, oltre a una Adorazione dei Magi, con i tre personaggi rivolti verso la Vergine in trono col Bambino sulle ginocchia. Se dunque di tali raffigurazioni pittoriche si conserva testimonianza già in contesti cristiani tardo imperiali, la più antica rappresentazione scultorea della Natività si trova invece su uno splendido sarcofago marmoreo coevo rinvenuto a Siracusa il 12 luglio del 1872 all’interno delle catacombe di S. Giovanni.
Dal dicembre del 2015 l’opera è visibile presso il Museo Archeologico Regionale “Paolo Orsi” nel settore espositivo definito “La Rotonda di Adelfia”, dal nome della donna a cui risulta essere appartenuto l’antico sarcofago, presentato al pubblico insieme ad altri importanti reperti in un momento di rinnovata attenzione per l’arte paleocristiana nella quale trovano espressione le radici più antiche della nuova fede sorta sulle spoglie dell’antico paganesimo. Per l’occasione, nell’area museale dedicata all’arte cristiana, è stata ricreato il cubicolo circolare della necropoli in cui l’oggetto fu rinvenuto a fine Ottocento da Francesco Saverio Cavallari, allora direttore delle Antichità della Sicilia. Il ritrovamento ebbe a suo tempo una straordinaria eco suscitando la curiosità della popolazione siracusana accorsa ad ammirare il prezioso reperto per poi scortarne il trasporto fino alla sede del locale Museo.
Il sarcofago si presenta istoriato con scene a rilievo tratte dal Vecchio e Nuovo Testamento; quelle riconducibili al tema del Natale di Cristo sono due: la prima è visibile sull’estremità destra dell’alzata del coperchio, subito dopo il cartiglio centrale fiancheggiato da due putti alati su cui è incisa l’iscrizione “(H)ic Adelfia c(larissima) f(emina) / posita compar Baleri comitis” (Qui giace Adelfia ‘clarissima femina’, moglie del conte Valerius). 
La delicata decorazione ci mostra il Bambino in fasce disteso su un giaciglio di vimini al riparo di una piccola tettoia in legno e tegole, scaldato dal fiato del bue e dell’asinello. Sulla destra si scorge Maria seduta su una roccia e accanto a lei uno dei pastori a cui l’Angelo ha annunciato la nascita del Salvatore. A sinistra, preceduti da una stella a sette punte, avanzano i re Magi con i loro doni. La seconda scena, collocata nella parte inferiore della cassa, ripropone la visita dei Magi, raffigurati con tunica e clamide mentre si avvicinano con passo ritmato e le braccia protese ad offrire oro, incenso e mirra al Bambino seduto in grembo alla Vergine in trono.
Fra le altre immagini scolpite sul sarcofago, spicca il medaglione centrale in forma di valva di conchiglia, contenente i busti di una coppia di sposi stretti in un affettuoso abbraccio coniugale: probabilmente si tratta degli stessi personaggi citati nel cartiglio del coperchio. Ma a tal proposito non manca chi sostiene che quest’ultimo, di diversa manifattura, sia stato adattato al sarcofago e che quindi le figure menzionate nell’iscrizione non coincidano con quelle scolpite nel medaglione: fra gli indizi addotti, la misura del coperchio non corrispondente a quella della cassa, la strana ripetizione della scena con la visita dei Magi e un superiore livello qualitativo delle sculture della cassa rispetto a quelle del coperchio.
Sebbene l’arca marmorea sia stata decorata con la tecnica del “fregio continuo”, molto in voga nel IV secolo, le scene raffigurate non sono legate da una continuità narrativa; sono però accomunate dal fondamentale tema della salvezza eterna e mirano ad evidenziare l’unità esistente fra Vecchio e Nuovo Testamento, i testi sacri da cui sono tratte. Caratterizzati da evidenti tracce di policromia, i rilievi si sviluppano su un doppio registro, interrotto solo dalla valva di conchiglia che racchiude i busti dei due sposi. Ove si ritenesse verosimile la correlazione fra essi e i nomi citati nel cartiglio, deve trattarsi del comes Balerius – da alcuni studiosi identificato con Lucius Valerius Arcadius Proculus Populonius, consularis Siciliae negli anni 325-330, presunto proprietario anche della splendida villa romana di Piazza Armerina (Enna) – e della moglie Adelfia, la cui salma è peraltro l’unica ad essere stata rinvenuta all’interno del sarcofago.
Se si osservano, da sinistra verso destra, le scene raffigurate sulla cassa, è possibile riconoscerne i soggetti: nel registro superiore, la consegna dei simboli del lavoro ad Adamo ed Eva; la negazione di Pietro; la guarigione dell’emorroissa; Mosè che riceve la legge; il sacrificio di Isacco; la guarigione del cieco; la moltiplicazione dei pani e dei pesci; la resurrezione del figlio della vedova di Naim. Nel registro inferiore i tre giovani ebrei di Babilonia; l’adorazione dei Magi; l’ingresso di Cristo in Gerusalemme; le nozze di Cana; il peccato originale. Di minore immediatezza interpretativa i rilievi presenti sull’alzata del coperchio di fianco al cartiglio con l’iscrizione: a parte la già menzionata scena di presepe, la cui particolare originalità ci riporta alle profezie di Isaia e Abacuc rielaborate nei testi aprocrifi, troviamo infatti sul lato sinistro una serie di figure sul cui significato manca una visione univoca. Una delle ipotesi formulate è che si tratti di un ciclo mariano ispirato agli scritti apocrifi dell’infantia Salvatoris ed articolato in alcune scene aventi per soggetto l’Annunciazione, la preparazione di Maria al matrimonio e infine la Vergine assisa in trono circondata da altre donne. Una diversa lettura vede invece nella sequenza una possibile allusione alla vita della defunta, Adelfia, improntata ad una particolare devozione per la Madre di Dio.
Al di là della complessa simbologia soteriologica e delle valenze artistiche di un manufatto tra i più belli del repertorio paleocristiano, si impone tutto il fascino di quelle prime rappresentazioni della Natività e dell’Adorazione dei Magi che, nella loro arcaica semplicità, rievocano una delle pagine più emozionanti e suggestive della storia umana.





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