Costruire una 'vita buona' e una 'società buona'
Ecco come i beni relazionali
possono generare beni
comuni
Amicizia, fiducia, cooperazione, pace o solidarietà: così la
virtù della relazione riesce a trasformare tutta la vita sociale Una sfida
nella società individualista
Non
si tratta solo di mettere in evidenza il ruolo di 'collante' del tessuto
sociale ma di vedere anche e soprattutto come dai beni relazionali dipenda la
stessa identità personale e sociale degli individui Va corretta l’idea
diffusa secondo cui l’identità delle persone sia frutto solamente delle loro
scelte individuali.
di
Pierpaolo Donati
Da alcuni anni le scienze sociali hanno 'scoperto' un tipo di
beni che non sono né cose materiali, né idee, né prestazioni, ma consistono di
relazioni sociali, e per tale ragione sono chiamati 'beni relazionali'. Gli
esempi concreti sono praticamente infiniti, e vanno dalle relazioni a livello
interpersonale fino al benessere sociale di una intera comunità. Si tratta di
chiarire che cosa siano queste realtà, come nascano e che cosa a loro volta
generano. Interessa capire quale sia l’apporto pratico che questi beni possono
dare a una 'vita buona' e a una 'società buona'. Molti, quando
parlano di beni relazionali, pensano ai rapporti interpersonali fatti di
simpatia, buoni sentimenti e calore umano. In realtà, i beni relazionali sono
molto di più, e anche di diverso, da questo. Hanno un valore economico, sociale
e politico, così come una valenza morale e educativa.
Di quali beni parliamo? Senza dubbio si tratta di beni come
l’amicizia, la fiducia, la cooperazione, la reciprocità, le virtù sociali, la
coesione sociale, il perdono dato e ricevuto, la solidarietà e la pace quando
non sono il risultato di una tregua o di accordi momentanei fra interessi
contrapposti ma consistono nel condividere relazioni di mutuo rispetto e
valorizzazione. Possiamo però pensare anche a relazioni societarie molto più
complesse, come il clima di lavoro nelle aziende, il senso di sicurezza o
insicurezza nella zona in cui abitiamo, le relazioni tra famiglia e lavoro. In
tutti questi casi, le relazioni sociali possono essere percepite come beni
oppure come mali relazionali. Di solito siamo tentati di attribuire
il bene delle relazioni agli individui, dopotutto sono gli individui che sono
amici oppure no, che hanno fiducia negli altri oppure no, che cooperano o meno,
che contraccambiano i doni ricevuti o non lo fanno, che sono virtuosi o meno,
che sanno perdonare oppure sono vendicativi, e così via. La moralità viene di
solito imputata alle singole persone. Ma qui è il punto: senza mettere in
dubbio l’importanza della moralità individuale, si tratta di comprendere che
non possiamo concepire i beni relazionali come prodotti degli attributi
morali delle singole persone, perché nel caso dei beni relazionali la moralità
è riferita alle relazioni di cui sono fatti.
Fare questo passaggio dall’individuale al relazionale non è
semplice. Prendiamo il caso
dell’amicizia. Molti la intendono come una
relazione che dipende dalle intenzioni soggettive. Ma non è così. Certamente
l’amicizia sgorga dalla persona umana, e solo da essa, ma non può essere un fatto
soggettivo. L’amicizia fra Ego e Alter è il riconoscimento di qualcosa che
non appartiene a nessuno dei due pur essendo di entrambi. Essa è, come la
società, di tutti e due, e al contempo di nessuno di essi. Questa realtà
dell’amicizia è un prototipo di una forma sociale che, in via generale,
costituisce l’essenza di tutti i beni relazionali. È così che i beni
relazionali creano beni comuni. I beni relazionali, però, non sono beni
pubblici, così come non sono beni privati. Sono beni comuni in quanto sono
relazioni fra consociati. I beni relazionali possono essere prodotti e fruiti
soltanto assieme da chi vi partecipa su un piano di adesione e impegno
personale.
Sia i beni pubblici sia i beni relazionali sono 'comuni' nel
senso di non essere divisibili e frazionabili, ma i primi sono basati su una
condivisione vincolata (sharing costrittivo), mentre i secondi sono basati su
una condivisione volontaria (sharing scelto). Questa distinzione si riflette
nella loro differente relazionalità. Nei beni pubblici non è richiesta ai
soggetti partecipanti la stessa relazionalità che invece è richiesta e
necessaria nei beni relazionali. Questa diversità è decisiva per la qualità
della vita sociale. Nel caso dei beni pubblici, poiché la relazionalità non è
richiesta, ciascuno partecipa e usufruisce di questi beni individualmente, per
conto proprio (pensiamo alle strade, alle piazze o ai mu- sei), e dunque
ciò che è comune lascia separati gli individui come tali. Nel caso dei beni
relazionali, invece, essendo la relazione necessaria, viene richiesta una
cooperazione, con tutte le difficoltà, ma anche i vantaggi che comporta.
a
categoria dei beni relazionali illumina in modo nuovo il senso e la
portata dei diritti umani. Prendiamo, per esempio, il diritto alla
vita (umana). Ebbene, la vita umana è oggetto di godimento e quindi di
diritti non in quanto bene privato, individuale nel senso di
individua-listico, né pubblico nel senso tecnico moderno, ma propriamente come
bene comune dei soggetti che stanno in relazione. Quando ci appelliamo, per
esempio, al diritto del bambino di avere una famiglia, ci appelliamo ad
un diritto che non è né 'privato' (o 'civile' nel senso dei diritti civili
emersi a partire dal Settecento), né 'pubblico' (o politico nel senso di
statuale), ma è essenzialmente umano. Che categoria di diritti è quella dei
'diritti umani' (distinti da quelli 'civili' e politici)? La risposta è che i
diritti propriamente umani sono intrinsecamente relazionali, sono diritti a
quelle determinate relazioni che umanizzano la persona.
In ogni caso, il bene relazionale consiste nel fatto che due o
più soggetti interagiscono fra loro prendendosi cura della loro relazione
condivisa dalla quale derivano dei benefici che essi non possono ottenere
altrimenti. Prendiamo il caso della relazione di coppia come bene relazionale.
Affinché si istituisca una coppia, i partner si devono dare fiducia
reciproca. L’evoluzione della coppia nel tempo è segnata dalla stabilizzazione
o meno della fiducia come legame (molecola sociale). Se il legame viene vissuto
come bene relazionale, esso darà i suoi frutti, quali sono il benessere e la
felicità dei partner, gli eventuali figli, e così via. La fiducia come azione reciproca
dei partner è un prerequisito per generare il bene relazionale (il legame
condiviso). Quando diventa una struttura stabile di aspettative reciproche
sostanzia il bene relazionale dei partner. In breve, la fiducia diventa un bene
relazionale quando entrambi i partner, al di là degli stati d’animo e delle
azioni di ciascuno, si prendono cura della loro relazione senza mettere in
dubbio le aspettative reciproche che la costituiscono. Non si tratta
solo di mettere in evidenza il ruolo di 'collante' del tessuto sociale, di
integrazione e solidarietà sociale, che i beni relazionali possono svolgere. Si
tratta, anche e soprattutto, di vedere come dai beni relazionali dipenda la
stessa identità personale e sociale degli individui, correggendo l’idea diffusa
secondo cui l’identità delle persone sia frutto solamente delle loro scelte
individuali. In una società che tutti definiscono individualista e liquida,
assistiamo all’esplosione delle relazioni sociali, alimentata dalle tecnologie
digitali.
Le relazioni interpersonali vengono svuotate, e però anche
ricreate continuamente. Questo processo genera tanti mali relazionali, e però
anche nuovi beni, che non solo dipendono dalle relazioni sociali, ma consistono
di relazioni sociali.
PP Donati, Scoprire i beni relazionali per generare una nuova socialità, ed. Rubbettino, 2019
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