Cellulari,
il pedagogista: “Mai regalarli prima dei 13 anni. Anche i genitori hanno le
loro responsabilità"
Daniele Novara, del Centro
psico-pedagogico: "Gli smartphone non vanno demonizzati, ma bisogna conoscerne
i rischi". L'importanza delle regole quando cominciano a usarli:
"Poche ore al giorno e spenti ben prima di andare a letto"
di
ILARIA VENTURI
Il telefonino è una droga. Le parole del
Papa ai liceali rimbalzano al convegno di Piacenza dove mille esperti
d’infanzia ieri hanno discusso, al Centro psico-pedagogico fondato da Daniele
Novara, di genitori sempre più fragili, dell’urgenza di educarli nel crescere i
figli. Novara, 62 anni, pedagogista di frontiera, non si stupisce.
Giusto considerare il telefonino come una droga?
Giusto considerare il telefonino come una droga?
"Ma certo, si parla di dipendenza
come per le altre droghe nel senso che le sostanze o l’uso smodato dello
smartphone disattivano le aree cerebrali del controllo e si “agganciano” a
quelle dopaminiche, ovvero del piacere. È tipico di questi strumenti, che non
sono da demonizzare. Ma i cui rischi sono noti".
Per quale motivo lo smartphone si trasforma in uno strumento che dà dipendenza?
"Perché viene usato dai ragazzi,
soprattutto tra i 12 e i 14 anni, per fare i videogiochi che sono la forma più
pericolosa di dipendenza: devi partecipare nella logica del raggiungimento di
un obiettivo. E il cervello si attiva in senso compensatorio: non stacchi sino
a che non arrivi al risultato che cambia sempre e non è mai definitivo. Per
questo non c’è nessun ragazzo che riesce a smettere da solo. Occorre una
limitazione esterna".
Qui entrano in gioco i genitori: cosa devono fare?
Qui entrano in gioco i genitori: cosa devono fare?
"Mettere dei limiti. Una mamma con
un ragazzino di 11 anni è venuta in studio raccontandomi che gli aveva regalato
lo smartphone per farlo contento. Le ho chiesto: ha messo delle regole? Perché
mai, mi fido di mio figlio: la sua risposta. La fiducia non può sostituire la
necessarie regole educative".
Ma quando sono adolescenti
passano da un video a un gioco, da una chat a Instagram: è difficile
intervenire per staccarli, il cellulare è il loro mondo.
"Il marketing crea molte bufale come
questa: ci sono tanti ragazzi che praticano sport, che fanno altro. Il problema
è che una volta creata l’abitudine si fa più fatica a tornare indietro. E
arriviamo a vedere diciottenni che passano sette-otto ore al giorno davanti a
quel piccolo schermo. E che stanno male, si ritirano da una vera vita
sociale".
Quindi cosa si dovrebbe fare:
vietare il telefonino?
"Intanto bisogna aspettare un’età
ragionevole per darlo in mano ai ragazzi. Per agevolare l’autonomia basta un
telefono in prima media, solo dalla terza media si può pensare allo smartphone
ma con delle regole: non più di un’ora al giorno. Progressivamente si può
aumentare, ma senza superare le due ore. In più va regolato l’uso alla sera per
evitare i disturbi del sonno. Togliere il cellulare prima di andare a letto fa
parte della convivenza familiare. Ed è il padre che deve intervenire".
Le sgridate della mamma non
servono?
"Il “te lo ripeto dieci volte”, ti
sgrido, ti ricatto, ti premio se mi ascolti sono cose che sul bambino hanno
influenza. Ma un adolescente è in grado di aggirare gli sbarramenti materni. Ha
bisogno invece di una regolazione paterna".
Un no detto da un papà invece
funziona?
"La madre tende ad essere affettiva
ed emotiva. Normalmente il padre ha una capacità maggiore di negoziazione. Ecco
come funziona per l’uso dello smartphone: di notte non lo puoi usare, a che ora
me lo consegni? Ovvero ti metto un paletto, poi negoziamo".
Il Papa parla anche di una
comunicazione che non può essere fatta di semplici contatti.
"Il problema dal mio punto di vista
non è morale, sta nella quantità e nell’età nell’uso dello smartphone. Nei
ragazzi il cervello è in formazione, il danno è maggiore. Da pedagogista mi
rivolgo per questo ai genitori sempre più fragili nel mettere delle regole: per
aiutarli".
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