Secondo un
sondaggio lanciato oggi dall’Unicef sul cyberbullismo, 1 giovane su 3 in 30
Paesi del mondo è vittima di bullismo online. È un fenomeno sempre più
allarmante che interessa Nazioni ad alto e basso reddito
di Chiara Colotti e Eugenio
Serra
Il cyberbullismo
è una forma di violenza che interessa prevalentemente i giovani e si esercita
in rete e sui social network. La ricerca svolta dall’Unicef e dal
Rappresentante Speciale del segretario generale delle Nazioni Unite coinvolge,
infatti, ragazzi di tutto il mondo fra i 13 e i 24 anni. Dai risultati del
sondaggio effettuato dall’Agenzia dell’Onu emerge, inoltre, che un adolescente
su 5 non va a scuola a causa di questa nuova forma di bullismo. Tuttavia
esistono iniziative e fondazioni che si occupano di contrastare questo fenomeno
dilagante, come la Fondazione Carolina.
“Le parole fanno
più male delle botte. Ciò che è accaduto a me non deve più succedere a
nessuno”: queste sono le parole che Carolina Picchio ha scritto in una lettera
prima di togliersi la vita nel 2013. La quattordicenne non ha retto l’umiliazione
di vedersi in un video mentre, priva di coscienza, dei coetanei simulavano atti
sessuali. A Carolina è stata dedicata la prima legge in Europa contro il
cyberbullismo e in suo nome è nata la Fondazione Carolina. A Vatican News
l'intervista a Ivano Zoppi, il direttore della Fondazione.
Come nasce e di
cosa si occupa la Fondazione Carolina?
R. – Nasce due
anni fa raccogliendo l’eredità lasciata da Carolina Picchio, la prima vittima
acclarata di cyberbullismo in Italia. Abbiamo costruito una fondazione che ha
tre pilastri importanti per combattere questo fenomeno: la ricerca, perché è
importante essere costantemente aggiornati sui fenomeni che coinvolgono i
ragazzi in rete; la prevenzione, fatta di formazione e sensibilizzazione e
formazione a tutti i livelli. Il terzo pilastro è il supporto: la creazione di
strumenti che la comunità educante può utilizzare per fare prevenzione. La
Fondazione ha inoltre creato un team di pronto intervento; quando si verifica
un episodio grave o gravissimo di cyberbullismo, i nostri esperti, che fanno
parte di un’equipe interdisciplinare, intervengono per dare supporto e sostegno
alla comunità.
Che cos’è il
fenomeno del cyberbullismo?
R. – Si può
parlare di cyberbullismo quando siamo in presenza di un’aggressione, di
un’offesa, di un insulto, di un attacco fatto attraverso la rete, utilizzando
gli strumenti che chiamiamo new media o nuove tecnologie.
Il fenomeno del
cyberbullismo riguarda solamente i Paesi a basso reddito o anche quelli ad alto
reddito?
R. – Laddove ci
sia una connessione, c’è il rischio di un fenomeno di cyberbullismo. Non c’è
ricchezza o povertà che tenga. Tutti i ragazzi possono incorrere in un fenomeno
di cyberbullismo, soprattutto se non sono accompagnati, educati ad una vita
digitale che sia rispettosa di se stessi e degli altri.
È un fenomeno che
riguarda solamente i social oppure ha conseguenze sulla quotidianità o e sulla
attività scolastica dei ragazzi?
R. – È questo il
problema fondamentale: far capire ai ragazzi che tutto quello che viene fatto
nella vita virtuale ha sempre e comunque delle conseguenze nella vita reale. Se
io insulto qualcuno in rete, questo starà male non nella vita virtuale ma nella
vita reale. È questo che dobbiamo capire.
Quali conseguenze
hanno i commenti e i like a livello psicologico sui ragazzi?
R. – Possono
sentirsi esclusi, possono sentirsi denigrati e messi da parte. Gestiamo
tantissimi casi di ragazzini che arrivano anche a pensare al suicidio e qualche
volta compierlo. Sono ragazzi aggrediti e attaccati in rete e non hanno la
forza e il coraggio di parlarne con qualcuno e di condividere con un adulto di
riferimento la sofferenza che stanno vivendo. Il cyberbullismo è un male
oscuro, è un problema che psicologicamente può avere effetti devastanti sui
ragazzi.
Come si potrebbe
combattere il cyberbullismo?
R. – Esistono
tantissimi percorsi. Anche noi come Fondazione Carolina interveniamo nelle
scuole, negli oratori, nelle società sportive. Quello che può funzionare è il
fare rete. La comunità educante deve accompagnare i ragazzi, coinvolgerli e
responsabilizzarli.
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