genera vita,
non timbra il cartellino
Il cardinale Tolentino de Mendonça
nella prefazione al libro di Affinati:
educare coincide con la vita, quindi supera i confini.
E si educa con mani, cuore e testa
Anticipiamo la prefazione
scritta dal cardinale José Tolentino de Mendonça - prefetto del Dicastero per
la cultura e l’educazione - al libro dello scrittore Eraldo Affinati,
"Testa, cuore e mani. Grandi educatori a Roma" in libreria da oggi
per la Lev (pagine 192, euro 17,00). Scrittore e insegnante con una passione
viva per l’educazione, Affinati percorre l’Urbe alla ricerca di grandi
educatori d’un tempo e del recente passato: da san Paolo a san Filippo Neri, da
sant’Ignazio di Loyola a Maria Montessori, da sant’Agostino ad Alberto Manzi.
Una singolare mappa della Città eterna nella quale si dipana la storia di
uomini e donne che hanno sentito una vocazione impellente: «Ogni epoca – scrive
Affinati – ha bisogno di alcune persone che si assumono il compito di
facilitare il passaggio generazionale».
A un certo punto di
questo libro, che racconta quanto la missione educativa possa essere una
passione, Eraldo Affinati pone la domanda che tutti dovremmo farci, o esserci
fatti, almeno una volta nella vita: «Come si diventa umani?». Il quesito è
centrale, per tutti e per ciascuno. La risposta va componendosi, nell’avventura
qui documentata, come un puzzle, pagina dopo pagina, personaggio dopo
personaggio. Ciascuno dei grandi formatori e formatrici tratteggiati da
Affinati ha dato a quel “come” una propria risposta, fattiva, storica e
personale, non contraddittoria con quella degli altri formatori, bensì
complementare. La cui sintesi potrebbe trovare compimento nel titolo del
presente volume: Testa, cuore e mani. Questa espressione di Papa
Francesco sintetizza bene l’integralità dell’azione educativa, che per il
Pontefice interessa la globalità della persona e non ha a che fare con le
compartimentazioni che impoveriscono le società moderne, ad esempio nel campo
dei saperi e delle professioni: «Questo è il segreto dell’educazione: che si
pensi quello che si sente e si fa, che si senta quello che si pensa e si fa,
che si faccia quello che si sente e si pensa» (“Saluto al Presidente e al Board
of Trustee della University of Notre Dame”, 1° febbraio 2024).
Proprio gli educatori di
cui scrive in questo libro Affinati hanno incarnato, ciascuno a modo
proprio, un’educazione con e della testa, un’educazione con e del cuore,
un’educazione con e delle mani: pensiero, affetti, azioni. Messi in moto
anzitutto da se stessi, giocando e rischiando in prima persona. L’educatore
degno di questo nome è un maestro del rischio. Tutto l’educatore può fare,
eccetto balconear, per usare un neologismo di Francesco, ovvero
stare alla finestra, fermo affacciato al balcone della vita, ad assistere allo
scorrere insensato del tempo, proprio e altrui. Soltanto l’assumere la
responsabilità generativa ci permette di diventare credibili messaggeri della
vita. «L’educatore non timbra il cartellino, nel senso che non smette mai di
pensare ai propri allievi. La sua opera coincide con la vita, quindi non può
finire, supera i confini», scrive Affinati parlandoci di don Luigi Orione,
personalità che l’autore ci racconta attraverso gli occhi di un suo scolaro
d’eccezione, Ignazio Silone. La testa dell’educatore non va in vacanza: il
pensiero si rivolge sempre a chi la vita, o il Signore per chi crede, gli ha
affidato con il compito di farlo diventare persona completa. Formare la testa
non significa ovviamente indottrinamento o ideologizzazione, bensì formare
persone con spirito critico, capacità di parola, intraprendenza argomentativa.
Mi ha sempre colpito, nei racconti dei missionari che hanno testimoniato il
Vangelo in terre lontane, un dettaglio singolare: che spesso, ben prima della
costruzione della chiesa della missione, il primo edificio cui si sono dedicati
fosse una scuola. Un luogo per formare il pensiero, allenare il cuore e
impratichire le mani. Perché l’intelligenza è un dono grande di Dio e come tale
va coltivata e messa in circolo.
Quando descrive l’opera
di Luigia Tincani (Chieti 1889 – Roma 1976), che diede inizio all’Unione di
Santa Caterina da Siena delle Missionarie della Scuola, Affinati sottolinea:
«Nel momento in cui ti presenti di fronte a un giovane non puoi far conto su un
apparato scisso dalla tua persona. Se davvero vuoi conquistarlo e farti
conquistare, devi abbassare gli scudi mostrandoti per ciò che sei». L’educatore
deve mettere a nudo il proprio cuore, inteso come il nucleo della persona: deve
presentarsi ai suoi ragazzi così com’è, senza infingimenti, senza maschere. E
qui vengono in mente le meravigliose parole di Lorenzo Milani, prete ed
educatore cui Affinati segretamente (ma neppure tanto) si rifà nel libro che
avete tra le mani: «Ho voluto più bene a voi che a Dio. Ma ho speranza che lui
non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto»,
scrisse ai fratelli Gesualdi, tra i suoi primi scolari. L’amore è così: non è
generico ma concreto, si rivolge a Michele e Francuccio – i due ragazzi di Barbiana
cui il Priore scriveva – e parte dal particolare per sconfinare
nell’universale. Non ci può essere un educatore che educa “in generale”, ogni
educatore ricorderà quel ragazzo o quella adolescente, quel giovane o quel
bimbetto. Di loro ricorderà un aneddoto, un episodio, una parola, una
mascalzonata (eh già!). Ma perché c’era un legame, un affetto, un cuore che non
era rimasto inerte ma si era speso, giocato, commosso. Mani: prendiamo Giuseppe
Calasanzio, che ha educato “con le mani”, inventandosi la prima scuola popolare
gratuita d’Europa, rincorrendo – letteralmente – i suoi scolari discoli, i più
scapestrati tra i ragazzetti del popolo romano: «Li andò a prendere uno per uno
e se li portò in classe», annota Affinati. In questa ricerca fattiva, affettiva,
concretissima vediamo la fatica bella dell’educatore, colui che non lascia
indietro nessuno, colui che procede al passo di chi è più in difficoltà perché
(recita un proverbio africano) «se vuoi andare veloce, vai da solo; se vuoi
andare lontano, vai insieme».
Dobbiamo essere grati a
Eraldo Affinati per queste pagine appassionate e che appassionano. Pagine che
ci avvicinano a una Roma nascosta, forse sottotraccia, ma attualissima nella
folgore della proposta educativa, cui Affinati ha ridato forma e ne ha rivelato
lo spessore. Riverberano le parole di Papa Francesco: «Noi abbiamo ereditato
dall’epoca dell’illuminismo un concetto di educazione che più o meno era
riempire la testa di idee e niente di più, e questo non è educazione.
L’educazione è confrontarsi con i problemi della vita; e certo anche avere
delle idee in testa, studiare le cose teoriche, ma confrontarsi sempre – è una
parola importante – con i veri problemi della vita [...]. È una grande
opportunità, una scuola dove si affrontano le domande sul senso della vita»
(Incontro con gli studenti del Collegio Barbarigo di Padova nel 100° anno di
fondazione, 23 marzo 2019). Per la Chiesa l’educazione, a Roma come in ogni
luogo, è questione centrale: «Andate e insegnate» (Mt 28,19) ci ha detto Uno
che si qualificava come Maestro. E che ha educato, e amato, con tutta la sua
testa, con tutto il suo cuore e con tutte le sue mani.
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