martedì 17 giugno 2025

L'EDUCATORE GENERA VITA

 


L’educatore 

genera vita, 

non timbra il cartellino


Il cardinale Tolentino de Mendonça 

nella prefazione al libro di Affinati: 

educare coincide con la vita, quindi supera i confini. 

E si educa con mani, cuore e testa

Anticipiamo la prefazione scritta dal cardinale José Tolentino de Mendonça - prefetto del Dicastero per la cultura e l’educazione - al libro dello scrittore Eraldo Affinati, "Testa, cuore e mani. Grandi educatori a Roma" in libreria da oggi per la Lev (pagine 192, euro 17,00). Scrittore e insegnante con una passione viva per l’educazione, Affinati percorre l’Urbe alla ricerca di grandi educatori d’un tempo e del recente passato: da san Paolo a san Filippo Neri, da sant’Ignazio di Loyola a Maria Montessori, da sant’Agostino ad Alberto Manzi. Una singolare mappa della Città eterna nella quale si dipana la storia di uomini e donne che hanno sentito una vocazione impellente: «Ogni epoca – scrive Affinati – ha bisogno di alcune persone che si assumono il compito di facilitare il passaggio generazionale».

A un certo punto di questo libro, che racconta quanto la missione educativa possa essere una passione, Eraldo Affinati pone la domanda che tutti dovremmo farci, o esserci fatti, almeno una volta nella vita: «Come si diventa umani?». Il quesito è centrale, per tutti e per ciascuno. La risposta va componendosi, nell’avventura qui documentata, come un puzzle, pagina dopo pagina, personaggio dopo personaggio. Ciascuno dei grandi formatori e formatrici tratteggiati da Affinati ha dato a quel “come” una propria risposta, fattiva, storica e personale, non contraddittoria con quella degli altri formatori, bensì complementare. La cui sintesi potrebbe trovare compimento nel titolo del presente volume: Testa, cuore e mani. Questa espressione di Papa Francesco sintetizza bene l’integralità dell’azione educativa, che per il Pontefice interessa la globalità della persona e non ha a che fare con le compartimentazioni che impoveriscono le società moderne, ad esempio nel campo dei saperi e delle professioni: «Questo è il segreto dell’educazione: che si pensi quello che si sente e si fa, che si senta quello che si pensa e si fa, che si faccia quello che si sente e si pensa» (“Saluto al Presidente e al Board of Trustee della University of Notre Dame”, 1° febbraio 2024).

Proprio gli educatori di cui scrive in questo libro Affinati hanno incarnato, ciascuno a modo proprio, un’educazione con e della testa, un’educazione con e del cuore, un’educazione con e delle mani: pensiero, affetti, azioni. Messi in moto anzitutto da se stessi, giocando e rischiando in prima persona. L’educatore degno di questo nome è un maestro del rischio. Tutto l’educatore può fare, eccetto balconear, per usare un neologismo di Francesco, ovvero stare alla finestra, fermo affacciato al balcone della vita, ad assistere allo scorrere insensato del tempo, proprio e altrui. Soltanto l’assumere la responsabilità generativa ci permette di diventare credibili messaggeri della vita. «L’educatore non timbra il cartellino, nel senso che non smette mai di pensare ai propri allievi. La sua opera coincide con la vita, quindi non può finire, supera i confini», scrive Affinati parlandoci di don Luigi Orione, personalità che l’autore ci racconta attraverso gli occhi di un suo scolaro d’eccezione, Ignazio Silone. La testa dell’educatore non va in vacanza: il pensiero si rivolge sempre a chi la vita, o il Signore per chi crede, gli ha affidato con il compito di farlo diventare persona completa. Formare la testa non significa ovviamente indottrinamento o ideologizzazione, bensì formare persone con spirito critico, capacità di parola, intraprendenza argomentativa. Mi ha sempre colpito, nei racconti dei missionari che hanno testimoniato il Vangelo in terre lontane, un dettaglio singolare: che spesso, ben prima della costruzione della chiesa della missione, il primo edificio cui si sono dedicati fosse una scuola. Un luogo per formare il pensiero, allenare il cuore e impratichire le mani. Perché l’intelligenza è un dono grande di Dio e come tale va coltivata e messa in circolo.

Quando descrive l’opera di Luigia Tincani (Chieti 1889 – Roma 1976), che diede inizio all’Unione di Santa Caterina da Siena delle Missionarie della Scuola, Affinati sottolinea: «Nel momento in cui ti presenti di fronte a un giovane non puoi far conto su un apparato scisso dalla tua persona. Se davvero vuoi conquistarlo e farti conquistare, devi abbassare gli scudi mostrandoti per ciò che sei». L’educatore deve mettere a nudo il proprio cuore, inteso come il nucleo della persona: deve presentarsi ai suoi ragazzi così com’è, senza infingimenti, senza maschere. E qui vengono in mente le meravigliose parole di Lorenzo Milani, prete ed educatore cui Affinati segretamente (ma neppure tanto) si rifà nel libro che avete tra le mani: «Ho voluto più bene a voi che a Dio. Ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto», scrisse ai fratelli Gesualdi, tra i suoi primi scolari. L’amore è così: non è generico ma concreto, si rivolge a Michele e Francuccio – i due ragazzi di Barbiana cui il Priore scriveva – e parte dal particolare per sconfinare nell’universale. Non ci può essere un educatore che educa “in generale”, ogni educatore ricorderà quel ragazzo o quella adolescente, quel giovane o quel bimbetto. Di loro ricorderà un aneddoto, un episodio, una parola, una mascalzonata (eh già!). Ma perché c’era un legame, un affetto, un cuore che non era rimasto inerte ma si era speso, giocato, commosso. Mani: prendiamo Giuseppe Calasanzio, che ha educato “con le mani”, inventandosi la prima scuola popolare gratuita d’Europa, rincorrendo – letteralmente – i suoi scolari discoli, i più scapestrati tra i ragazzetti del popolo romano: «Li andò a prendere uno per uno e se li portò in classe», annota Affinati. In questa ricerca fattiva, affettiva, concretissima vediamo la fatica bella dell’educatore, colui che non lascia indietro nessuno, colui che procede al passo di chi è più in difficoltà perché (recita un proverbio africano) «se vuoi andare veloce, vai da solo; se vuoi andare lontano, vai insieme».

Dobbiamo essere grati a Eraldo Affinati per queste pagine appassionate e che appassionano. Pagine che ci avvicinano a una Roma nascosta, forse sottotraccia, ma attualissima nella folgore della proposta educativa, cui Affinati ha ridato forma e ne ha rivelato lo spessore. Riverberano le parole di Papa Francesco: «Noi abbiamo ereditato dall’epoca dell’illuminismo un concetto di educazione che più o meno era riempire la testa di idee e niente di più, e questo non è educazione. L’educazione è confrontarsi con i problemi della vita; e certo anche avere delle idee in testa, studiare le cose teoriche, ma confrontarsi sempre – è una parola importante – con i veri problemi della vita [...]. È una grande opportunità, una scuola dove si affrontano le domande sul senso della vita» (Incontro con gli studenti del Collegio Barbarigo di Padova nel 100° anno di fondazione, 23 marzo 2019). Per la Chiesa l’educazione, a Roma come in ogni luogo, è questione centrale: «Andate e insegnate» (Mt 28,19) ci ha detto Uno che si qualificava come Maestro. E che ha educato, e amato, con tutta la sua testa, con tutto il suo cuore e con tutte le sue mani.

www.avvenire.it

 

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