DEI GIUSTI
- di Gabriele Missin
Per
comprendere la nostra missione dobbiamo partire dalla grande intuizione del
giurista ebreo polacco Raphael Lemkin che, dopo le macerie della Seconda guerra
mondiale, volle che il mondo si unisse attorno alla Convenzione per la
prevenzione dei genocidi, approvata dalle Nazioni Unite nel 1948, di cui fu
l’instancabile promotore.
Ogni
distruzione di un popolo o di un gruppo umano indebolisce l’intera umanità,
poiché il mondo è una rete di relazioni fondata sulla cooperazione tra le
persone.
Quando
perdiamo un tassello di questa rete, come sosteneva Lemkin, perdiamo una parte
della nostra ricchezza collettiva.
È
come se un’orchestra smarrisse la voce di uno dei suoi strumenti: il suono non
sarebbe più lo stesso, e ogni musicista – come ogni essere umano – sentirebbe
di aver perso un pezzo della propria anima.
Chi
custodisce questo legame tra gli esseri umani?
Chi
si fa baluardo della pluralità umana?
È
colui che chiamiamo il Giusto: chi soccorre il prossimo, si oppone all’odio,
lavora per la riconciliazione dopo guerre e stermini.
È
colui che combatte il male con il bene e ricuce le ferite del mondo.
Non
a caso si dice: «Chi salva una vita, salva il mondo intero».
Senza
la presenza e il coraggio dei Giusti, che ascoltano la voce della coscienza, il
grande sogno della Convenzione dell’Onu non sarebbe realizzabile.
La
forza morale di questo nuovo comandamento – “mai più genocidi” – non si fonda
solo sull’azione degli Stati ma sulla responsabilità dei singoli.
Il
meccanismo giuridico e diplomatico immaginato da Lemkin si regge sulla volontà
di persone morali che con le loro scelte salvano l’umanità intera.
Salvare,
infatti, significa prevenire il male e dare vita alla Convenzione delle Nazioni
Unite.
Con
questo spirito, come Fondazione Gariwo, abbiamo creato oltre trecento Giardini
dei Giusti nel mondo, per dare visibilità a coloro che si impegnano a salvare
vite, promuovere la giustizia e la tolleranza, e oggi anche la sostenibilità
del nostro pianeta, minacciato dal cambiamento climatico.
Tutte
le religioni condividono la regola aurea: non fare agli altri ciò che non
vorresti fosse fatto a te – come ha ricordato anche il Marocco nel documento
fondativo della Giornata internazionale contro l’odio del 18 giugno.
Questa
è la forza morale che anima i Giusti.
L’etica
dell’uomo giusto, compassionevole e responsabile, appartiene a tutte le
tradizioni filosofiche e religiose.
Ho
avuto il privilegio, nella mia vita, di essere amico e biografo di Moshe
Bejski, l’artefice del Giardino dei Giusti di Gerusalemme, che con oltre
ventimila alberi e nomi ricorda chi salvò gli ebrei durante la Shoah, il più
atroce genocidio del Novecento.
Da
quella esperienza è nata la convinzione che l’idea dei Giardini dei Giusti
debba diventare universale, per onorare ogni persona che, ovunque nel mondo, si
impegni a salvare vite.
Per
questo li abbiamo chiamati Giusti dell’Umanità: uomini e donne che si assumono
la responsabilità di proteggere gruppi umani in pericolo, senza distinzioni di
nazione, religione o etnia.
Sono
i custodi del genere umano. Come diceva Lemkin, i Giusti agiscono prima che il
male si diffonda, prima che sia troppo tardi.
Perché
quando commemoriamo i genocidi, come quello degli ebrei o degli armeni, ci
confrontiamo sempre con una sconfitta dell’umanità.
La
memoria ha valore solo se educa a prevenire.
Presentiamo
il nostro lavoro alle Nazioni Unite, convinti che – in un mondo lacerato da
guerre, come a Gaza, in Sudan, in Ucraina – sia essenziale ritrovare lo spirito
originario dell’Onu: preservare la pace e la pluralità umana.
Purtroppo
il nostro tempo ci ricorda l’angoscia degli anni precedenti la Seconda guerra
mondiale.
Mai
come oggi abbiamo bisogno di tanti Giusti, capaci di ricostruire con il loro
esempio un nuovo legame tra i popoli.
A
loro spetta il compito difficile ma necessario di ricucire le relazioni in un
tempo segnato da divisioni.
Noi
crediamo che i Giardini dei Giusti possano essere un grande strumento educativo
per custodire la pace e ridare speranza all’umanità, come ci ricorda anche Papa
Leone XIV, che ci invita a costruire ponti e abbattere i muri dell’odio.
Vorrei
allora spiegare, in poche parole, la forza rivoluzionaria di questi Giardini.
Essi
mostrano alla società la bellezza della persona buona, capace di comprendere
che ciascuno, nel suo piccolo, può fare qualcosa per cambiare il mondo.
Con
le sue azioni, la persona giusta ci insegna che il modo migliore per combattere
l’odio è dimostrare che l’amore e il rispetto rendono la vita più bella e più
piena.
I
Giardini dei Giusti educano alla memoria, al riconoscimento, alla gratitudine
verso chi opera per il bene.
Ma
forse il loro effetto più profondo è che ci spingono a ritrovare ciò che ci
accomuna come esseri umani.
Per
questo i Giardini sono come piccole Nazioni Unite dal basso: luoghi in cui
persone diverse si incontrano, dialogano, si impegnano insieme per il bene
comune.
Ecco
perché oggi vi chiediamo di sostenere la creazione di Giardini dei Giusti nei
vostri Paesi, e auspichiamo che la Giornata dei Giusti dell’Umanità – istituita
grazie all’Italia e al Parlamento europeo – diventi sempre più internazionale.
Un filosofo antico come l’imperatore Marco Aurelio scriveva: « Non cercare l’impossibile. Accontentati di una piccola cosa, perché nel tempo una piccola cosa può diventare una grande cosa».
Questa
è la lezione dei Giusti: passo dopo passo, con piccoli gesti, indicano una
direzione, una speranza possibile per il mondo intero.
Per
questo sono, davvero, l’élite morale dell’umanità.
Il
testo è stato è stato letto ieri al Palazzo di Vetro di New York come discorso
ufficiale in occasione della Giornata internazionale contro i discorsi d’odio
promossa dall’Onu, con l’introduzione di Virginia Gamba (Sottosegretaria Onu)
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