Ci sono segni di speranza anche nell’età anziana. Ma è necessario guardarla come una fase della vita con opportunità proprie.
Può essere tempo di racconto, di integrazione, di essenzializzazione, di lentezza, di recupero dei rapporti incrinati…
La
situazione dell’anziano oggi è particolarmente complessa. Il notevole
allungamento della vita nel ricco Occidente porta alcuni a distinguere tra
giovani-anziani, anziani, grandi-anziani e centenari. L’anzianità nasce
dall’incontro dialettico tra dato biologico e variabili culturali e oggi è
possibile incontrare anziani attivi e in buone o discrete condizioni di salute,
sicché un approccio che veda l’anzianità solo a partire dal «meno»,
dalla «riduzione» o dal «rallentamento» delle capacità cognitive e fisiche si
rivela inadeguato. E più che mai, con l’avanzare dell’età, si accentuano le
differenze tra gli individui. Il che rende problematico un discorso
sull’anzianità in generale, in quanto quest’ultima si differenzia enormemente
in ciascun individuo.
Tuttavia,
una considerazione si impone circa lo statuto sociale dell’anziano oggi: la
contraddizione tra l’anzianità perseguita e diffusa e, al tempo stesso,
discriminata. L’estendersi della popolazione anziana si accompagna alla
cancellazione dei segni che visibilizzano nel corpo i segni
dell’invecchiamento. In questa logica distorta, tanto più la vita diviene
longeva tanto più deve nascondersi, fingersi giovanile, mascherarsi da
giovinezza vergognandosi di ciò che è. Se Cicerone elencava quattro motivi che
rendono triste la vecchiaia (allontanamento dall’attività lavorativa,
indebolimento del corpo, negazione dei piaceri, prossimità alla morte), oggi se
ne aggiunge un altro: l’era della tecnica e dell’informatica ha reso
fuori luogo l’adagio che legava vecchiaia e sapienza e vedeva nell’anziano il
depositario di un’esperienza che lo rendeva elemento fondamentale nel gruppo
sociale. Oggi la sua esperienza è giudicata inutile: altro è il sapere
necessario e spesso sono i giovani che insegnano ad adulti e anziani a usare
marchingegni tecnologici.
Il
fenomeno dell’«anzianismo» indica l’insieme degli stereotipi e dei pregiudizi
proiettati sull’età anziana che diviene discriminazione dell’anziano stesso.
Discriminazione visibile a livello strutturale in politiche pubbliche e norme
del mondo lavorativo che penalizzano chi è più avanti nell’età. Ma poi diventa
marginalizzazione sul piano relazionale e perfino, una volta introiettato lo
«stigma», disistima di sé, senso di inutilità, colpevolizzazione (essere di
peso) da parte dell’anziano stesso. Dalle differenze di classe si passa alle
differenze di età e il conflitto sociale diviene conflitto di generazioni:
segno della biologizzazione dei rapporti sociali.
La
differenza rispetto a forme di discriminazione che riguardano l’etnia
(razzismo) e il genere (sessismo) è che chi discrimina un anziano è destinato a
diventarlo a sua volta. E qui vediamo l’anzianità come
pietra d’inciampo proprio nel suo essere visibilizzazione della fragilità e
caducità umana. Si deve parlare della scomodità dell’anziano perché memoria
della fragilità che concerne tutti e che, nella misura in cui è rimossa
dall’immagine della vita riuscita oggi propagandata, vuole essere cancellata
così come si cerca di cancellare le rughe dal volto anziano e di relegare gli
anziani in ospizi che li rendano invisibili.
Il
bel volto anziano, provato, gravato di lutti ma con dolcezza e luminosità di
sguardo di Alvin Straight (l’attore Richard Farnsworth) nel film Una storia
vera, di David Lynch, presenta la possibile ricchezza e fecondità
dell’anzianità: intraprende un viaggio di centinaia di
chilometri per andare a trovare il fratello colpito da infarto e con cui non
parla da dieci anni, con un tosaerba che traina un carretto. Ha problemi di
vista, cammina con due bastoni, non ha la patente, ma la vita gli ha insegnato
l’essenziale: «Alla mia età – dice –, ho imparato a separare il grano dalla
crusca e a ignorare le sciocchezze».
L’anzianità
riguarda dunque chi la vive, chi vede e incontra la persona anziana, e
l’immaginario collettivo. Per dare segni di speranza agli
anziani non basta esortare figli e nipoti a essere vicini a genitori e nonni,
ma occorre uno sforzo culturale per immaginare e creare funzioni per
loro. E occorre accedere a una visione dell’anzianità come una fase
della vita con le sue prerogative e opportunità proprie. Può essere tempo
di anamnesi, di racconto, di integrazione, di essenzializzazione, di lentezza,
di recupero dei rapporti incrinati. Un tempo di verità, in cui si vive per
grazia e non per dovere (Karl Barth), un tempo di passaggio dall’esteriorità
all’interiorità (Jung), in cui emerge che ciò che vale è ciò che si è, al di là
di ciò che si fa. Nella vecchiaia semplicemente si è.
Allora l’anziano può giungere a dire il suo
grazie al passato e il suo sì al futuro, pregando il Salmo 71, e inoltrarsi nel
crepuscolo della vita facendo sue le parole del Nunc dimittis.
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