sabato 10 settembre 2022

AGAPETOI

-   Dal Vangelo secondo Luca - (Lc 15, 1-1):

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

 Commento di p. Paolo Curtaz

La pecora

Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Nessuno, Signore, fidati.

Nessuno corre il rischio di lasciare le novantanove pecore per sbattersi e faticare andando a cercare il ribelle o la svampita. Nessuno lo fa. Non la società, che ormai ha smarrito la quasi totalità delle pecore, fabbricando marginalità. A volte nemmeno la Chiesa, più preoccupata di salvare il salvabile che di trovare atteggiamenti e linguaggi nuovi per dire Cristo agli smarriti.

Preferiamo le nostre certezze. Il danno minore. L’assenza del rischio.  Preferiamo non mettere in discussione le cose acquisite, anche nella fede.

Invece tu vai.

E se la trovi, annota Matteo, dando per scontato che è in gioco la libertà. Con la sottile distinzione fra smarrita e perduta. Perché ci possiamo smarrire, sì, e spesso, ma perderci è un’altra cosa. E tu ci provi. Ti stanchi per cercare quella pecore, per cercare noi, per cercare me. E quando la trovi non sfoghi su di lei la stanchezza e la rabbia per una giornata passata inutilmente a correre sulle colline. Non la bastoni, irritato, coma avrei fatto io. La prendi sulle spalle. Le eviti ulteriore stanchezza. Una pecora, non un agnellino. Un bel peso. Un’ulteriore fatica.

Così è Dio. Il Dio di Gesù, che continuamente cerca. Mi cerca, ovunque io mi sia perso.

La moneta

Ma certamente faremmo come la massaia distratta che ha perso una delle dieci monete lasciatagli dal marito per fare la spesa grande. Sa bene, lei come noi, il valore del denaro, la fatica nel guadagnarselo. Allora cerca, come cercheremmo noi.

Ribalta casa finché non trova quel benedetto biglietto di carta moneta scivolato dietro il divano. E, lei come noi, sospira piena di sollievo.  Solo che, dopo, fa una cosa assurda. Chiama le vicine, racconta la vicenda. Prepara un caffè e un dolce, poi apre una bottiglia di liquore. Spende più della moneta ritrovata.  Perché, dice Gesù, Dio è così. Esagerato. Sempre. Non ci ama col bilancino, mai.

I figli

Figli tristi, quelli della parabola del Padre misericordioso, così simili a noi. Che stravolgono e tradiscono il volto del Padre. Lo annientano, lo umiliano. Pensano che sia un despota da sfruttare, da cui fuggire, da obbedire per averne un tornaconto. Idioti.

La fame spinge in primo a rimpiangere le carrube di cui si nutrono i maiali che pascola, come l’ultimo dei servi. Nessuno gliene dava. A nessuno sta a cuore la sua morte.

Non i presunti amici. Non i compagni di sballo. A nessuno.

Solo al Padre.

La gelosia spinge il secondo ad accorgersi che non aveva bisogno di elemosinare un capretto per far festa con gli amici. Tutto ciò che è del Padre è giù suo. Chissà se, alla fine capiranno chi è il Padre. Chissà se lo capiremo.

 Parabole

Le parabole ascoltate gettano una spallata definitiva alla nostra mediocre visione di Dio per spalancare la nostra fede alla dimensione del cuore di Dio. Convertirsi significa passare dalla nostra prospettiva a quella inaudita di Dio e questo significa fare come Lui.  Noi diciamo: “Ti amo perché sei amabile, te lo meriti, perché sei buono”.  Dio dice: “Ti amo con ostinazione e senza scoraggiarmi perché so che il mio amore ti renderà buono”.  C’è una bella differenza! In fondo in fondo costruiamo una vita di fede orientata intorno ai nostri meriti. Nessuno si merita l’amore di Dio. Il suo amore è assolutamente gratuito, libero, pieno. Dio non ci ama perché siamo buoni, ma amandoci senza misura ci rende buoni, aprendoci alla speranza e alla conversione. Siamo amati, a prescindere, siamo agapetoi.

L’esperienza del peccato diventa occasione per un incontro più duraturo e autentico con questo Dio che ci perseguita con il suo amore. Ben lontano dall’avere una visione poetica o approssimativa del peccato, Luca sa che l’esperienza di sofferenza interiore che è il peccato, lo smarrimento, la lontananza da Dio e da noi stessi, può diventare un incontro che salva, che ci aiuta a ripartire con maggiore autenticità e coraggio. La nostra fede non si fonda sulle nostre capacità, sulle nostre devozioni, sui nostri sforzi, ma sull’ostinazione di Dio che ci cerca.  Questo Dio mi ha donato la Chiesa. Di questo Dio voglio continuare a parlare.

Questo Dio amo. Il Dio di Gesù.

 

Paolo Curtaz

Nessun commento:

Posta un commento