lunedì 13 febbraio 2017

I SEICENTO E LA LINGUA ITALIANA

A PROPOSITO DELLA  LINGUA ITALIANA

Il principale obiettivo dell’apprendimento linguistico, a partire da quello della lingua madre, dal cui saldo possesso dipendono gli altri apprendimenti, dovrebbe essere quello di privilegiare la significatività e l’efficacia della comunicazione, non la sua correttezza formale, che comunque va curata anche perché spesso la sciatteria della forma è un indicatore della scarsa qualità del contenuto comunicato.
La lingua tuttavia evolve nel tempo e nello spazio: basti pensare – per restare nella contemporaneità – ai diversi modi di parlare e scrivere in inglese, dall’american english allo spanglish alla neolingua collegata all’evoluzione tecnologica e alle abitudini comunicative dei giovani. In questo inglese compaiono molte novità che un sopracciglioso custode dell’inglese classico considererebbe errori più o meno gravi, ma che sono spesso il frutto dei cambiamenti in corso.
E che dire del passaggio dal latino alle lingue neolatine? O delle novità intervenute nella lingua italiana, di cui pure è testimone la stessa Accademia della Crusca?
La questione di fondo della quale ci si dovrebbe preoccupare non è tanto quella del rispetto formale della lingua canonica (che è comunque un prodotto delle dinamiche storico-culturali) quanto quella della chiarezza, completezza e coerenza logica della comunicazione, sia scritta che orale.
A questo risultato, d’altra parte, puntano prioritariamente (senza peraltro ignorare le verifiche sulla grammatica e sull’ortografia) anche le Indicazioni nazionali nell’ultima versione del 2012, che ovviamente non possono essere considerate responsabili degli errori ortografici degli attuali studenti universitari, nati nell’ultimo decennio dello scorso secolo. Lo ricorda in un esaustivo articolo  (Gruppo dei 600 e ragazzi di Barbiana) che si può leggere sul portale di Tuttoscuola il professore Italo Fiorin, già coordinatore della Commissione che tali Indicazioni ha redatto.
I firmatari dell’appello, osserva Fiorin, “sembrano nostalgici di una età dell’oro, che, se mai c’è stata, oggi non luccica più. Un’età nella quale la famiglia normativa insegnava ai bambini le regole che oggi la famiglia affettiva non insegna più; un’età nella quale era considerato normale che ci fosse una selezione precoce, e che questa avvenisse, auspicabilmente, fin dai primi anni di scolarizzazione. Un’età nella quale alla scuola media arrivavano alunni già selezionati, per non parlare dei licei o dell’università. Classi senza alunni con i rilevanti svantaggi sociali o culturali, senza alunni stranieri, senza alunni con disabilità”. Ma dei quali la scuola di oggi, e ancor più quella di domani, deve preoccuparsi.




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