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martedì 26 agosto 2025

IL MIRACOLO C'INTERROGA


 Non solo scienza: 
quando il miracolo 

interroga filosofia 

e teologia

 

-     

 - di Roberto Righetto 

 

La liquefazione del sangue di san Gennaro

Forse nessuno come Cormac McCarthy fra gli scrittori contemporanei ha riservato spazio e attenzione al miracolo. Nel suo romanzo più famoso, La strada, un viaggio di padre e figlio alla ricerca di una vita possibile sul filo della fine del mondo, il bambino rappresenta il verbo, la parola, ciò che rende possibile l’umano in un mondo spietato. Se resta in vita il bambino, allora vuol dire che Dio continua a parlare. In un altro passo lo stesso autore americano può concludere: “Il mestiere di Dio è perdonare”. Ma che cos’è il miracolo, e che cosa lo rende possibile? La storia dell’arte è piena di riferimenti ai miracoli di Gesù e in particolare a quello più famoso, la resurrezione di Lazzaro. Nella Cappella degli Scrovegni a Padova, Giotto lo presenta cadaverico e impacciato dalle bende, del tutto incredulo. Mentre Caravaggio, nell’opera conservata al Museo regionale di Messina, raffigura il corpo dell’amico di Gesù prima del miracolo, pallido e verdastro, con le sorelle affrante. Diciamo la verità, il miracolo ci esalta e ci inquieta. Ci lascia esterrefatti e ci riempie di domande: perché accade ad alcune persone e non ad altre? E l’intervento di Dio che interferisce con l’ordine naturale dell’universo è un sovvertimento delle leggi che regolano il cosmo o solo una sua interruzione temporanea e del tutto gratuita?

A questi interrogativi hanno cercato di rispondere la filosofia e la teologia nel corso dei secoli, anche se in tempi recenti hanno finito per censurare o quantomeno snobbare l’argomento. Ora Andrea Aguti, che insegna Filosofia della religione all’Università Carlo Bo di Urbino, si cimenta coraggiosamente e lucidamente con il tema nel saggio Il miracolo (Morcelliana, pagine 222, euro 20,00). Prendendo molto sul serio la questione e contravvenendo alle tesi di Carlo Augusto Viano che vent’anni fa ha pubblicato da Einaudi il volume Le imposture degli antichi e i miracoli dei moderni, Aguti annota immediatamente come il mondo dei filosofi «ha dismesso da tempo il tema del miracolo perché ritenuto superato e filosoficamente impresentabile», mentre «i teologi cercano di sbarazzarsi del miracolo senza darlo troppo a vedere». Senza evitare la possibilità di imposture che si verificano in questo ambito e anche ammettendo che vi possa talora essere una spiegazione scientifica, adesso o nel futuro, «il miracolo rimane un tema che merita di essere preso sul serio, analizzato e riflettuto e quindi anche difeso o ripudiato per chiunque abbia un minimo di interesse intellettuale verso la religione». Il libro compie un approfondito excursus delle posizioni emerse nella storia del pensiero a proposito del miracolo, a partire dalla filosofia antica e soprattutto medievale. Agostino sostiene che «il miracolo non accade contro natura, ma contro quella parte della natura che noi conosciamo». Una concezione non interventistica che contrasta con quella di Tommaso d’Aquino, per il quale Dio può agire contro natura senza eliminare l’intero ordine della natura stessa, «ma soltanto quello che intercorre tra una cosa particolare e l’altra. Pertanto non è sconveniente che talvolta si faccia qualcosa contro l’ordine della natura in favore della salvezza dell’uomo che consiste nel suo essere ordinato al fine ultimo dell’universo». Aguti sembra preferire questa interpretazione, facendo propria la definizione del miracolo come violazione delle leggi di natura.

Si precisano così i contorni di una ulteriore specificazione della definizione del miracolo: l’inesplicabilità, la causazione di tipo soprannaturale e l’esibizione di un significato coerente con una visione religiosa del mondo. Si ripercorrono le varie posizioni dei filosofi durante la modernità fino ai nostri tempi, dalla messa in guardia di Spinoza e Hume alla maggiore apertura di Wittgenstein e Blondel. Perfino di scrittori come Whitman e Lewis. Se Goethe da par suo considerava il miracolo come “il figlio prediletto della fede”, per il filosofo ebreo Rosenzweig «per la teologia è solo l’occasione di imbarazzo».

Pur raccomandando prudenza e discrezione, Aguti si sente vicino all’argomentazione di Karl Barth – e anche di Newman, Guardini e Kasper –. Il teologo svizzero ha ricordato che «la teologia non è soltanto, ma necessariamente è anche la logica del miracolo» e che naturalizzare i miracoli, disdegnarli oppure ritenerli solo come «simbolizzazioni di eventi semplicemente spirituali», sono atteggiamenti che la teologia stessa non dovrebbe permettersi.

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venerdì 17 maggio 2024

IL MIRACOLO DEL DESIDERIO

 


Il vero miracolo 

si chiama desiderio

 

-         di Massimo Recalcati

-          

Il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci può essere evocato come uno tra i più emblematici di quelli raccontati dai Vangeli. Il miracolo consiste in questo caso, com’è noto, nella moltiplicazione di quel poco che c’è, di quello che resta a disposizione degli apostoli di fronte a migliaia di seguaci di Gesù rimasti senza cibo: cinque pani e due pesci. Ma l’accento, sin da subito, non è su quello che manca e che non sarebbe sufficiente a soddisfare la moltitudine che si attende di essere sfamata, ma su quello che è a disposizione, su quello che rimane, sul resto. Si tratta di un “resto” che non genera afflizione perché diviene motore di una straordinaria trasformazione.

 Dobbiamo, infatti, provare a vedere la mancanza da due prospettive differenti: da una parte la mancanza come penuria, deficit, minorazione, negatività; dall’altra la mancanza come eccedenza, spinta, forza, trascendenza, plus e non deficit. È una cifra fondamentale del magistero di Gesù: valorizzare la mancanza non come afflizione ma come eccedenza. Dunque, quello che resta – la “pietra di scarto” – viene elevato alla potenza di una forza generativa. Al centro del miracolo dei pani e dei pesci non è, dunque, una semplice condizione di penuria irrisolvibile nella quale si trova il popolo che ha seguito Gesù. Al centro è piuttosto la forza moltiplicatrice del desiderio che non consiste nel negare maniacalmente lo stato di penuria, quanto nel prenderne pienamente atto al fine di trasformare il resto non in una mancanza infelice, ma in un fattore che causa la trascendenza affermativa del desiderio. Il miracolo non consiste allora nel prodigio, nella spettacolarità della moltiplicazione, quanto nella fede nella possibilità della moltiplicazione, ovvero nella fede nel potere trasformativo del desiderio. È solo questa fede che consente la trasfigurazione miracolosa della mancanza in una “sovrabbondanza”. Come può, infatti, un resto divenire sovrabbondante?

 È questo il miracolo del desiderio in quanto tale: convertire il resto in un “seme santo”, come dichiara il profeta Isaia di fronte alle rovine di Gerusalemme. L’uomo di desiderio è un uomo di fede e l’uomo di fede è un uomo di desiderio. È il punto cardine della mia lettura di Gesù. Ma, di fatto, è anche il centro dell’esperienza psicoanalitica: lo psicoanalista agisce tenendo conto di quello che c’è nel soggetto – del suo “resto”, della sua poca roba – per estrarre da esso la forza del suo desiderio bloccata nelle sue identificazioni, nelle sue inibizioni e nei tornaconti primari e secondari dei suoi sintomi. Non si tratta affatto di rafforzare l’Io contro il desiderio inconscio, ma di stabilire con questo desiderio una nuova alleanza. È quello che Freud aveva evidenziato con precisione: il metodo psicoanalitico non è una cura tra le altre perché la sua finalità non è la guarigione medica dei sintomi, ma la liberazione del desiderio che si trova incastrato in essi. Guarire non significa semplicemente ricuperare delle funzioni del corpo o della mente alterate dalla malattia, ma ricuperare la libido “ritirata nei suoi anfratti” sintomatici rendendola nuovamente accessibile al soggetto. In altri termini, si tratta di rendere possibile una nuova alleanza tra il soggetto e la vocazione del proprio desiderio. È solamente la riattivazione di questa alleanza che può determinare la guarigione, la quale, infatti, come direbbe Lacan, riprendendo chiaramente una espressione evangelica, avviene solo in “sovrappiù” rispetto a quella riattivazione.

 Nel miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci appare una eccedenza senza misura che scompagina il normale rapporto stabilito dal regime necessario delle proporzioni. Cinque pani e due pesci non possono sfamare una moltitudine di cinquemila persone riunita, in aggiunta, in un luogo deserto, privo di contatti con altri che avrebbero potuto portare soccorso. È, dunque, la fede nel desiderio il miracolo che rende possibile il prodigio e non il prodigio che rende possibile il miracolo. Ciascuno di noi sa per esperienza che quando si attiva la fede nel desiderio l’impossibile può diventare possibile, la vita si espande e si erotizza, acquista potenza (dynamis). Al contrario, senza desiderio essa rattrappisce, perde il suo slancio, si contrae e declina. È la trascendenza del desiderio la forza che apre la vita rendendola davvero viva. È questa forza che una volta attivata genera una incentivazione ulteriore della propria forza. È un punto sottolineato da Spinoza quando sostiene che la spinta del desiderio tende a conservarsi solo espandendosi.

 È questo il fondamento di tutti i miracoli di Gesù: convertire quello che appare come la negatività insuperabile della mancanza in un motore positivo capace di generare sovrabbondanza. Non a caso egli non si accontenta semplicemente di sfamare il suo popolo, di soddisfare il loro bisogno di mangiare. Si tratta, piuttosto, dell’allestimento di un vero e proprio banchetto, di una festa, di un momento collettivo di gioia perché non solo «mangiarono tutti e tutti furono saziati», ma «dei pezzi avanzati raccolsero dodici cestini pieni e anche dei pesci».

Alzogliocchiversoilcielo

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sabato 18 marzo 2023

CI VEDO !


-  Vangelo IV Domenica 

di Quaresima

 Laetare -

- Commento di p. Ermes Ronchi

In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio (...). Un uomo nato cieco, così povero che possiede soltanto se stesso. E Gesù si ferma proprio per lui.

Arriva la prima domanda: perché cieco? Chi ha peccato? Lui o i suoi genitori? Gesù ci allontana immediatamente dall’idea che il peccato sia la spiegazione del male, la chiave di volta della religione. La bibbia non dà risposte al perché del male innocente, le cerchi invano. Neppure Gesù lo spiega. Fa altro: lui libera dal male, si commuove, si avvicina, tocca, abbraccia, fa rialzare. Il dolore più che spiegazione vuole condivisione. Gesù spalma un petalo di fango sulle palpebre del cieco, lo manda alla piscina di Siloe, torna che ci vede: uomo finalmente dato alla luce. Nella nostra lingua partorire si dice anche “dare alla luce”. Gesù dà alla luce, partorisce vita piena. Il filo rosso del racconto è una seconda domanda, incalzante, ripetuta sette volte: come ti si sono aperti gli occhi? Tutti vogliono sapere “come” si fa, “come” ci si impadronisce del segreto di occhi nuovi e migliori, tutti sentono di avere occhi incompiuti.

Lo sappiamo: basta una lacrima e non vedi più. Quanti occhi acutissimi ho visto spegnersi: dicevano di vederci bene ed è bastata una lacrima, l’unghiata di un dolore, e si sono annebbiati, gli orizzonti e le strade scomparsi. Di fronte alla gioia dell’uomo “dato alla luce”, che vede per la prima volta il sole, il blu del cielo e gli occhi di sua madre, anche gli alberi, se potessero, danzerebbero; anche i fiumi batterebbero le mani, dice il salmo. I farisei, no. Non vedono il cieco illuminato ma solo un articolo violato:

Niente miracoli di sabato. Non si salvano vite, oggi. C’è il riposo santo. Avete sei giorni per farvi guarire, non di sabato. Di sabato Dio vi vuole ciechi! Ma che religione è mai quella che non guarda al bene dell’uomo, ma che parla solo di se stessa, a se stessa? Una fede che non si interessi dell’umano non merita che ad essa ci dedichiamo (Bonhoeffer) C'è un'infinita tristezza nella pagina. I farisei mettono Dio contro l’uomo, ed è il peggior dramma che possa capitare alla nostra fede, a tutte le fedi: mostrano che è possibile essere credenti, senza essere buoni; credenti e duri di cuore. È facile ed è mortale. E invece no, gloria di Dio non è il sabato osservato, ma un mendicante che si alza, che torna a vita piena, “uomo finalmente promosso a uomo” (P. Mazzolari). E il suo sguardo che illumina il mondo dà gioia a Dio più di tutti i comandamenti osservati.

 Come lui, torniamo ad avere occhi di bambini, di figli amati: occhi aperti, occhi meravigliabili, occhi grati e fiduciosi, occhi speranzosi, occhi che ridono o piangono con chi sta loro davanti; occhi, insomma, contagiati di cielo. Signore metti luce nei miei pensieri, luce nelle mie parole, luce nel mio cuore.

 (Letture: 1 Samuele 16, 1.4 6-7. 10-13; Salmo 22; Efesini 5, 8-14; Giovanni 9, 1-41).

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sabato 5 febbraio 2022

BARCHE VUOTE


 -         Is 6,1-2.3-8/1Cor 15,1-11/Lc 5,1-11

 + Dal Vangelo secondo Luca

 In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.  Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

 Commento di p. Paolo Curtaz

 Vibrano

 Vibrano gli stipiti delle porte del tempio di Gerusalemme, perché Dio lo riempie col lembo del suo mantello. E Isaia, affascinato, scosso, travolto da tanta bellezza, misura la distanza tra la sua poca fede e l’immensa bellezza di Dio.

Vibra di passione il più piccolo fra gli apostoli che difende la comunità che ha evangelizzato e che viene turbata da presunti “super-apostoli” che denigrano il suo annuncio, primi di una lunga serie di sé-dicenti avvocati di Dio.

Vibra il cuore di Simone, disincantato e stanco dopo una lunga e infruttuosa notte di pesca, che si ritrova, lui uomo di corda e di acqua, di odore di pesce e di notti insonni, a dare retta a quel perdigiorno di falegname e gli impresta la barca.

Vibrano i nostri sensi, la nostra intelligenza, quando ci abbeveriamo alla Parola che illumina e orienta la nostra settimana. Bussola per condurre la nostra barca in questi tempi di onde agitate, di paure irrisolte, di comunità in affanno. Vibrano gli stipiti, perché Dio riempie le nostre piccole vite.

La folla gli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio.

Perché siamo assetati di parole divine, di parole che costruiscono, illuminano, orientano, incoraggiano, svelano, scuotono, riempiono. Ascoltano le riflessioni dei rabbini, dei guaritori, degli scribi e quelle severe e credibili dei farisei, ma nessuna parola rimanda a Dio come quelle del Nazareno. Nessuna accarezza l’anima. La accende. La provoca. Nessuna. Allora fanno ressa, si accalcano, sgomitano per stargli accanto. Hanno camminato per ore, attirati dalle notizie che giungono dal lago e, infine, siedono, assetati.

E Gesù li disseta.

Quando qualcuno con le sue parole ci smuove e ci spinge verso un mondo nuovo tutto, in noi, fiorisce. Certo, alcuni ci manipolano, ci blandiscono, sono dei piazzisti, abili nel sedurre.

Allora le loro parole prima accendono ma, ben presto, si affievoliscono e non lasciano traccia. Altri invece, colpiscono come un pugno in pieno volto. E ci cambiano la vita. Gesù è così. Perché proferisce le parole stesse di Dio.

Delusioni

Mentre parla vede, con la coda dell’occhio, quei tali che stanno riassettando le reti. Sono stanchi, si vede dai loro gesti affaticati. Sono delusi, lo immagina, vedendo le ceste tristemente vuote di pesci. Tacciono. In cuor loro, probabilmente, stanno giudicando quel perditempo che arringa le folle. E le folle che non hanno di meglio da fare di perdere il loro tempo ascoltando un idiota. E decide di coinvolgerli. Ha bisogno della loro barca. Quella vuota.

 Lo pregò di scostarsi un poco da terra.

Gesù prega Simone. È gentile. Rispetta il suo dolore. Non irrompe nella sua vita sguaiatamente. Sa che in certi momenti della vita le parole hanno un peso. E possono definitivamente incrinare e distruggere.

Così fa con noi, il Signore.

 Ci raggiunge alla fine della notte. Quando le ceste sono vuote. E davanti abbiamo ancora una lunghissima giornata da portare a compimento. Sale sulla mia barca vota, in secca. Colma solo di fallimenti, di giudizi negativi, di peccato, di delusione, di amarezza. Come spesso accade. Anche se siamo discepoli. Anche se lo siamo da lunga data. Anche se, generosamente, abbiamo donato la nostra vita al Signore, spendendola per il Vangelo.

E, con garbo, pregando, ci invita scostarci dalla secca. Un poco, all’inizio. Quella minima distanza necessaria a poter udire le sue parole divine e non il sordo brusio del nostro scoraggiamento e delle nostre lamentele. Poi, quando Pietro, e noi, cominciamo a fidarci, osa.

Prendi il largo.

Non ha senso. Non ne hai la forza. Forse non lo vuoi nemmeno. Ma l’invito è troppo gentile. E vai. Sulla tua parola. Perché le tue parole mi hanno scosso.

Stupori

Pescano, e accade. La nave quasi affonda, serve aiuto. Tutti sono indaffarati ed eccitati dalla pesca inattesa e sovrabbondante. Tutti, eccetto Pietro. È scosso. Invaso dallo stupore, lui e gli altri, annota Luca. Stupito e stordito. Le emozioni debordano. Invadono ogni angolo della sua mente. Gesù ha chiesto una barca vuota. La restituisce colma.

Anche il cuore di Pietro è colmo. Spaventato.  Dunque, è così? Dio ti prega di aiutarlo? Anche quando sei sfinito e demotivato e arrabbiato? Anche quando non hai più né forza né desiderio? Sì, certo.

Pietro vede la sua ombra, davanti a tutta quella luce. Un’ombra cui, pure, Gesù non ha fatto nemmeno cenno. Di cui non ha tenuto conto. Ha visto la barca vuota. Ha visto il suo volto deluso. Ha visto il suo limite.  Ma non si è fermato. Si butta in ginocchio, ora, Pietro.  Allontanati da me, sono un peccatore. Sì, è vero. E allora? Pensi davvero, Pietro, che il tuo limite limiti Dio?

 Essere consapevole dei propri limiti è la condizione migliore per avvicinare dei fratelli e delle sorelle, per diventare pescatore di umanità. Siamo noi che vorremo essere puri e perfetti. Siamo noi che vorremmo essere lindi e immacolati. E sempre in forma. E coerenti. E credibili. Ed ammirevoli. Ed esemplari. A Dio serve una barca. Meglio se vuota. Se sgombra da tutte le nostre ansie e da tutti i nostri sogni di gloria.

Questo è il vero miracolo.

Vibrano, gli stipiti del nostro cuore. Dio ha bisogno di me.

Paolo Curtaz

venerdì 14 maggio 2021

IL MIRACOLO E IL DISINCANTO


Di solito si scrive un libro per narrare un’esperienza. in questo caso è il contrario. Avevo da poco mandato alle Dehoniane la mia riflessione sulla Provvidenza, resa più che mai attuale dalla pandemia, quando, ai primi marzo, sono stato colpito dal Covid 19, e in forma grave. Credo di aver visto confermato in ciò che ho vissuto il messaggio che volevo comunicare con il libro: il bene è sempre più grande del male e la potenza di Dio si manifesta nella sua e nella nostra debolezza".  G. Savagnone


Questo libro non pretende di dare risposte esaurienti alle domande che le donne e gli uomini di oggi - credenti e non credenti - si pongono su quanto sta accadendo nel mondo. 

Ai credenti queste pagine propongono una rilettura meno abitudinaria e meno distratta di un caposaldo della loro fede, la provvidenza, non per eliminare dubbi, ma per renderli fecondi stimoli alla riflessione personale. 

Ai non credenti esse si rivolgono nella convinzione che in ogni non credente si nasconde un non credente, e che, allo stesso modo, in ogni non credente si cela spesso un'inquietudine interiore che lo porta a non accontentarsi dei soli fatti e lo spinge a cercarne il senso. 

La visione cristiana della provvidenza non è certamente il punto di partenza di tale ricerca, ma potrebbe esserne il punto d'arrivo.

Il miracolo e il disincanto. La provvidenza alla prova

 Giuseppe Savagnone  

Editore: EDB
Collana: Fede e annuncio
Anno edizione: 2021
In commercio dal: 6 maggio 2021
Pagine: 128 p., Brossura
  • EAN: 9788810990025

sabato 6 febbraio 2021

UN "OLTRE" CUI AFFIDARE LA NOSTRA SPERANZA

+ Dal Vangelo secondo Marco - Mc 1,29-39

 In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva. Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano. Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo, infatti, sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

Padre Ermes Ronchi commenta il brano del Vangelo 

All’inizio della vita pubblica Gesù attraversa i luoghi dove più forte pulsa la vita: il lavoro (barche, reti, lago), la preghiera e le assemblee (la sinagoga), il luogo dei sentimenti e dell’affettività (la casa di Simone). Gesù, liberato un uomo dal suo spirito malato, esce dalla sinagoga e “subito”, come incalzato da qualcosa, entra in casa di Simone e Andrea, dove “subito” (bella di nuovo l’urgenza, la pressione degli affetti) gli parlano della suocera con la febbre.

Ospite inatteso, in una casa dove la responsabile dei servizi è malata, e l’ambiente non è pronto, non è stato preparato al meglio, probabilmente è in disordine. Grande maestro, Gesù, che non si preoccupa del disordine, di quanto di impreparato c’è in noi, di quel tanto di sporco, dell’aria un po’ chiusa delle nostre vite. E anche lei, donna ormai anziana, non si vergogna di farsi vedere da un estraneo, malata e febbricitante: lui è venuto proprio per i malati. Gesù la prende per mano, la rialza, la “risuscita” e quella casa dalla vita bloccata si rianima, e la donna, senza riservarsi un tempo, “subito”, senza dire «ho bisogno di un attimo, devo sistemarmi, riprendermi» (A. Guida) si mette a servire, con il verbo degli angeli nel deserto.

Noi siamo abituati a pensare la nostra vita spirituale come a un qualcosa che si svolge nel salotto buono, e noi ben vestiti e ordinati davanti a Dio.  […] E’ questa la lieta notizia. Una mano ti accende la fretta dell’amore, e ti incalza: guarisci altri, e guarirà il tuo dolore.

DOLORE ACCOVACCIATO ALLA PORTA

Marco delinea i tratti di Gesù che, uscito dalla sinagoga, va a casa di Simone: è un uomo che guarisce, prega e annuncia: nella vita è datore di vita; nella notte, cerca Dio e gli fa memoria degli uomini; nel giorno, fa loro memoria di Dio. Ricordati, supplica Giobbe, che la vita è un soffio amaro. Davanti a Dio non c’è altro merito che essere piccoli; un alito basta per essere amati.

Gesù a Cafarnao è assediato dal soffio del male. Con un crescendo turbinoso di malattie e demoni, a sera la porta della città scoppia di folla e dolore. Ma lui si inventa spazi segreti per ristorare l’anima, spazi dove nulla sia più importante di Dio, dove dirgli: sto davanti a Te; per un tempo che non so, niente viene prima di Te. Un giorno e una sera per pensare all’uomo, una notte e un’alba per pensare a Dio, in un equilibrio perfetto di bisogni e desideri.

La suocera di Simone era ammalata, e gli parlarono di lei. Gesù ha un cuore che ascolta, quel cuore da re che Salomone aveva chiesto, incantando il Signore. Il rabbi la prende per mano, e lei, non più imbrigliata nei suoi problemi, può occuparsi della felicità degli altri. E li serviva… come gli angeli con Gesù nel deserto, dopo le tentazioni. La donna, una nullità, è assimilata agli angeli, i più vicini a Dio.

E’ questa la lieta notizia. Una mano ti accende la fretta dell’amore, e ti incalza: guarisci altri, e guarirà il tuo dolore, perché se il Signore ti ha preso per mano e sollevato, devi solo a tua volta prendere un’altra mano!

Questo racconto di un miracolo dimesso, così poco vistoso, senza parole da parte di Gesù, ci ispira a pensare che ogni limite umano è lo spazio di Dio, il luogo dove atterra la sua potenza.

Poi, dopo il tramonto, finito il sabato con i suoi 1521 divieti (proibito anche visitare gli ammalati) tutto il dolore di Cafarnao si riversa sulla porta di Simone. La città intera è riunita davanti a Gesù, in piedi sulla soglia, in piedi tra la casa e la strada, tra la casa e la piazza. Gesù, polline di parole che ama porte e tetti spalancati, ad accogliere occhi e stelle, che ama il rischio della vita, del dolore, dell’amore che attende, è lì con loro.

Ma quando era ancora buio, uscì in segreto e pregava. Tutta la città ti cerca, che fai qui? E lui: andiamo altrove, andiamo via. Si sottrae, non cerca il bagno di folla. Cerca altri villaggi, un altro soffrire da curare. Cerca le frontiere del male per farle arretrare, cerca un’altra donna da rialzare. La vita ora si diramerà su altri dolori, a stringere altre mani; perché di questo Lui ha bisogno, non di onori, ma della stretta della mia mano, che ha cercato a lungo, altrove.

Uomo e Dio, l’Infinito e il mio nulla, padre e figlio così: mano nella mano, a cui aggrapparmi forte, con fiducia di bambino. Icona possente e mite della buona novella. 

CERCO IL TUO VOLTO