Visualizzazione post con etichetta crescita. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta crescita. Mostra tutti i post

martedì 8 aprile 2025

ADOLESCENZA INFINITA

 


Colpa 

delle troppe pretese

 di questa società

 


-         di Paola Molteni 

     

Da una parte ci sono loro, giovani fragili, arrabbiati, distanti. Dall’altra troviamo i genitori, preoccupati e disorientati, alle prese con la fatica di capire i propri figli e di aiutarli a superare i disagi di una vita appena cominciata. Difficile trovare un terreno comune ma è proprio questo l’obiettivo che esperti e studiosi indicano a tante mamme e papà che si sentono stanchi e sfiduciati.

Lo fa anche Alvaro Bilbao, neuropsicologo e psicoterapeuta spagnolo, con il testo appena pubblicato dall’editore Salani, dal titolo Come funziona il cervello di un adolescente. Sì, perché a indicare la strada verso un incontro rinnovato tra adulti e ragazzi è proprio la comprensione del complesso funzionamento della mente adolescenziale. Un cammino che madri e padri devono percorrere insieme ai propri figli per poterli sostenere durante il processo di cambiamento e di crescita.

Un labirinto

Un labirinto, più che un percorso, perché è difficile entrare nella testa dei giovanissimi.

Tanto per cominciare è già complesso definire biologicamente questa stagione di vita. “La prima cosa che dobbiamo capire è il significato della parola adolescenza”, premette l’autore. “Adolescenza significa in crescita, un processo che inizia tra gli 11 e i 12 anni, la cosiddetta pubertà, quando cambiano gli organi genitali e aumentano gli ormoni, testosterone ed estrogeni”. Più complesso determinarne la conclusione. “Una volta terminava verso i 14 anni, con la crescita della barba nei ragazzi e del seno nelle ragazze, perché il processo di maturazione era considerato esclusivamente dal punto di vista biologico. Dobbiamo però considerare che l’essere umano non è solo una creatura biologica ma anche un soggetto culturale e sociale. In questo senso l’adolescenza finisce quando un giovanissimo ha sviluppato le capacità di cui ha bisogno per essere indipendente e cavarsela da solo.

Un’autonomia che ritarda

A condizionare il raggiungimento dell’autonomia e quindi a segnare la fine dell’adolescenza sono le epoche storiche, e le culture dei Paesi. Per esempio, nell’Europa degli anni Ottanta l’adolescenza poteva finire verso i 18 anni. Oggi esiste una sorta di moratoria psicosociale, perché il periodo in cui i giovani acquisiscono le condizioni necessarie alla loro emancipazione dura più a lungo. Per capirci, a 22 anni i ragazzi sono ancora un po' adolescenti. Oggi non basta più terminare le scuole superiori per aver completato il ciclo di studi e la stessa università spesso non è sufficiente per entrare nel mondo del lavoro, servono master e tirocini. Una domanda sempre più alta per i nostri ragazzi che sperimentano fatica e frustrazione nel raggiungere equilibrio e fiducia in sé stessi”.

Fragilità

E se la fragilità e l’inquietudine hanno caratterizzato gli adolescenti di tutti i tempi, ancora di più vale per quelli dei nostri giorni, la cosiddetta Generazione Z, espressione emblematica di questo malessere, tanto da essere definita “la generazione ansiosa e depressa”, considerata particolarmente a rischio. Lo indicano chiaramente i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Tra il 10 e il 20% dei bambini e soprattutto degli adolescenti, soffre dal punto di vista psichico. Il 75% delle patologie insorge prima dei 25 anni e la metà presenta sintomi di depressione, ansia e disturbi comportamentali prima dei 14.

Una vulnerabilità che è segno dei tempi, come conferma lo scrittore. “Più è complessa una società, più tempo il cervello impiega per maturare ed essere pronto ad affrontare i compiti della vita. I giovani devono armonizzare l’apprendimento scolastico con le relazioni sociali, devono parlare diverse lingue, saper convivere per più anni con i genitori, riuscire a usare bene un computer e ora anche l’intelligenza artificiale. Quindi, pur vivendo in una società in cui possiamo far conto su molti supporti, imparare a gestire tutto richiede tempi lunghi, lavoro e autodisciplina. Un impegno che li rende sempre più stressati”.

Smartphone

A causare gran parte dell’insicurezza e del disagio negli adolescenti, riflette Bilbao, è la presenza invasiva dei dispositivi elettronici, che condiziona il loro benessere mentale. “La mia generazione poteva anche annoiarsi la domenica pomeriggio, guardare la televisione, leggere un libro. Oggi i ragazzi dedicano molte ore alla settimana ai social network, da cui ricevono continui stimoli, e sviluppano una tendenza al paragone con gli altri. E non parliamo di un confronto costruttivo e stimolante con quello con amici e compagni di scuola.

Oggi il paragone si fa con i modelli del mondo dello spettacolo e i calciatori, da Taylor Swift a Cristiano Rolando o Messi, e il loro stile di vita inarrivabile. I giovani li invidiano senza chiedersi se sono felici, senza pensare che il denaro non protegge dalla tristezza e dalle frustrazioni.”.

 Felicità

A proposito di felicità, i ragazzi sanno riconoscerla? “La sperimentano con l’amicizia, un rapporto caratteristico dell’adolescenza, il tempo in cui passiamo più tempo con gli amici. Un'altra fonte di felicità – aggiunge l’autore – è sapere di avere uno scopo nella vita, che purtroppo spesso i ragazzi individuano nel successo materiale, come avere una Lamborghini o fare vacanze costose. Io dico sempre ai genitori: insegnate ai vostri figli che la felicità non sta in ciò che è straordinario, bensì nelle cose di tutti i giorni”.

E come si sentono i genitori davanti a queste sfide educative? Di che cosa sentono necessità? “In primo luogo di essere sostenuti”, sottolinea il neuropsicologo. “Tutti noi, esperti e terapeuti, dobbiamo volere bene a madri e padri perché quello che vogliono, sopra ogni cosa, oltre ogni preoccupazione e affanno, è prendersi cura dei propri figli. Dobbiamo orientarli però, perché capiscano di che cosa hanno davvero bisogno i giovani, senza farli mai sentire colpevoli davanti agli insuccessi e alle insicurezze”. Secondo lo psicologo ciò che serve è molto semplice. “Dedicare ai figli attenzione e dialogo durante la cena, coltivare il legame che deve unirli a loro. Si tratta di applicare poche norme ma chiare e importanti, prima fra tutte quella che riguarda l’uso dei dispositivi. Né genitori né figli devono usare il cellulare mentre si sta a tavola o si sta guardando la televisione. Bisogna mettere smartphone e tablet in una camera diversa rispetto a quella in cui si dorme, affinché non interferiscano con il sonno, che è la principale fonte di benessere per tutti”.

Regole

Le regole, secondo Bilbao, sono anche leve fondamentali per riuscire a prevenire i problemi di disagio mentale. “Perché è vero che i malesseri si manifestano quando il bambino o l’adolescente riceve poco affetto e poca attenzione. Ma ricordiamoci, cosa molto importante, che un’altra fonte di trauma è proprio la mancanza di limiti e di norme”.

Lo psicoterapeuta rivolge infine il suo consiglio pratico ai genitori. “Quando lavoro con famiglie che hanno problemi chiedo sempre di dedicare un’ora alla settimana a qualcosa di cui si possa gioire insieme. Che si tratti di andare a vedere una partita di calcio, cucinare, vedere una serie tv o documentari sugli animali. Questo tempo esclusivo di almeno uno dei genitori con i figli aiuta a costruire il legame, e rappresenta un vero e proprio momento riparatore di disagi e conflitti. Grazie a queste occasioni i ragazzi saranno più disponibili ad accettare quelle regole che li aiuteranno ad abbandonare le cattive abitudini e perfino le dipendenze. Lo faccio anch’io da anni con i miei figli”.

 www.avvenire.it

 

 

martedì 25 luglio 2023

LA TERRA SFREGIATA


 Non siamo più sull'orlo dell’abisso, stiamo precipitando. Gli effetti del cambiamento climatico nel mondo sono terrificanti. Anche in Italia non si scherza, come tocchiamo con mano ogni giorno. Molti scienziati lo avevano previsto. Già cinquant'anni fa. Ma sono rimasti inascoltati. 

I grandi della Terra fingono di prestare attenzione alle parole di una ragazzina coraggiosa, ma continuano con le politiche di sempre. Il mito impossibile di una crescita infinita in un mondo finito acceca economisti e governanti senza idee e senza scrupoli. 

E ci sono sedicenti ambientalisti che continuano a predicare grandi opere e consumi senza fine. 

Che fare, dunque? Occorrono cambiamenti radicali e immediati. Che non ci saranno senza uno scontro politico in grado di smascherare ipocrisie e complicità.


Mercalli, Pepino - La terra sfregiata - ed, Gruppo Abele

mercoledì 31 agosto 2022

IL SONNO DELLA RAGIONE


 Fine dell’abbondanza, illusioni e iniquità. 

Addio al sonno della ragione

 

- di Mauro Magatti

 

«È finita l’epoca dell’abbondanza»: così ha affermato il presidente Macron, forse per preparare i suoi concittadini a un autunno e a un inverno che si annunciano complicati. Le reazioni sono state immediate: in un Paese come la Francia, con 9 milioni di poveri, una dichiarazione del genere è apparsa a molti fuori luogo. Per tanti francesi «la fine dell’abbondanza» non è iniziata oggi, ma diversi anni fa. E tuttavia la presa di posizione di Macron – politico molto vicino alla tecnocrazia internazionale – è qualcosa in più di una semplice battuta.

Fine dell’abbondanza significa, molto concretamente, l’uscita forzosa dalla lunga stagione di una crescita quantitativa pensata come illimitata, cioè senza vincoli dal punto di vista finanziario, energetico, delle risorse naturali e umane. A cui nell’immediato rischia di seguire una grandinata di cattive notizie: scarsità di energia e materie prime, inflazione a due cifre, recessione economica. La paura (giustificata) è che le difficoltà annunciate possano scatenare un’ondata di protesta e destabilizzare le democrazie. A cominciare da quella italiana. Esattamente ciò che spera Putin, che ha saputo rivoltare contro l’Occidente le sanzioni decise dopo l’invasione dell’Ucraina.

In questa situazione la risposta automatica è: più risorse pubbliche. Una soluzione che, seppur necessaria, è tuttavia insufficiente. E che però, in una campagna elettorale che guarda a mesi che si annunciano tempestosi, diventa il flauto magico suonato da tutti i leader. In fondo, nel nostro Paese l’abbondanza si è per lo più tradotta nell’ampliamento abnorme del debito pubblico e della rendita, al punto che, come ha fatto notare qualche giorno fa Alberto Brambilla, oggi «metà degli italiani vive 'a carico' di qualche altro».

Ma non esistono soluzioni facili a problemi difficili: e così, al di là delle pezze che pure occorre mettere, le difficoltà che abbiamo davanti sono un invito a cercare la via di uno sviluppo migliore rispetto a quello alle nostre spalle. Per quanto difficile, ciò è possibile a tre condizioni. In primo luogo, 'fine dell’abbondanza' significa tornare a declinare crescita economica e giustizia sociale. Una relazione che proprio l’idea di crescita infinita ha rimosso: se la torta cresce, non importa preoccuparsi troppo di come la si divide. Sappiamo, invece, che le cose sono andate diversamente: nel corso degli anni, la ricchezza si è sempre più concentrata, la quota di valore aggiunto destinato al lavoro si è ridotta a vantaggio dei profitti, gli squilibri territoriali sono aumentati.

C’è bisogno di ricomporre le divaricazioni che spaccano le nostre società, dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sono sempre più poveri. Con ampie quote del ceto medio che scivolano verso una condizione di precarietà. E con le nuove generazioni che stentano a mantenere le condizioni di vita dei padri. In secondo luogo, 'fine dall’abbondanza' non significa necessariamente meno, ma può anche volere dire più.

Un più diverso dal semplice aumento del Pil. In gioco vi è l’idea di 'valore', cioè la misura di ciò che è davvero in grado di accrescere il nostro ben vivere. Sono gli choc che si stanno susseguendo a imporcelo: lo sviluppo è fatto di tutte quelle dimensioni immateriali, qualitative e relazionali che abbiamo messo tra parentesi e che invece, alla fine, sono essenziali per la nostra vita, individuale e collettiva. In terzo luogo, 'fine dell’abbondanza' comporta la capacità di gestire e trasformare il forte risentimento che cresce in una società abituata ad avere tutto ed è perciò insofferente all’idea stessa di limite. Lo abbiamo visto durante la pandemia.

Le restrizioni che ci sono state imposte dal virus hanno generato un diffuso senso di responsabilità. Ma hanno anche sviluppato forti reazioni che in alcuni casi hanno rasentato la violenza. Una società più sobria ha bisogno di una pedagogia che oggi non c’è. Ecco perché è necessario che tutti coloro che hanno responsabilità pubbliche – dai politici agli imprenditori, dai manager ai docenti – evitino di cavalcare la tigre dell’odio che questa stagione inevitabilmente alimenta.

In definitiva, la 'fine dell’abbondanza' potrebbe essere il vincolo esterno per avviare quella trasformazione di cui si sente il bisogno ma che non si sa come realizzare. Riuscendo a immaginare una crescita che, senza ridursi all’aumento dei consumi privati, sia capace di rigenerare i legami sociali, di affiancare ai diritti individuali i doveri sociali, di scommettere sulla sussidiarietà intesa come responsabilità diffusa, di investire sulla generazione e sulla formazione, di portare avanti la transizione energetica sapendo della sua urgenza e dei suoi costi.

La 'fine dell’abbondanza' significa fondamentalmente risvegliarsi dal sonno della ragione che ci ha portati a credere che la crescita sia frutto di un meccanismo automatico, di un funzionamento sistemico, indipendente dalla spinta spirituale e dalla intelligenza che vengono dalle persone e dalla comunità. Nella società che abbiamo la possibilità di costruire non si tratta più semplicemente di rivendicare il proprio benessere individuale, ma di contribuire al bene comune.

 

www.avvenire.it

 

 

lunedì 2 marzo 2020

RAGAZZI VITTIME DI TV E CELLULARI

Gli schermi rendono i bambini irritabili, depressi e svogliati: 
6 modi in cui agiscono negativamente sul cervello

Tv e cellulari sono strumenti utili, ma da usare con moderazione e intelligenza.
I genitori diano il buon esempio-


Bambini depressi, apatici, nervosi e irritabili: è sempre più frequente riscontrare nei più piccoli disturbi comportamentali, diagnosticati o meno. Una soluzione spesso prospettata dagli esperti è quella di un periodo "senza schermi", intendendo ovviamente quelli elettronici: ed ecco che senza troppi sforzi migliora la qualità del sonno, i bambini si dimostrano più tranquilli e solari, migliora la capacità di attenzione, quella organizzativa e aumenta anche l'attività fisica. Ma perché l'eliminazione drastica e prolungata (qualche settimana) è così efficace? Perché inverte la maggior parte delle disfunzioni fisiologiche causate proprio da un'assunzione giornaliera di schermi.
I cervelli in sviluppo dei bambini sono molto più sensibili agli stimoli dei dispositivi elettronici: ecco 6 modi in cui gli schermi producono di frequente disturbi dell'umore.

  • 1. Gli schermi interferiscono con i ritmi sonno veglia. I ritmi di sonno e di veglia sono regolati dalla melatonina, un ormone che comunica al corpo quando dormire e che è rilasciato nel buio. È stato osservato che la luce emessa dagli schermi agisce come soppressore della melatonina, interferendo con i cicli naturali di sonno e di attività. Solo qualche minuto di luce blu bastano a ritardare la secrezione dell'ormone anche di qualche ora. 
  • 2. Gli schermi desensibilizzano il sistema di ricompensa del cervello. Usare schermi elettronici fa rilasciare nel corpo alti livelli di dopamina, l'ormone responsabile della sensazione di benessere nel raggiungimento degli obiettivi. Quando però il sistema di ricompensa viene usato eccessivamente si desensibilizza, e sono necessarie esperienze sempre più stimolanti per provare piacere.
  • 3. Esistono collegamenti tra luce blu degli schermi e depressione. Diversi studi hanno dimostrato come l'esposizione giornaliera alla luce blu degli schermi elettronici sia collegata ad una maggiore insorgenza di depressione e disturbi collegati. 
  • 4. Gli schermi innescano reazioni di stress. Quando si sperimentano stress cronici, nel corpo si innescano alterazioni ormonali che possono determinare una irritabilità maggiore.
  • 5. Gli schermi sovraccaricano il sistema sensoriale e frammentano la capacità di attenzione, con il risultato che dietro un comportamento "esplosivo" c'è sempre una incapacità di attenzione: quando manca la capacità di concentrazione, viene intaccato il processo di elaborazione degli stimoli ambientali, col risultato che piccole questioni appaiono insormontabili. 
  • 6. Gli schermi diminuiscono il contatto con la natura e il movimento fisico. Stare a contatto con la natura, di contro, può ripristinare le capacità di attenzione e concentrazione, riduce lo stress e gli stati di aggressività. 

Source:


mercoledì 13 giugno 2018

GIOVANI, AFFAMATI DI VITA AUTENTICA

Papa Francesco:

" .....  Iniziamo oggi un nuovo itinerario di catechesi sul tema dei comandamenti. I comandamenti della legge di Dio. Per introdurlo prendiamo spunto dal brano appena ascoltato: l’incontro fra Gesù e un uomo - è un giovane - che, in ginocchio, gli chiede come poter ereditare la vita eterna (cfr Mc 10,17-21). E in quella domanda c’è la sfida di ogni esistenza, anche la nostra: il desiderio di una vita piena, infinita. Ma come fare per arrivarci? Quale sentiero percorrere? Vivere per davvero, vivere un’esistenza nobile… Quanti giovani cercano di “vivere” e poi si distruggono andando dietro a cose effimere.
Alcuni pensano che sia meglio spegnere questo impulso - l’impulso di vivere - perché pericoloso. Vorrei dire, specialmente ai giovani: il nostro peggior nemico non sono i problemi concreti, per quanto seri e drammatici: il pericolo più grande della vita è un cattivo spirito di adattamento che non è mitezza o umiltà, ma mediocritàpusillanimità.[1] Un giovane mediocre è un giovane con futuro o no? No! Rimane lì, non cresce, non avrà successo. La mediocrità o la pusillanimità. Quei giovani che hanno paura di tutto: “No, io sono così …”. Questi giovani non andranno avanti. Mitezza, forza e niente pusillanimità, niente mediocrità. Il Beato Pier Giorgio Frassati – che era un giovane - diceva che bisogna vivere, non vivacchiare.[2] I mediocri vivacchiano. Vivere con la forza della vita. Bisogna chiedere al Padre celeste per i giovani di oggi il dono della sana inquietudine. Ma, a casa, nelle vostre case, in ogni famiglia, quando si vede un giovane che è seduto tutta la giornata, a volte mamma e papà pensano: “Ma questo è malato, ha qualcosa”, e lo portano dal medico. La vita del giovane è andare avanti, essere inquieto, la sana inquietudine, la capacità di non accontentarsi di una vita senza bellezza, senza colore. Se i giovani non saranno affamati di vita autentica, mi domando, dove andrà l’umanità? Dove andrà l’umanità con giovani quieti e non inquieti?
La domanda di quell’uomo del Vangelo che abbiamo sentito è dentro ognuno di noi: come si trova la vita, la vita in abbondanza, la felicità? Gesù risponde: «Tu conosci i comandamenti» (v. 19), e cita una parte del Decalogo. È un processo pedagogico, con cui Gesù vuole guidare ad un luogo preciso; infatti è già chiaro, dalla sua domanda, che quell’uomo non ha la vita piena, cerca di più è inquieto. Che cosa deve dunque capire? Dice: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza» (v. 20).
Come si passa dalla giovinezza alla maturità? Quando si inizia ad accettare i propri limiti. Si diventa adulti quando ci si relativizza e si prende coscienza di “quello che manca” (cfr v. 21). Quest’uomo è costretto a riconoscere che tutto quello che può “fare” non supera un “tetto”, non va oltre un margine.
Com’è bello essere uomini e donne! Com’è preziosa la nostra esistenza! Eppure c’è una verità che nella storia degli ultimi secoli l’uomo ha spesso rifiutato, con tragiche conseguenze: la verità dei suoi limiti.
Gesù, nel Vangelo, dice qualcosa che ci può aiutare: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento» (Mt 5,17). Il Signore Gesù regala il compimento, è venuto per questo. Quell’uomo doveva arrivare sulla soglia di un salto, dove si apre la possibilità di smettere di vivere di sé stessi, delle proprie opere, dei propri beni e – proprio perché manca la vita piena – lasciare tutto per seguire il Signore.[3] A ben vedere, nell’invito finale di Gesù – immenso, meraviglioso – non c’è la proposta della povertà, ma della ricchezza, quella vera: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!» (v. 21).
Chi, potendo scegliere fra un originale e una copia, sceglierebbe la copia? Ecco la sfida: trovare l’originale della vita, non la copia. Gesù non offre surrogati, ma vita vera, amore vero, ricchezza vera! Come potranno i giovani seguirci nella fede se non ci vedono scegliere l’originale, se ci vedono assuefatti alle mezze misure? È brutto trovare cristiani di mezza misura, cristiani – mi permetto la parola – “nani”; crescono fino ad una certa statura e poi no; cristiani con il cuore rimpicciolito, chiuso. È brutto trovare questo. Ci vuole l’esempio di qualcuno che mi invita a un “oltre”, a un “di più”, a crescere un po’. Sant’Ignazio lo chiamava il “magis”, «il fuoco, il fervore dell’azione, che scuote gli assonnati».[4]
La strada di quel che manca passa per quel che c’è. Gesù non è venuto per abolire la Legge o i Profeti ma per dare compimento. Dobbiamo partire dalla realtà per fare il salto in “quel che manca”. Dobbiamo scrutare l’ordinario per aprirci allo straordinario..... "

Leggi: GIOVANI