Visualizzazione post con etichetta consumo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta consumo. Mostra tutti i post

giovedì 7 agosto 2025

CREATORI DI FUTURO

 

 


OLTRE

 L’IDEOLOGIA

 DEL FARE 

E DELL’AVERE


-       di FRANCESCO CICIONE

Parlare di “giovani” significa parlare di “futuro”. E parlare di “futuro”, per chi come me si occupa di “innovazione”, significa necessariamente parlare di “cambiamento”. A maggior ragione in un’epoca senza precedenti per l’intensità, la profondità e la velocità dei mutamenti in atto. Ma si può davvero parlare di “futuro”, di “innovazione” e di “cambiamento” autenticamente possibili, senza interrogarsi sul “senso”?

Empi ed infelici

Nella Giornata Mondiale dei Giovani, papa Leone XIV ha pronunciato un’esortazione che scuote le coscienze e che, in poche parole, racchiude tanti significati necessari: « Comprare, ammassare, consumare non basta per placare la sete che arde nel cuore dell’uomo ». Risuona (probabilmente non per caso) la contestuale lettura domenicale del Qoelet: « Vanitas vanitatum et omnia vanitas » (« vanità delle vanità, tutto è vanità»), « praeter amare Deum et illi soli servire » («eccetto amare Dio e servire Lui solo»), verrà precisato molti secoli dopo ne L’imitazione di Cristo. La sapienza biblica ricorda che ogni sforzo, se privo di un significato autentico, rischia di tradursi in un vano “ rincorrere il vento”. Pura idolatria del “fare” e dell’”avere”, che ci impedisce di “essere”. Perché, ricorda ancora una volta il Qoelet, la chiamata universale dell’umanità e di ogni persona, è ad “essere”, appunto: « Egli ha messo la nozione dell’eternità nel loro cuore ». L’attuale modello di sviluppo (e, conseguentemente, di società) è, invece, ontologicamente acquisitivo, incrementale ed estrattivo. Disumano, dunque. Le mirabili sorti e progressive ci sono, probabilmente, sfuggite di mano. Un dato, su tutti, lo testimonia. La tecno-sfera ha raggiunto e superato la massa della bio-sfera. La massa artificiale prevale sulla massa naturale. Non si tratta, quindi e solo, di governare l’avvento dell’intelligenza artificiale. Quanto di governare l’avvento della società artificiale. Dopo la società aperta e la società liquida siamo, infatti, entrati nell’era dell’antropocene aumentato. Tutto sta diventando artificiale. E questa artificialità ci schiaccia, ci soffoca, ci sovrasta, ci uccide. Eppure, ci ostiniamo a non cambiare. Siamo prigionieri di noi stessi, dei nostri vizi, della nostra voluttà, della nostra ingordigia, della nostra superbia, del nostro falso benessere. Empi ed infelici. Poiché non può esserci felicità nell’ingiustizia.

Viviamo da carnefici.

 Il nostro stile di vita costa letteralmente la vita di un pezzo di umanità presente e futura. La storia ci presenterà il conto. La storia ci sta già presentando il conto. Dobbiamo cambiare. Dobbiamo ricomporre la frattura tra verità dell’essere e verità dei fini. Al motto olimpico dobbiamo sostituire il motto aureo. Dobbiamo ricominciare ad agire da buoni antenati delle future generazioni e da buoni discendenti delle generazioni che ci hanno preceduti. Dobbiamo vivere da custodi e non da proprietari del creato. Dobbiamo ricordare che il nostro diritto di proprietà non è ius utenti et abutendi bensì potestas procurandi et dispensandi.

Abbiamo urgente bisogno di una nuova matematica e di una nuova grammatica dello sviluppo. Lo desideriamo tutti, ma nessuno ha il coraggio di farlo. Nessuno ha la forza di abbandonare la propria comfort zone. Vorremmo che fossero gli altri a cambiare affinché ciascuno possa mantenere i propri privilegi. Non può esserci cambiamento restando all’interno dello schema che vogliamo cambiare. Siamo chiamati ad essere controintuitivi, ad inseguire “ virtute e nuova canoscenza”, oltre l’extrema thule del mondo conosciuto.

Speranza di futuro

I giovani, piccolo grande gregge, possono e debbono essere, vera speranza di futuro. Come scriveva il filosofo tedesco Wilhelm Dilthey, «il giovane è quel punto di crisi tra ciò che è stato e ciò che sarà»: una crisi passa per il disorientamento e diventa soglia creativa, opportunità di ripensare criticamente l’idea stessa di progresso e di società.

Per assolvere a questo compito ai giovani (oggi come ieri, oggi come domani) è chiesto, però, di scegliere coraggiosamente ed autenticamente: essere “consumatori di presente” o “creatori di futuro”? Inseguire una felicità effimera e non duratura fondata sul possesso dei beni, o ricercare, passo dopo passo, fatica dopo fatica, la gioia che non muore e che dona senso alla vita? Perché è nella fatica che troviamo la verità, ed è nella verità che troviamo la salvezza. Sant’Agostino nel suo Discorso sul Vangelo di Giovanni, ha indicato la via: «Se 

vuoi che il mondo diventi un luogo migliore, comincia a custodire il tuo cuore». È da questo cuore custodito e orientato al bene autentico e non retorico che può nascere davvero un mondo nuovo, un mondo migliore, un mondo armonico.

www.avvenire.it

Immagine

 

domenica 1 dicembre 2024

IL SELF REGALO

 

Sarà una carestia di desideri che preparerà,

 prima o poi, la fine di questo

 nuovo culto globale.

 La speranza è che nel frattempo,

 da qualche parte,

 siano sopravvissuti comunità e doni veri.


- di Luigino Bruni 

Tra le molte feste della religione capitalista il black friday è quella che presenta una “purezza cultuale” perfetta che ci consente di capire dimensioni di questa nuova religione che vediamo con minore limpidezza in altre feste ormai trasformate e assimilate, come il nuovo Natale o il vecchio Halloween. 

La liturgia del consumo

Innanzitutto, dobbiamo tener presente che la mentalità del consumo fa parte di ogni esperienza religiosa. Il culto, la liturgia, sono sempre state anche esperienze di soddisfacimento di bisogni del corpo, non solo dell’anima. Basti pensare anche ad una messa cattolica dove tutti i sensi sono stimolati: udito (canti), vista (arte), olfatto (incensi), gusto (pane e vino), tatto (statue di santi). Nelle religioni la dimensione spirituale è solo una tra le tante, e nemmeno quella più importante. I nostri nonni che riempivano le chiese (le nonne soprattutto) e popolavano le feste religiose, non erano interessati alla mistica né all’ascetica. Non cercavano la contemplazione delle realtà celestiali. La messa domenicale e le altre feste di precetto erano soprattutto la celebrazione del legame sociale, della vita, un’esplosione di corpi, di abbracci, di danze, di grandi pasti collettivi, di eccesso, di spreco, di dépense (diceva Bataille), di trasgressione, del bisogno di un giorno diverso. I santi e Dio erano la scusa per fare la festa e le processioni, ma i protagonisti principali della festa erano altri. 

 Se lo guardiamo bene, il black friday presenta infatti tutti i caratteri antropologici e sociali degli antichi culti religiosi. Il primo riguarda la stessa importanza essenziale delle feste. Il cristianesimo non divenne christianitas per l’Editto di Milano del 313. Non lo divenne neanche per la teologia, né per i libri e i dogmi. L’operazione decisiva fu l’occupazione prima dei vecchi templi greco-romani e, poi, soprattutto, la sostituzione delle vecchie feste popolari romane, celtiche, etrusche, picene, sabine ... 

La cultura nasce dal culto, ci ricordava nel 1922 Pavel Florenskij. E cultura significa processioni con baldacchini da trasportare e i fuochi da sparare, oggetti da toccare con le mani, statue da bagnare con le lacrime, e la loro ripetizione ciclica annuale. 

 Anche il black friday è nato come festa di processioni (davanti ai negozi), il bisogno di toccare l’oggetto, lacrime per aver ottenuto l’oggetto tanto desiderato, una festa popolare molto affollata. Negli ultimi anni, però, si stanno verificando importanti novità, che ne stanno velocemente cambiando la natura. Prima però soffermiamoci su un elemento da non sottovalutare. 

 Il mondo cattolico, soprattutto con la Controriforma, ha molto accentuato la dimensione del consumo nel culto e nella liturgia – si pensi alla messa, dove il sacerdote “produce” il bene (eucarestia) che il popolo ‘consuma’. 

La cosiddetta “cultura della vergogna”, sempre attiva e dominante nei Paesi latini, ha creato un ambiente economico dove le persone competevano soprattutto attraverso i beni di consumo “vistosi” (vestiti, case, auto... ), e non tramite il lavoro come accadeva invece nei Paesi protestanti. Tutto ciò ha creato una particolare predisposizione del mondo cattolico per la nuova religione del capitalismo da quando, negli ultimi decenni, questa ha spostato il suo centro dal lavoro al consumo. 

 La religione capitalista

Da qui un ennesimo paradosso: la religione capitalistica è nata nei Paesi calvinisti ma sta conquistando soprattutto quelli cattolici – e sempre più velocemente i vari Sud comunitari del mondo. Il black friday piace molto più a noi che agli olandesi o agli svizzeri. Si comprende allora dove si trovi un primo problema decisivo. Il mondo cattolico è culturalmente meno attrezzato per riconoscere l’insidia di queste feste della nuova religione fondata sul consumo che sta eliminando le ultime vestigia di cristianesimo, di cattolicesimo in particolare – mi chiedo quanti cattolici praticanti hanno fatto “obiezione di coscienza" al rito di questo venerdì? 

 Quanti negozi dell’economia sociale o cooperativa hanno resistito alla seduzione del nuovo culto? Il culto consumista sta svuotando l’anima dei cristiani molto più radicalmente di quanto non abbiano fatto tutti i comunismi e i socialismi della storia. 

 Il black friday ha poi delle sue tipicità, antiche e nuove. La prima è una forma inedita di politeismo. Per capirlo occorre prendere coscienza che il dio-idolo adorato è il consumatore, non l’oggetto che si acquista. Quindi gli “dèi”, i consumatori sovrani e idoli, sono milioni, ormai miliardi. Ce lo rivela un elemento fondativo di ogni religione: il sacrificio. Gli sconti del black friday sono quasi sempre veri, non finti. A dirci che chi in questo giorno si sacrifica non è il consumatore per l’impresa ma l’impresa che compie l’offerta (si noti il linguaggio) a vantaggio del suo consumatore-dio. 

Un sacrificio controllato, piccolo, omeopatico, che, come ogni omeopatia, ha lo scopo di immunizzare dalla malattia: un piccolo sacrificio, che somiglia al dono, un donuncolo, affinché il capitalismo possa immunizzarsi dal dono vero, che è il virus di cui ha una paura tremenda. 

 Il regalo che arriva a casa

La seconda novità riguarda la fine della dimensione comunitaria di questa nuova religione. Finora abbiamo conosciuto soltanto religioni comunitarie. Ma ormai l’oggetto non lo compriamo più nei negozi-templi affollati, in processione, come avveniva all’inizio; ormai ci arriva, docile e veloce, a casa con un semplice clic (e una carta di credito), senza incontrare nessun umano lungo il cammino. Con l’intelligenza artificiale questo individualismo diventerà totale. 

 Infine, la terza novità. Quest’anno, durante la novena di preparazione della festa era sempre più comune leggere: “Fatti un regalo per il black friday”. 

Le feste cristiane erano centrate sui doni da fare a qualcuno e da ricevere da qualcun altro; oggi c’è la celebrazione del self-love, che è la vera fine dell’umanesimo cristiano del dono. Il self-regalo è l’apoteosi dell’idea arcaica del regalo (da rex, regis), cioè offerte da fare al re, con un elemento davvero inedito: l’unico sovrano è l’individuo che fa offerte a se stesso, il donatore coincide col donatario. 

 Desiderio e appagamento

In questa cancellazione di doni veri si trova il tallone d’Achille della religione del consumo: il desiderio. Nessun desiderio può essere davvero appagato da merci, tanto meno da self-regali, perché l’essenza del desiderio è desiderare qualcuno che ci desidera, desiderare un desiderio, che nella fede cristiana raggiunge la sua apoteosi in un Dio che ci desidera. 

Le merci che diventano doni ci piacciono molto perché sono sacramento di una persona che ci ama e ci desidera; e ogni volta che guardiamo quell’oggetto, vi rivediamo gli occhi, l’odore e il sapore di chi ci ha amato: nel self-regalo sentiamo soltanto l’odore e il sapore di noi stessi, infinita tristezza. 

 Grazie a Dio, le merci hanno molte virtù, ma non sanno desiderare. Sarà una carestia di desideri che preparerà, prima o poi, la fine di questo nuovo culto globale. La speranza è che nel frattempo, da qualche parte, siano sopravvissuti comunità vere, doni non-omeopatici, desideri grandi, Dio.

 Avvenire 

Immagine



 

 

venerdì 2 febbraio 2024

CONSUMO RESPONSABILE


 Into the LABel e la sfida del consumo responsabile

Il progetto nasce in seno a Economy of Francesco e parte da un gruppo di giovani provenienti da esperienze di economia di comunione. Obiettivo: diffondere consapevolezza rispetto al consumo e orientare le aziende, attraverso la domanda, ad essere sempre più sostenibili ed etiche. Guandalini: come alle elezioni politiche, fare la spesa nel modo giusto ci rende attori protagonisti di democrazia economica

 

-         Cecilia Seppia

Fare la spesa è impegnativo, spesso si corre tra le corsie di un supermercato, a fine giornata o nel weekend, con in mano una lista di cose da prendere e l’importante è riempire il carrello senza dimenticare l’occorrente. Eppure il gesto di scegliere e comprare un prodotto anziché un altro, può fare la differenza e renderci attori protagonisti di quella che gli esperti definiscono “democrazia economica”. “Ciò che ci sfugge – dice Luca Guandalini – coordinatore di Into the LABel – è il nostro ruolo di consumatori. Noi possiamo orientare la domanda e mettere le aziende in condizione di adeguarsi diventando sempre più etiche e sostenibili”. Per essere attori attivi del cambiamento economico, necessario per tutelare l’ambiente, bisogna però conoscere, capire, informarsi e, solo dopo, agire. Into the LABel significa letteralmente “dentro l’etichetta”. Perché questo nome? “Dedichiamo sempre più attenzione alle etichette dei nostri prodotti alimentari e cosmetici per conoscerne le calorie e le proprietà chimiche, ma siamo meno interessati alle etichette morali della merce, agli zuccheri della giustizia e alle calorie etiche”, spiega Luigino Bruni, professore di economia e direttore scientifico di “The Economy of Francesco”. Il professor Bruni è stato promotore di quest’iniziativa che ha coinvolto migliaia di persone e le ha spinte a fare acquisti più consapevoli ed etici, attraverso la lettura approfondita dell’etichetta del prodotto e la ricerca di informazioni sulle pratiche aziendali.

 Democrazia economica

In Italia, a partire dal 2012, è stata lanciata una serie di eventi organizzati davanti ai supermercati, in linea con quella che era una tendenza del momento: il flashmob, ma di acquisto etico, chiamato appunto CASH-MOB. La sfida è stata quella di mettere insieme gruppi di ragazzi che si facessero promotori di consumo responsabile e questo non solo nei centri commerciali o grandi catene di alimentari, ma anche nelle scuole con workshop e formazione ad hoc. “Alla base di questa iniziativa - racconta ancora Luca Guandalini - c’è un parallelismo importante tra il processo di acquisto e il processo di scelta politica: in pratica andare a fare la spesa ha e dovrebbe avere lo stesso valore di quando ci rechiamo alle urne per scegliere il nostro candidato o il nostro partito. Quindi nel momento in cui selezioniamo un prodotto da mettere nel carrello, non dobbiamo solo tenere in considerazione prezzo e qualità ma anche come questo prodotto viene creato e dunque tutta la filiera produttiva che lo accompagna prima che arrivi sullo scaffale di un supermercato. Per scegliere in modo coerente il consumatore dovrebbe farsi tutta una serie di domande come: ho davvero bisogno di questo prodotto? Proviene dal commercio equo? I lavoratori hanno ricevuto un giusto compenso? Dove e come è stato prodotto? È sostenibile: se è biologico o organico, con quale metodo di produzione è stato realizzato? È socialmente ed economicamente etico? L’azienda che lo produce paga regolarmente le tasse, dove ha la sua sede legale? Che impatto ha avuto sul territorio la produzione di quel prodotto? Come valuta le questioni ambientali?”. Attraverso queste domande e molte delle risposte che il flash-mob offre, Into the LABel ci ricorda che abbiamo il potere di trasformare la spesa in un’importante azione sociale e in un profondo momento di cittadinanza attiva.

Il consumo responsabile come stile di vita

Sì, perché parlare di consumo responsabile non è qualcosa che riguarda solo economisti e imprenditori, ma tutti noi, se insieme modifichiamo i nostri comportamenti e le nostre scelte e dunque la domanda di mercato, le aziende saranno costrette ad adeguarsi diventando più sostenibili e etiche per il bene dell’intera Casa comune. “Il consumo responsabile è uno stile di vita, un diritto umano, una possibilità e una scelta di rispetto verso tutti gli esseri umani, la natura e lo spazio in cui si vive”, afferma Catalina Hinojosa, una giovane ecuadoriana, ambasciatrice per un mondo unito e partecipante di The Economy of Francesco. Il suo lavoro per EoF si è focalizzato sul tema dell’agricoltura, dei popoli indigeni e del consumo responsabile. Secondo Catalina, l’esercizio del consumo responsabile è anche un modo concreto per “vivere e costruire un mondo unito, perché significa pensare non solo a me stessa, ma alla collettività. Una collettività formata non solo da esseri umani, ma che comprende anche la natura. Il consumo responsabile ci permette di costruire relazioni molto più profonde, perché ci fa scoprire ciò che l’altro vive, le sue sofferenze, e ciò genera empatia e unità con l’altro”.

Il peso dell’opinione pubblica

Uno dei principali slogan di Into the LABel è “voto con il portafoglio”, perché, in effetti, ritiene che con gli acquisti e il denaro speso per un determinato prodotto si sostengano le pratiche di un’azienda. Con Into the LABel i cittadini diventano protagonisti di un esperimento di democrazia economica. Prendono decisioni di consumo basate non solo sul prezzo o la qualità, ma anche sul valore sociale. Questo laboratorio non vuole quindi scoprire il prodotto “migliore” o sponsorizzare certe marche a scapito di altre, ma mostrare come dietro ogni prodotto, ogni azienda, ci siano diverse etiche, ognuna con il suo valore e spetta a tutti noi, nessuno escluso, scegliere quelle più significative. Negli ultimi 15 anni circa, le aziende sono infatti diventate molto sensibili all’opinione pubblica e molte hanno compiuto grandi passi a livello di sostenibilità sia sociale che ambientale, trasparenza, welfare aziendale. Il senso non è quindi dividere il mondo in buoni o cattivi, ma essere parte attiva e consapevole di un processo che coinvolge consumatori ed aziende e che può modificare gli stili produttivi di un'impresa e può modellare la società in cui viviamo secondo i nostri valori.

Cooperare per il bene comune

“La Laudato si’ - conclude Luca Guandalini - ci ispira profondamente, perché il Papa si rivolge a tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Insistendo sulla responsabilità personale Francesco ci spinge a cooperare per il bene comune. Uno degli aspetti principali è proprio la cooperazione, perché ciascuno è chiamato a fare la sua parte. I nostri flash mob sono pensati come una specie di comizi politici: ci mettiamo di fronte ai supermercati, qualcuno di noi impersonifica i prodotti, qualcun altro le aziende sviluppando un vero e proprio dibattito; si mettono a confronto marchi, si fanno valutazioni, si dà spazio a suggerimenti e contraddittori e poi all’uscita del supermercato, dopo aver fatto la sua spesa, il consumatore può compilare un questionario in forma anonima così da aiutarci a stilare una classifica dei prodotti più sostenibili e dunque delle aziende più etiche che poi verranno pubblicati sul sito di Into the LABel e saranno visibili a tutti. L’iniziativa per ora in Italia ha dato ottimi risultati ma può essere declinata anche in altri Paesi secondo le modalità e le caratteristiche di consumo in quel luogo, basti pensare che in alcune zone più remote del Pianeta non esistono nemmeno i supermercati, ci sono solo i mercati rionali e bisogna entrare in altre logiche di domanda e offerta, di consumo, ma sempre ponendo davanti la questione della responsabilità verso l’ambiente”.

 

Vatican News

 

martedì 11 ottobre 2022

QUANTi LIKES HAI ?

La nuova idea di bellezza 

veicolata dai social network

Cerchiamo di non cadere nella tentazione di essere consumatori e prodotto di consumo per gli altri. La bellezza nella nostra società è legata ad aspetti materiali e incarna il nuovo concetto di identità: noi non siamo quello che effettivamente vogliamo essere o quello che rappresentiamo, ma cerchiamo di essere ciò che rappresenta uno standard ben riconoscibile

-di Francesco Pira

 

Siamo precipitati nell’era della vetrinizzazione, dove è necessario a tutti i costi piacere agli altri. Oggi, per sentirci apprezzati abbiamo bisogno di “like” e “cuoricini” da parte dei nostri contatti che ci seguono sulle nostre piattaforme del cuore.

L’idea del corpo è diventata fondamentale e rappresenta in qualche modo (ancora da analizzare) la sfera della sessualità. Nella dimensione social il corpo ha un doppio valore: da un lato centro di potere “un portatore visibile di identità di sé” e del proprio stile di vita; dall’altro è diventato strumento, il corpo esibito come altro da sé, una dimensione che appare con tutta la sua evidenza nell’universo social.

Sempre più spesso proviamo a migliorarci tramite una serie di app, nate con lo scopo di aiutarci ad eliminare ogni nostra imperfezione. Questo fenomeno rientra in quello che viene definito “appificazione” della società, perché esiste un’applicazione per tutto e basta solo cercare quella adatta alle nostre esigenze.

Il modo stesso con il quale si forma il nostro senso comune del mondo e del quotidiano avviene all’interno di un contesto dove si intersecano presenze diverse: dai mass media, al web ai social network.

A quanto pare le app vengono utilizzate nel mondo per 4 ore e 48 minuti al giorno. La spesa globale, nel corso degli ultimi 12 mesi, ammonta a 320.000 dollari al minuto.


Il tempo di utilizzo viene destinato per il 42 per cento alle applicazioni social e di comunicazione.

La somma di App Store e Play Store mostra 21 milioni applicazioni pubblicate sino ad oggi con profitti davvero incalcolabili per i colossi della comunicazione.

Ho avuto modo di analizzare questi dati e di includerli nella mia ultima ricerca, contenuta nel mio libro “Figli delle App”. Il numero di app che i ragazzi hanno dichiarato di avere a disposizione nei propri dispositivi mobili è davvero interessante dal punto di vista sociologico. Una vera e propria galassia di algoritmi per gli scopi più diversi, sempre più spesso in una logica integrata, finalizzata alla migliore performantizzazione sul palcoscenico social-mediatico.

Ovviamente, non sottovalutiamo il fortissimo dominio del mercato da parte di chi gestisce i canali legati alle nuove tecnologie e alle diverse app.

Recentemente, stanno spopolando le app che simulano il taglio di capelli perfetto o che riescono ad abbinare il colore della pelle a quello dei capelli. Sempre più spesso le persone, che si rivolgono ai parrucchieri, presentano il risultato dell’elaborazione dell’app e pretendono lo stesso taglio o lo stesso colore di capelli. A volte i risultati sono orrendi e inverosimili, ma pur di fermare il tempo che passa ci accontentiamo di installare: Hair Color Dye,YouCam MakeUp, Style MyHair solo per citare le più famose.

Non è tutto. Esistono app, come Perfect 365 o YouCam Perfect, capaci di effettuare ritocchi incredibili al volto, alle labbra, agli occhi, agli zigomi, ai capelli e di trasformare i lineamenti. In sostanza, basta scrollare le dita sul display del nostro cellulare per diventare un’altra persona ed il gioco è fatto. Poi, bastano pochi click per postare la nostra immagine su Facebook, Instagram o inviarla su ogni canale di messaggistica istantanea.

Sui social tendiamo ad assumere modelli di identità predeterminati pur ritenendo di esprimere la nostra individualità, attuando una sorta di mimetizzazione e non ci rendiamo conto che rinunciamo a noi stessi ed utilizziamo qualsiasi mezzo per assumere le sembianze del TikToker o dell’Istragrammer che ci piace.

Ecco, che diamo vita ad un “io performativo” con il preciso scopo di ottenere il gradimento dei nostri follower.

Quanta gente entra ed esce dai social, chiude profili e ne apre altri, vivendo momenti di grande esposizione e poi momenti in cui vuole chiudere con questo mondo perché non si accetta e non si ama.

Mi piacerebbe sapere quante persone, dopo aver utilizzato queste app, si pongono il problema di non essere più sé stesse. Oggigiorno, sappiamo perfettamente che la donna deve essere magrissima, quasi anoressica, e che l’uomo deve essere particolarmente palestrato. Proprio per questo motivo c’è chi decide di rivolgersi al chirurgo estetico, mostrandogli “i ritocchini” che desidera e che magari l’app ha magistralmente riprodotto.

Quello a cui non pensiamo sono anche i risultati delle pesanti critiche mosse sul web dai tanti leoni da tastiera che possono essere pericolosi e devastanti, poiché generano il cyber bullismo, sconvolgendo la stabilità emotiva della persona che finisce in questa terribile trappola. Gli odiatori seriali criticano pesantemente le fotografie ritoccate tramite app, le ragazze magrissime o con qualche chilo in più. I cosiddetti hater adorano demolire psicologicamente gli altri e non si fermano fino a quando non rendono la loro vittima ancora più fragile.


Purtroppo, il comportamento degli adulti non sempre può essere considerato un esempio per giovani. Basti pensare a come i genitori siano disposti ad indebitarsi per soddisfare, come regalo per i 18 anni, la richiesta di una figlia o di un figlio a sottoporsi alla chirurgia estetica o gli permettano di apparire in modo completamente diverso rispetto a quella che è la realtà, attraverso app di ogni sorta e che cercano loro stessi pur di renderli “felici”.

Cerchiamo di non cadere nella tentazione di essere consumatori e prodotto di consumo per gli altri.  La bellezza nella nostra società è legata ad aspetti materiali e incarna il nuovo concetto di identità: noi non siamo quello che effettivamente vogliamo essere o quello che rappresentiamo, ma cerchiamo di essere ciò che rappresenta uno standard ben riconoscibile.  Invece, bisognerebbe dare spazio all’”essere” e accettare serenamente che gli anni passano e che non bisogna avere paura del tempo. In fondo, sarebbe meglio seguire il consiglio di Harvey B. Mackay, uomo d’affari americano: “Non limitarti a segnare il tempo; usa il tempo per lasciare il tuo segno”. Infatti, se tutti riuscissimo a lasciare un segno, per rendere questo mondo migliore, sarebbe un atto rivoluzionario!

 

Lo Spessore

giovedì 5 agosto 2021

CONSUMA CHE TI .... CONSUMO

« Un consumatore soddisfatto sarebbe una catastrofe per la società dei consumi, per la quale invece i bisogni devono essere sempre risorgenti, non devono avere mai fine.

I consumatori devono essere insaziabili, alla perenne ricerca di nuovi prodotti, avidi di nuove soddisfazioni in un mercato che sforna continuamente prodotti nuovi e inediti. 

Consumiamo ogni giorno senza pensare, senza accorgerci che il consumo sta consumando noi e la sostanza del nostro desiderio. 

È una guerra silenziosa e la stiamo perdendo. »

Zygmunt Bauman