sabato 27 settembre 2025

SCUOLE SENZA PERMESSO


 Stranieri. Nelle «Scuole senza permesso» si impara la lingua dell'integrazione




-         -di Maurizio Ambrosini 

È suonata la campanella nelle scuole di tutta Italia, e gli alunni di ogni età sono tornati sui banchi. Tra loro, fra l’altro, oltre 900.000 privi della cittadinanza italiana.

Ma un altro sistema educativo ha riaperto le porte: i corsi d’italiano per stranieri. Una parte è organizzata dal sistema pubblico, mediante i Centri Provinciali per l’Istruzione degli adulti (Cpia), con oltre 200.000 iscritti nel 2023/2024. Un’altra cospicua parte invece è mandata avanti da una galassia d’iniziative associative ed ecclesiali, distribuite in tutto il Paese, con l’apporto di migliaia di volontari.

A Roma e nel Lazio la rete Scuolemigranti raccoglie un centinaio di associazioni e più di 10.000 iscritti ai corsi ogni anno. A Milano e dintorni, esiste da dieci anni una rete che coordina una quarantina di scuole, giovandosi di 250 insegnanti volontari e accogliendo circa 3.000 studenti. Si è data un nome emblematico: “Scuole senza permesso”.

 Caratteristica delle scuole mandate avanti da soggetti della società civile è infatti la flessibilità organizzativa, la moltiplicazione delle soluzioni praticate in termini di orari e modalità d’insegnamento, nonché la capacità d’intercettare anche persone che per diversi motivi non riescono a rientrare negli schemi dell’offerta educativa pubblica.

Troviamo infatti scuole che offrono corsi al mattino per le mamme che hanno qualche ora disponibile dopo aver accompagnato i figli a scuola, oppure servizi di baby-sitting per accudire i più piccoli mentre le madri partecipano alle lezioni, oppure ancora corsi per sole donne e con insegnanti donne per riuscire a coinvolgere studenti che per vincoli culturali e religiosi non parteciperebbero a corsi misti. Intorno ai corsi poi spesso si sviluppano attività socializzanti e di tempo libero. Molti insegnanti non solo danno prova di creatività, inventando moduli didattici e modalità d’insegnamento non convenzionali, agganciate alla vita quotidiana e alle sue necessità, ma diventano punti di riferimento e consulenti anche per molte esigenze extrascolastiche: ricerca di lavoro, casa, orientamento nei meandri della burocrazia. Qui prendono forma le basi dell’integrazione e della convivenza auspicabile.

Il possesso della lingua è un fattore basilare dell’integrazione degli immigrati, una risorsa essenziale per trovare e migliorare il lavoro, interagire con i servizi pubblici (pensiamo alla sanità), seguire i figli nell’apprendimento, costruire relazioni con la popolazione locale. Ma la lingua è nello stesso tempo anche un fattore di emancipazione, come insegnava don Milani: il mezzo per potersi esprimere in pubblico, partecipare alla vita sociale, diventare attori a pieno titolo della società italiana.

Per provare a uscire dall’integrazione subalterna che il mercato del lavoro e tanta parte della società italiana sembra richiedere agli immigrati. Le scuole d’italiano sono anche scuole di cittadinanza, nel duplice risvolto del termine: scuole in cui insieme alla lingua, s’imparano le regole della vita in comune in un nuovo paese, e in cui la lingua è il veicolo della presa di parola e della partecipazione democratica.

Dal punto di vista degli interessi nazionali, invece di lamentare la mancata integrazione, l’incapacità di comunicare, la formazione di società parallele e separate, sarebbe fondamentale estendere l’esperienza delle scuole d’italiano là dove ancora non esistono o non sono sufficienti, dotarle di sedi e attrezzature più adeguate quando ne sono carenti, aumentare il numero di volontari coinvolti per rendere più efficace e personalizzato l’insegnamento.

Più scuole d’italiano, più immigrati accolti e formati, più esperienze di successo educativo, significano meno spaesamento, meno emarginazione, meno derive devianti, meno rischi di banlieues nelle nostre città.

www.avvenire.it



 

 

Nessun commento:

Posta un commento