giovedì 18 settembre 2025

LIBRI E LETTURE A SCUOLA

 


 La letteratura 

chiede di uscire 

dalla gabbia

 del “programma”, 

ma i prof sono pronti?

 

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  di Monica Bottai

 

La scuola è cominciata, quale momento migliore per cambiare subito l’approccio alla letteratura (e naturalmente il suo studio)?

Ed eccoci rientrati a scuola, con l’ansia settembrina di scoprire come questi corridoi e queste aule riprenderanno vita. Continuando dunque il discorso su libri e letture, non possiamo non cambiare visuale, passando dal delectare vacanziero ad un più cogente docere.

La progettazione è cruciale e preziosa, ma forse ancora troppi di noi docenti la confondono con una lista di contenuti, magari ripetuta simile di anno in anno, secondo “quel che prevede il programma”, “quel che c’è nel libro di testo”, “quel che serve per l’esame di maturità”.  Ma siamo sicuri che siano davvero questi i criteri? O piuttosto questa è una delle consuetudini, una delle leggi non scritte, di cui si è persa l’origine e sicuramente l’efficacia?

 La maggior parte dei docenti di italiano del triennio ha in mente certi contenuti da proporre ed oscilla fra due modelli impliciti di riferimento: un primo modello storicistico, in cui la letteratura coincide con un canone ben definito, corrispondente agli elementi costitutivi ed identitari della nazione (lingua, valori, evoluzione storico-sociale); e un secondo modello linguistico, di stampo strutturalista, in cui la letteratura è soprattutto oggetto di analisi testuale (lingua, stile, retorica).

In ogni caso, la proposta didattica solitamente inizia dall’analisi del contesto (biografie, epoche, fatti storici), per poi focalizzarsi su un certo numero di letture. Con questa impostazione, il docente garantisce la trasmissione della conoscenza storica e letteraria alle generazioni future, la consegna di una tradizione e di monumenti letterari essenziali, individuando come esito dell’apprendimento le azioni di memorizzazione, ripetizione, riscrittura, magari anche rielaborazione, dei contenuti trasmessi.

Dentro tutto questo, tuttavia, non si può non rilevare uno scollamento sostanziale dei nostri ragazzi dalla lettura, dalla comprensione della letteratura, dall’interesse stesso per i grandi autori. Questo è un nodo con cui dobbiamo fare i conti ed è cruciale non tanto per i pochi che escono dalla scuola arricchiti culturalmente ed umanamente, bensì per la maggioranza di chi entra nelle aule, ma ne esce sostanzialmente dimentico di più o meno tutti i contenuti e memore, invece, di noia e disamore. Ci sono elementi su cui riflettere o su cui possiamo rischiare qualche cambiamento?

Un docente di italiano della secondaria legge utilizzando antologie e manuali di storia della letteratura, moltiplicantisi in un moto perpetuo, sempre uguali ed enciclopedici, con parcellizzazione dei romanzi, pagine critiche che nessuno legge, laboratori per acquisire “competenze” che competenze non sono. Nonostante l’utilità di questo strumento, non possiamo non riconoscere quanto esso sia omologato ed omologante per i docenti, che scambiano l’indice del manuale per le indicazioni ministeriali e i testi selezionati per il programma da svolgere.

Appunto, il programma: perché le parole canone o programma o unità didattica – parole scomparse da anni dal dettato legislativo – aleggiano ancora dentro le nostre aule? Se siamo professionisti un po’ più strutturati di qualsiasi idealista romantico stile attimo fuggente, dobbiamo avere consapevolezza che nomina sunt consequentia – o substantia, aggiungo io – rerum. Quale differenza fra programmazione, programma, progettazione? quale funzione ha oggi il canone desanctisiano? quale ruolo hanno i testi “classici”? come rendere possibile ai nostri ragazzi sperimentare almeno uno dei quattordici punti che Calvino elenca per definire i classici? d’altro canto, cosa ci salva da eventuali soggettivismi nelle nostre scelte? come operare selezioni consapevoli, adeguate, efficaci?

Non si tratta di eliminare i manuali né di svalutare i classici, ma di rivalutarli contestualizzandoli ed ampliando il loro novero, secondo il criterio della polivalenza e delle connessioni possibili con il mondo. Non si tratta nemmeno di agire con spontaneismo emotivo, ma di partecipare ad un percorso educativo profondo e guidato, in cui la classe diventi vera officina letteraria, centrata sulla collaborazione fra chi legge e ciò che viene letto, in un’esperienza condivisa e realmente trasformativa.

Perché dunque a settembre non dedichiamo più tempo a chiederci: quale scopo ha la letteratura oggi per i ragazzi? quali bisogni ed esigenze hanno alunni ed alunne di questo anno davanti a me? quali contenuti/attività possono rispondere ai bisogni rilevati? perché dovrebbero leggere quello che propongo? quale convenienza ha la fatica che dovranno compiere nella lettura? è davvero indispensabile studiare in sequenza il susseguirsi di epoche e di scrittori e indugiare così tanto su periodizzazioni astratte e sui numerosi -ismi? perché non prenderci invece del tempo in più per gustare il messaggio di un testo? Quali storie selezionare, quali autori?

Queste domande possono tracciare l’inizio di una progettazione a ritroso, in cui le storie, i testi, le narrazioni, attivate in esperienze estetiche, saranno a servizio della maturazione esistenziale dei nostri alunni.  Soltanto così le proposte letterarie acquisiranno precise dimensioni formative: la significatività (il senso dell’oggetto di conoscenza proposto), il coinvolgimento emotivo (il gusto ed il piacere per quello che si fa), la dimensione critica (il rapporto dialettico fra soggetto ed oggetto di conoscenza), la dimensione comunitaria (il protagonismo inclusivo e partecipato).

Agire così attua la conversione più importante per la lettura in classe, quella dal fare storia della letteratura al fare letteratura. Chiaramente questo approccio richiede un ripensamento dei tempi, l’abbandono dell’enciclopedismo imperante, la revisione dell’impostazione storicistica tradizionale – dal momento che contesti, biografie, date, rendono gli autori verosimili agli occhi dei nostri studenti, ma raramente aiutano a renderli vivi – ed anche una revisione dei criteri per fare le nostre proposte.

Sicuramente la narratività, la possibilità dell’immedesimazione e la pluralità dei significati sono essenziali per andare al di là della mera comprensione linguistica dell’opera, utile solo ad essere sottoposta ad un’analisi, ma incapace di attivare un qualsiasi processo di interpretazione, di immedesimazione, di crescita personale.

Non solo: introdurre i nostri alunni nel mondo letterario implica un vero scarto rispetto al loro vissuto linguistico, sia per la dimensione lessicale, sia per quella argomentativa, pertanto è indispensabile offrire esperienze linguistiche significative, in cui utilizzare testi di più autori per creare laboratori lessicali, tematici o semantici, dove le parole siano riscoperte dentro la loro esperienza presente.

Infine, poiché la commistione di lingue e generi, gli intrecci e le contaminazioni, costituiscono le caratteristiche del mondo contemporaneo, è necessario introdurre più confronti diacronici e internazionali, per moduli o generi, che permetterebbero sia di approfondire la specificità della nostra storia letteraria, sia di cogliere un elemento fondante del vissuto dei nostri alunni, cioè la mondialità.

Il vero inghippo sta nella difficoltà o timore ad accettare quella che sembra una perdita di controllo e di potere: accettare di essere un po’ funamboli, in bilico fra passi misurati e vuoti imprevisti; un po’ attori, fra copione ed improvvisazione; un po’ esploratori, fra territori noti e spazi sconosciuti; un po’ mediatori, fra ciò che perseguiamo e ciò che mi darà e dirà chi ho davanti a me.

Ma questo è un cambiamento che non arriva dal ministero e che soltanto il singolo soggetto docente può realizzare e, come tale, nasce da una maturata consapevolezza, oltre che dalla disponibilità a soprassedere su molte questioni non pertinenti, inutili o persino false.

 Il Sussidiario

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