chiede di uscire
dalla gabbia
del “programma”,
ma i prof sono
pronti?
-
La
scuola è cominciata, quale momento migliore per cambiare subito l’approccio
alla letteratura (e naturalmente il suo studio)?
Ed
eccoci rientrati a scuola, con l’ansia settembrina di scoprire come questi
corridoi e queste aule riprenderanno vita. Continuando dunque il discorso
su libri e letture,
non possiamo non cambiare visuale, passando dal delectare vacanziero
ad un più cogente docere.
La
progettazione è cruciale e preziosa, ma forse ancora troppi di noi docenti la
confondono con una lista di contenuti, magari ripetuta simile di anno in anno,
secondo “quel che prevede il programma”, “quel che c’è nel libro di testo”,
“quel che serve per l’esame
di maturità”. Ma siamo sicuri che siano davvero questi i
criteri? O piuttosto questa è una delle consuetudini, una delle leggi non
scritte, di cui si è persa l’origine e sicuramente l’efficacia?
In
ogni caso, la proposta didattica solitamente inizia dall’analisi del contesto
(biografie, epoche, fatti storici), per poi focalizzarsi su un certo numero di
letture. Con questa impostazione, il docente garantisce la trasmissione della
conoscenza storica e letteraria alle generazioni future, la consegna di una
tradizione e di monumenti letterari essenziali, individuando come esito
dell’apprendimento le azioni di memorizzazione, ripetizione, riscrittura,
magari anche rielaborazione, dei contenuti trasmessi.
Dentro
tutto questo, tuttavia, non si può non rilevare uno scollamento sostanziale dei
nostri ragazzi dalla lettura,
dalla comprensione
della letteratura, dall’interesse stesso per i grandi autori. Questo è un
nodo con cui dobbiamo fare i conti ed è cruciale non tanto per i pochi che
escono dalla scuola arricchiti culturalmente ed umanamente, bensì per la
maggioranza di chi entra nelle aule, ma ne esce sostanzialmente dimentico di
più o meno tutti i contenuti e memore, invece, di noia e disamore. Ci sono
elementi su cui riflettere o su cui possiamo rischiare qualche cambiamento?
Un
docente di italiano della secondaria legge utilizzando antologie e manuali di
storia della letteratura, moltiplicantisi in un moto perpetuo, sempre uguali ed
enciclopedici, con parcellizzazione dei romanzi, pagine critiche che nessuno
legge, laboratori per acquisire “competenze” che competenze non
sono. Nonostante l’utilità di questo strumento, non possiamo non
riconoscere quanto esso sia omologato ed omologante per i docenti, che
scambiano l’indice del manuale per le indicazioni ministeriali e i testi selezionati
per il programma da svolgere.
Appunto,
il programma: perché le parole canone o programma o unità didattica – parole
scomparse da anni dal dettato legislativo – aleggiano ancora dentro le nostre
aule? Se siamo professionisti un po’ più strutturati di qualsiasi idealista
romantico stile attimo fuggente, dobbiamo avere consapevolezza che nomina
sunt consequentia – o substantia, aggiungo io
– rerum. Quale differenza fra programmazione, programma,
progettazione? quale funzione ha oggi il canone desanctisiano? quale ruolo
hanno i testi “classici”? come rendere possibile ai nostri ragazzi sperimentare
almeno uno dei quattordici punti che Calvino elenca per definire i classici?
d’altro canto, cosa ci salva da eventuali soggettivismi nelle nostre scelte?
come operare selezioni consapevoli, adeguate, efficaci?
Non
si tratta di eliminare i manuali né di svalutare i classici, ma di rivalutarli
contestualizzandoli ed ampliando il loro novero, secondo il criterio della
polivalenza e delle connessioni possibili con il mondo. Non si tratta
nemmeno di agire con spontaneismo emotivo, ma di partecipare ad un percorso
educativo profondo e guidato, in cui la classe diventi vera officina
letteraria, centrata sulla collaborazione fra chi legge e ciò che viene
letto, in un’esperienza condivisa e realmente trasformativa.
Perché
dunque a settembre non dedichiamo più tempo a chiederci: quale scopo ha la
letteratura oggi per i ragazzi? quali bisogni ed esigenze hanno alunni ed
alunne di questo anno davanti a me? quali contenuti/attività possono rispondere
ai bisogni rilevati? perché dovrebbero leggere quello che propongo? quale
convenienza ha la fatica che dovranno compiere nella lettura? è davvero
indispensabile studiare in sequenza il susseguirsi di epoche e di scrittori e
indugiare così tanto su periodizzazioni astratte e sui numerosi -ismi? perché
non prenderci invece del tempo in più per gustare il messaggio di un testo?
Quali storie selezionare, quali autori?
Queste
domande possono tracciare l’inizio di una progettazione a ritroso, in cui le
storie, i testi, le narrazioni, attivate in esperienze estetiche, saranno a
servizio della maturazione esistenziale dei nostri alunni. Soltanto
così le proposte letterarie acquisiranno precise dimensioni formative: la
significatività (il senso dell’oggetto di conoscenza proposto), il
coinvolgimento emotivo (il gusto ed il piacere per quello che si fa), la
dimensione critica (il rapporto dialettico fra soggetto ed oggetto di
conoscenza), la dimensione comunitaria (il protagonismo inclusivo e
partecipato).
Agire
così attua la conversione più importante per la lettura in classe, quella
dal fare storia della letteratura al fare letteratura. Chiaramente
questo approccio richiede un ripensamento dei tempi, l’abbandono
dell’enciclopedismo imperante, la revisione dell’impostazione storicistica
tradizionale – dal momento che contesti, biografie, date, rendono gli autori
verosimili agli occhi dei nostri studenti, ma raramente aiutano a renderli vivi
– ed anche una revisione dei criteri per fare le nostre proposte.
Sicuramente
la narratività, la possibilità dell’immedesimazione e la pluralità
dei significati sono essenziali per andare al di là della mera
comprensione linguistica dell’opera, utile solo ad essere sottoposta ad
un’analisi, ma incapace di attivare un qualsiasi processo di interpretazione,
di immedesimazione, di crescita personale.
Non
solo: introdurre i nostri alunni nel mondo letterario implica un vero
scarto rispetto al loro vissuto linguistico, sia per la dimensione lessicale,
sia per quella argomentativa, pertanto è indispensabile offrire esperienze
linguistiche significative, in cui utilizzare testi di più autori per creare
laboratori lessicali, tematici o semantici, dove le parole siano riscoperte
dentro la loro esperienza presente.
Infine,
poiché la commistione di lingue e generi, gli intrecci e le contaminazioni,
costituiscono le caratteristiche del mondo contemporaneo, è necessario
introdurre più confronti diacronici e internazionali, per moduli o generi,
che permetterebbero sia di approfondire la specificità della nostra storia
letteraria, sia di cogliere un elemento fondante del vissuto dei nostri alunni,
cioè la mondialità.
Il
vero inghippo sta nella difficoltà o timore ad accettare quella che sembra una
perdita di controllo e di potere: accettare di essere un po’ funamboli, in
bilico fra passi misurati e vuoti imprevisti; un po’ attori, fra copione ed
improvvisazione; un po’ esploratori, fra territori noti e spazi sconosciuti; un
po’ mediatori, fra ciò che perseguiamo e ciò che mi darà e dirà chi ho davanti
a me.
Ma
questo è un cambiamento che non arriva dal ministero e che soltanto il
singolo soggetto docente può realizzare e, come tale, nasce da una maturata
consapevolezza, oltre che dalla disponibilità a soprassedere su molte questioni
non pertinenti, inutili o persino false.
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