-di GIUSEPPE LORIZIO*
Papa Francesco nell’Angelus del 27 giugno ha ribadito la
necessità di essere misericordiosi e accoglienti, piuttosto che
esibire giudizi di condanna, anche perché la coscienza
delle persone è inviolabile: «È lo sguardo di Gesù: c’è tanta
gente, ma Lui va in cerca di un volto e di un cuore pieno
di fede. Gesù non guarda all’insieme, come noi, ma guarda alla
persona. Non si arresta di fronte alle ferite e agli errori del
passato, ma va oltre i peccati e i pregiudizi.
Tutti noi abbiamo una storia, e ognuno di noi, nel suo segreto, conosce
bene le cose brutte della propria storia. Ma Gesù le guarda per guarirle.
Invece a noi piace guardare le cose brutte degli altri. Quante volte, quando
noi parliamo, cadiamo nel chiacchiericcio, che è sparlare degli altri,
'spellare' gli altri. Ma guarda: che orizzonte di vita è questo? Non come Gesù,
che sempre guarda il modo di salvarci, guarda l’oggi, la buona volontà e non la
storia brutta che noi abbiamo.
Gesù va oltre i peccati. Gesù va oltre i pregiudizi, non si ferma alle
apparenze, arriva al cuore, Gesù. E guarisce proprio lei, che era scartata da
tutti, un’impura.
Con tenerezza la chiama 'figlia' (v. 34) – lo stile di Gesù era
la vicinanza, la compassione e la tenerezza: 'Figlia…' – e loda
la sua fede, restituendole fiducia in sé stessa». E, poiché si
tratta di guardare alla fede che salva, ha confermato
la 'carezza' dell’accoglienza, nella lettera a padre James Martin,
da tempo impegnato nella pastorale verso le persone che
la cultura dominante etichetta come lgbt: «Lo 'stile' di Dio – scrive
il Papa – ha tre tratti: vicinanza, compassione e tenerezza. Questo è il modo
in cui si avvicina a ciascuno di noi.
Pensando al tuo lavoro pastorale, vedo che cerchi continuamente di imitare
questo stile di Dio. Tu sei un sacerdote per tutti e tutte, come Dio è Padre di
tutti e tutte. Prego per te affinché tu possa continuare in questo modo,
essendo vicino, compassionevole e con molta tenerezza». E lo 'stile di Dio' è
quello a cui dovrà ispirarsi lo 'stile cristiano'.
Accanto e non contro la tenerezza e la compassione si colloca il richiamo
alla libertà di pensiero, la quale si nutre proprio del rispetto della laicità
e dell’alterità, assumendo le forme concrete del dialogo con le istituzioni e
con la politica.
E non si tratta di 'rigidità' dottrinale, bensì del tentativo di
intervenire profeticamente, laddove si scorgano possibili lesioni in ordine
alla necessità che a tutti, quindi anche ai credenti, venga riconosciuta la
legittimità dell’esercizio di esporre liberamente il proprio pensiero. È in
gioco la visione dell’uomo come persona. La sua individualità è irriducibile ed
unica e come tale deve essere non solo rispettata, ma riconosciuta e accolta.
La sua apertura all’alterità passa attraverso la relazione con l’altro, sia nel
senso di 'altra persona', sia nel senso di essere umano che si configura
'diverso' dal sé, anche sessualmente. In questa prospettiva va inquadrato il
necessario dibattito culturale, che non può non riguardare il quadro
antropologico, nel quale si inserisce la legislazione del Paese, la cui stella
polare resta la costituzione e la centralità della 'persona' che in essa si
esprime.
Non è neppure una contrapposizione fra il reale, ovvero il peccato, che esige misericordia, e l’ideale, ovvero una visione dell’uomo e della famiglia che ci proponga un astrattismo teorico, di cui certamente non abbiamo bisogno. Viene in soccorso, a tal proposito, un passaggio (n. 19) dell’Humanae vitae di Paolo VI, al quale papa Francesco sempre si ispira: «La nostra parola non sarebbe espressione adeguata del pensiero e delle sollecitudini della Chiesa, madre e maestra di tutte le genti, se, dopo aver richiamato gli uomini alla osservanza e al rispetto della legge divina riguardante il matrimonio, non li confortasse nella vita di una onesta regolazione della natalità, pur in mezzo alle difficili condizioni che oggi travagliano le famiglie e i popoli.
La Chiesa, infatti, non può avere altra condotta verso gli uomini da quella del Redentore: conosce la loro debolezza, ha compassione della folla, accoglie i peccatori; ma non può rinunciare a insegnare la legge che in realtà è quella propria di una vita umana restituita nella sua verità originaria e condotta dallo Spirito di Dio» «La nostra parola non sarebbe espressione adeguata del pensiero e delle sollecitudini della Chiesa, madre e maestra di tutte le genti, se, dopo aver richiamato gli uomini alla osservanza e al rispetto della legge divina riguardante il matrimonio, non li confortasse nella vita di una onesta regolazione della natalità, pur in mezzo alle difficili condizioni che oggi travagliano le famiglie e i popoli.
La Chiesa, infatti, non può avere altra condotta verso
gli uomini da quella del Redentore: conosce la loro debolezza,
ha compassione della folla, accoglie i peccatori; ma non può
rinunciare a insegnare la legge che in realtà è quella propria di una vita umana
restituita nella sua verità originaria e condotta dallo Spirito di Dio». Questa
duplice, paradossale, istanza guida l’Amoris laetitia e deve
guidare la Chiesa nelle sue diverse espressioni, mentre è chiamata a
sollecitare lo Stato, richiamando la salvaguardia dei diritti della
persona-individuo, soprattutto se violentati e violati in maniera così
eclatante e repellente, come le cronache raccontano, come le violenze sulle
persone che manifestano altre tendenze, senza impedire alla società, prima
ancora che alla Chiesa, di dire che famiglia e matrimonio hanno un senso e un
significato ben precisi, fondato, prima ancora che sulla Parola di Dio, sul
realismo dell’alterità dei sessi e sulla necessaria apertura alla fecondità
della generazione.
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