«Soprattutto
una cosa: non dovete pensare che io mi lasci abbattere da questo Natale in
solitudine». Così Dietrich Bonhoeffer scriveva ai genitori il 17 dicembre 1943
dal carcere berlinese di Tegel, dove era stato rinchiuso con l’accusa di
cospirazione contro il regime nazista. Fu messo in isolamento in una cella
sudicia senza che nessuno gli rivolgesse la parola. La lettera continuava:
«Guardando la cosa da un punto di vista cristiano, non può essere un problema
particolare trascorrere un Natale nella cella di una prigione. Molti in questa
casa celebreranno probabilmente un Natale più ricco di significato e più
autentico di quanto non avvenga dove di questa festa non si conserva che il
nome. Un prigioniero capisce meglio di qualunque altro che miseria, sofferenza,
povertà, solitudine, mancanza di aiuto e colpa hanno agli occhi di Dio un
significato completamente diverso che nel giudizio degli uomini; che Dio volge
lo sguardo proprio verso coloro da cui gli uomini sono soliti distoglierlo; che
Cristo nacque in una stalla perché non aveva trovato posto nell’albergo; tutto
questo per un prigioniero è veramente un lieto annunzio» (D. Bonhoeffer, Resistenza
e resa, Cinisello Balsamo [MI], Ed. Paoline, 1988, 324).
Rimase
nel carcere di Tegel 18 mesi. Nell’ottobre del 1944 fu trasferito nel carcere
della Gestapo in Prinz-Albrecht-Strasse per
essere poi internato, il 7 febbraio 1945, nel campo di concentramento di
Buchenwald. Il 9 aprile, nel campo di sterminio di Flossenburg, fu impiccato
perché giudicato reo di cospirazione contro il Führer. Aveva 39 anni. Intuendo
prossima la morte aveva detto: «È la fine – per me l’inizio della vita».
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Il
Natale in prigione
Nella
lettera citata aveva affermato di voler ricordare il Natale in prigione «con un
certo orgoglio». Si riferiva soprattutto all’orgoglio di sapersi nella sequela
di Cristo, nato «in una stalla perché non aveva trovato posto nell’albergo».
Neanche per D. Bonhoeffer, pastore della Confessione luterana, nemico
dichiarato del regime nazista, c’era posto nella società dominante. Rifiutato
come Cristo, e come Cristo giudicato colpevole. Per chi, come lui, aveva scelto
Cristo come signore, centro e ideale della sua vita, l’essere «trattato come un
pericoloso criminale», carcerato e ridotto al silenzio, autenticava la sua fede
cristiana. Questa condizione — l’assimilazione a Cristo —, approfondita e
sviluppata nei suoi elementi essenziali, costituisce l’anima della sua
concezione religiosa: «L’uomo che Dio accoglie, giudica e fa risorgere a nuova
vita è Gesù Cristo, e in lui l’umanità intera: siamo noi. Soltanto la persona
di Gesù Cristo affronta vittoriosamente il mondo. Da questa persona, nasce e
prende forma un mondo riconciliato con Dio» (D. Bonhoeffer, Etica,
Milano, Bompiani, 1969, 69).
Nella
nascita di Gesù Cristo, Dio si abbassa e si rivela: «Cristo nella mangiatoia
[…]. Dio non si vergogna della bassezza dell’uomo, vi entra dentro […]. Dio è
vicino alla bassezza, ama ciò che è perduto, ciò che non è considerato,
l’insignificante, ciò che è emarginato, debole e affranto; dove gli uomini
dicono “perduto”, lì egli dice “salvato”; dove gli uomini dicono “no”, lì egli
dice “sì”. Dove gli uomini distolgono con indifferenza o altezzosamente il loro
sguardo, lì egli posa il suo sguardo pieno di amore ardente incomparabile. Dove
gli uomini dicono “spregevole”, lì Dio esclama “beato”. Dove nella nostra vita
siamo finiti in una situazione in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi
stessi e davanti a Dio, dove pensiamo che anche Dio dovrebbe adesso vergognarsi
di noi, dove ci sentiamo lontani da Dio come mai nella vita, proprio lì Dio ci
è vicino come mai lo era stato prima, lì egli vuole irrompere nella nostra
vita, lì ci fa sentire il suo approssimarsi, affinché comprendiamo il miracolo
del suo amore, della sua vicinanza e della sua grazia» («Sermone della 3a domenica
di Avvento», in D. Bonhoeffer, Riconoscere Dio al centro della vita,
Brescia, Queriniana, 2004, 12 s; d’ora in poi RD).
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Il
Natale permette di comprendere questo miracolo.
Bonhoeffer
lo ha compreso in maniera così viva da considerarlo la realtà della sua vita.
Nella cella del carcere di Tegel ha appeso a un chiodo la corona dell’Avvento e
attaccato la Natività del Lippi. La meditazione su Maria e sul Bambino della
mangiatoia lo inonda di serenità; ricorda i Lieder cantati in
famiglia, soprattutto questi versi: La mangiatoia splende luminosa e
chiara, / la notte porta una luce nuova, / la tenebra non deve entrare, / la
fede resta sempre nella luce (Resistenza e resa, cit., 214). Allora
quel «buco» di prigione diventa una finestra spalancata sull’universo della
fede, e l’oscurità è assorbita dalla luce di un mistero non semplicemente da
ricordare, ma da celebrare.
«Il
fatto che Dio elegge Maria a suo strumento, il fatto che Dio vuole venire
personalmente in questo mondo nella mangiatoia di Betlemme, non è un idillio
familiare, bensì è l’inizio di una conversione totale, di un riordinamento di
tutte le cose di questa terra. Se vogliamo partecipare a questo evento
dell’Avvento e del Natale, non possiamo stare semplicemente a guardare come
spettatori in un teatro e godere delle belle immagini che ci passano davanti,
bensì dobbiamo lasciarci coinvolgere nell’azione che qui si svolge, in questo
capovolgimento di tutte le cose, dobbiamo recitare anche noi su questo
palcoscenico; qui lo spettatore è sempre anche un attore del dramma, e noi non
possiamo sottrarci» (RD, 14).
A
questo punto Bonhoeffer si chiede il significato della scena offertaci dal
Natale. Che cosa accade a Natale? «Il giudizio del mondo e la redenzione del
mondo: ecco ciò che qui accade. Ed è lo stesso Bambin Gesù nella mangiatoia a
compiere il giudizio e la redenzione del mondo». La conseguenza è perentoria:
«Non possiamo accostarci alla sua mangiatoia come ci accostiamo alla culla di
un altro bambino: a colui che vuole accostarsi alla sua mangiatoia succede
qualcosa, perché da essa può allontanarsi di nuovo solo giudicato o redento,
deve qui crollare oppure conoscere che la misericordia di Dio è a lui rivolta»
(RD, 15).
Un
Natale pagano
Celebrare
il Natale «in maniera paganamente distaccata», considerarlo una «bella e pia
leggenda», pensare che il discorso natalizio sia semplicemente «un modo di
dire»: tutto ciò significa sganciarsi dalla Rivelazione e dalla Redenzione. Dio
si fa bambino «non per trastullarsi, per giocare», ma per rivelarci che «il
trono di Dio nel mondo non è nei troni umani, ma negli abissi e nelle
profondità umane, nella mangiatoia». Attorno al suo trono non ha voluto i
grandi della terra, ma personaggi oscuri e sconosciuti «che non si stancano di
guardare questo miracolo e vogliono vivere completamente della misericordia di
Dio». La mangiatoia e la croce sono le due realtà che determinano il destino
dell’umanità. Dinanzi ad esse il coraggio dei grandi di questo mondo si
dissolve, e al suo posto subentra la paura. In verità «nessun violento osa
avvicinarsi alla mangiatoia, e neppure il re Erode l’ha fatto. Appunto perché
qui vacillano i troni, cadono i violenti, precipitano i superbi, perché Dio è
con gli infimi […]. Davanti a Maria, alla serva, alla mangiatoia di Cristo,
davanti al Dio della bassezza il forte cade, non ha alcun diritto, alcuna
speranza, è giudicato».
Tali
considerazioni inducono a un leale esame di coscienza. «Alla luce della
mangiatoia», che cosa è alto e che cosa è basso nella vita umana? Abbiamo lo
stesso criterio del Signore nel formulare un giudizio in merito? «Ognuno di noi
vive con persone che diciamo altolocate e con persone che diciamo di basso
rango. Ognuno di noi ha sempre qualcuno che sta più in basso di lui. Ci aiuterà
questo Natale a imparare ancora una volta a cambiare radicalmente idea su
questo punto, a cambiare mentalità e a sapere che la nostra via, nella misura
in cui deve essere una via verso Dio, non ci conduce verso l’alto, bensì in
maniera molto reale verso il basso, verso i piccoli, e a sapere che ogni
cammino tendente solo verso l’alto finisce necessariamente in maniera spaventosa?».
La conclusione di Bonhoeffer è perentoria: «Dio non permette che ci si prenda
gioco di lui (Gal 6,7). Non permette che celebriamo anno dopo anno
il Natale senza fare sul serio. Egli mantiene sicuramente la sua parola, e a
Natale, quando entrerà, con la sua gloria e con la sua potenza nella
mangiatoia, rovescerà i violenti dai troni se finalmente, finalmente non si
convertiranno» (RD, 18).
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Un
bambino è nato per noi
Nell’altro
sermone-meditazione del Natale 1940 Bonhoeffer si sofferma sul testo di Isaia
(9,5-6): «Un bambino è nato per noi» e sugli appellativi con il quale il
profeta lo qualifica. I toni elevati sono percorsi da brividi di commozione per
la consapevolezza che l’oggi del profeta è anche il nostro oggi. Anche nel
nostro tempo, così appesantito da colpe e da miserie, nasce un bambino che
realizza la nostra redenzione. «La mia vita dipende adesso unicamente dal fatto
che questo bambino è nato, che questo figlio ci è dato, che
questo discendente di uomini, che questo Figlio di Dio mi appartiene, dal fatto
che lo conosco, ce l’ho, lo amo, dal fatto che sono suo e che egli è mio» (RD,
26).
Dinanzi
all’affermazione che «sulle deboli spalle di questo neonato poggia la sovranità
su tutto il mondo», l’uomo del nostro tempo, sicuro di sé, forse riderà
beffardamente; ma i credenti sanno che il Bambino di Betlemme è «Dio in forma
umana». Sanno anche che la sovranità che poggia sulle sue spalle «consiste nel
portare pazientemente gli uomini e la loro colpa. E tale portare comincia nella
mangiatoia, comincia lì dove il Verbo eterno di Dio ha assunto la carne umana e
l’ha portata».
Quali
nomi dà il profeta a questo Bambino? Consigliere ammirabile: «Dal
consiglio eterno di Dio è scaturita la nascita del bambino salvatore», che col
suo amore ci conquista e ci salva. «Questo Figlio di Dio, dal momento che è il
suo consigliere ammirabile, è anche una fonte di tutti i miracoli e di tutti i
consigli». Dio potente: «Qui egli è povero come noi, misero e
inerme come noi, un uomo di sangue e carne come noi, nostro fratello. E
tuttavia è Dio, tuttavia è potente. Dov’è la divinità, dov’è la potenza di
questo bambino? Nell’amore divino con cui divenne uguale a noi. La sua miseria
nella mangiatoia è la sua potenza». Padre per sempre: in questo
bambino si rivela l’amore eterno del Padre perché «il Figlio è una cosa sola
con il Padre […]. Nato nel tempo, egli porta con sé l’eternità sulla
terra». Principe della pace: «Dove Dio viene agli uomini e si
unisce ad essi per amore, lì tra Dio e l’uomo, e tra uomo e uomo è conclusa la
pace. Se temi l’ira di Dio, va’ dal bambino nella mangiatoia e lasciati ivi
donare la pace di Dio. Se sei in lite con tuo fratello e lo odi, vieni e vedi
come Dio è diventato per puro amore nostro fratello e ci vuole riconciliare fra
di noi. Nel mondo regna la violenza, questo bambino è il principe della pace.
Dov’egli è, lì regna la pace» (RD, 30).
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Coraggio
e fede profonda
Occorreva
coraggio e fede profonda per scrivere queste parole quando l’esercito
hitleriano avanzava vittorioso su molte nazioni europee, convinto che Gott
mit Uns, che Dio era con la razza ariana, che Dio era il Terzo Reich.
Mentre molti intellettuali, scienziati e artisti erano emigrati perché
consapevoli della fine di ogni libertà della cultura, lui — Bonhoeffer — era
rientrato in Germania dagli Stati Uniti per aiutare la sua nazione a ritrovare
la propria anima, la propria libertà, soprattutto a ricordarle dove si trovano
le radici della pace. Karl Barth, suo maestro, aveva denunciato
l’inconciliabilità del nazismo con il cristianesimo e abbandonato la Germania;
Bonhoeffer, superando ogni timore, aveva deciso di restare accanto alla «Chiesa
confessante» (die bekennende Kirche) di netta opposizione al
nazismo. Al Terzo Reich opponeva il regno di Dio.
«Soltanto
dove non si permette a Gesù di regnare, dove l’ostinazione, il dispetto, l’odio
e l’avidità umana possono scatenarsi sfrenatamente non può esserci pace. Gesù
non vuole il suo regno di pace con la violenza, bensì dona la sua pace mirabile
a coloro che gli si sottomettono volontariamente e lo lasciano regnare sopra di
sé […]. Un regno di pace e di giustizia, desiderio inappagato degli uomini, è
cominciato con la nascita del bambino divino. Noi siamo chiamati a tal regno, e
lo possiamo trovare se riceviamo nella Chiesa, nella comunità dei credenti, la
parola e il sacramento del Signore Gesù Cristo, se ci sottoponiamo alla sua
sovranità, se riconosciamo nel bambino posto nella mangiatoia il nostro
salvatore e redentore e ci lasciamo da lui donare una nuova vita nell’amore»
(RD, 32 s). Al Gott mit Uns dei nazisti il pastore luterano
oppone il «Dio con noi, Gesù-Emanuele» del Natale.
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Dio
si fa uomo per amore degli uomini.
Celebriamo questo Natale
in un periodo storico in qualche momento minacciato dalla strategia
dell’orrore, sotto i cieli dell’insicurezza e dello sgomento anche se senza le
tragedie immani della seconda guerra mondiale. Alcuni pensatori e scrittori, da
tempo, hanno intonato il De profundis per l’umanità.
Bonhoeffer è vissuto in tempi molto più oscuri del nostro. Invece del De
profundis ha invitato gli uomini del suo tempo a contemplare la
mangiatoia di Betlemme per poter intonare l’inno della speranza nonostante il
grigiore dei tempi. Due suoi pensieri ne scandiscono le note: «La figura di
colui che riconcilia, dell’Uomo-Dio Gesù Cristo, si interpone fra Dio e il
mondo, e occupa il centro di tutti gli eventi. In lui è svelato il segreto del
mondo e in lui si rivela il segreto di Dio. Nessun abisso del male può rimanere
occulto a colui mediante il quale il mondo è riconciliato con Dio. Ma l’abisso
dell’amore di Dio abbraccia anche la più abissale iniquità». «Dio si fa uomo per amore degli uomini. Non cerca il
più perfetto degli uomini per unirsi a lui, ma assume la natura umana così
com’è. Gesù Cristo non è un’umanità eccelsa trasfigurata, ma il “sì” di Dio
all’uomo reale; non il “sì” spassionato del giudice ma il “sì” misericordioso
del compagno di sofferenze. In questo “sì” è racchiusa la vita intera e
l’intera speranza del mondo» (Etica, cit., 62 s).