giovedì 20 novembre 2025

BAMBINI NEL MONDO


 

SCHIACCIATI 

TRA GUERRA 

E POVERTA' 

In base al report “Minori e ferite da esplosione: l'impatto devastante delle armi esplosive sui bambini", diffuso da Save the Children, questi ordigni sono stati responsabili del 70% dei quasi 12mila minori uccisi o feriti nelle zone di guerra lo scorso anno, a causa dei conflitti che si spostano sempre più nelle aree urbane. 

Nel 2025 118 milioni hanno sofferto la fame e oltre 48 milioni sono vittime di disastri climatici.

 In Europa negli ultimi cinque anni 446mila bambini in più colpiti dalla povertà. In Italia sono 1,28 milioni i minori in povertà assoluta

di Redazione

Save the Children traccia un bilancio della situazione dei bambini nel mondo, sempre più colpiti da conflitti, malnutrizione, crisi climatica e povertà.

Le armi esplosive mietono vittime tra i bambini a livelli senza precedenti. In base al report “Minori e ferite da esplosione: l’impatto devastante delle armi esplosive sui bambini“, diffuso oggi, questi ordigni sono stati responsabili del 70% dei quasi 12mila minori uccisi o feriti nelle zone di guerra lo scorso anno, a causa dei conflitti che si spostano sempre più nelle aree urbane. Questo dato è nettamente superiore a quello del periodo 2020-2024 (pari a una media di circa il 59%).  Per il 2024 i dati delle Nazioni Unite evidenziano che 4.676 bambini sono stati uccisi in zone di conflitto e 7.291 feriti, portando il totale delle vittime a 11.967. Si tratta del numero più alto mai registrato, in aumento del 42% rispetto alle 8.422 vittime infantili del 2020, con guerre sempre più urbanizzate, più distruttive e caratterizzate da una crescente impunità.

Per tre anni consecutivi, le forze governative sono state identificate come i principali responsabili di questi bambini morti e feriti, in gran parte a causa dell’uso di armi esplosive ad ampio raggio in aree densamente popolate. Gli esplosivi di fabbricazione statale causano ora il 54% delle morti e dei feriti tra i civili, rispetto al 17% del 2020. Dagli anni ’90, il numero di bambini e bambine che vivono sotto il peso della guerra è più che raddoppiato, raggiungendo oggi la cifra record di 520 milioni di bambini e adolescenti, oltre uno su cinque a livello globale presenti in zone di conflitto attivo, con un aumento del 30% delle gravi violazioni contro i minori nei conflitti accertate, con numeri record di uccisioni, mutilazioni, aggressioni sessuali e rapimenti.

Fame e sfruttamento: piaghe senza fine

Accanto a questi, tanti altri dati testimoniano come il mondo sia diventato un luogo terribilmente pericoloso per i minori, che vengono sempre più privati dei loro diritti.  Dei circa 118 milioni di bambini che hanno sofferto la fame nel 2025, quasi 63 milioni – oltre la metà – sono stati costretti a questa situazione dai conflitti, che rimangono la principale causa di fame nel mondo – dove addirittura a volte è utilizzata come arma di guerra. Sfollamenti, eventi climatici catastrofici, povertà estrema hanno aggravato le condizioni alimentari dei minori nel mondo. A livello globale la malnutrizione acuta è la causa di circa la metà dei decessi dei bambini e bambine sotto i 5 anni. A rendere più grave la situazione, ci sono stati i recenti tagli agli aiuti internazionali che stanno mettendo a rischio il sostegno a programmi fondamentali per la salute, la nutrizione e l’istruzione di milioni di bambini. Inoltre, nel mondo 1 persona su 4 in condizione di sfruttamento o schiavitù moderna è minorenne, pari a 12,3 milioni, mentre circa 48 milioni di minori all’anno, ovvero in media 136 mila al giorno, sono stati colpiti da disastri climatici negli ultimi 30 anni.

La povertà attanaglia l’Europa e l’Italia

Restringendo il campo a livello europeo, si registrano 446mila bambini in più – pari a una media di 244 bambini al giorno – colpiti dalla povertà in Europa negli ultimi cinque anni. L’Italia è al quintultimo posto in Ue per la percentuale di bambini a rischio povertà ed esclusione sociale, con il 27,1%, mentre i minori in povertà assoluta nel nostro Paese sono 1,28 milioni, il 13,8% del totale.  I diritti specifici dei bambini e degli adolescenti – da quello all’istruzione, alla protezione, al cibo e alla sicurezza dallo sfruttamento – sono ignorati e calpestati in moltissimi contesti, a causa dei conflitti, crisi umanitarie, povertà estrema o crisi climatiche, a causa dei quali bambini e bambine, ragazzi e ragazze non possono andare a scuola, devono abbandonare le loro case, cercare un futuro possibile altrove affrontando viaggi pericolosi, ricorrere a misure disperate per sopravvivere.  Save the Children chiede ai leader mondiali di fermare l’uso di armi esplosive nelle aree popolate e di proteggere i bambini nei conflitti. Più in generale, l’organizzazione sottolinea come sia necessaria un’inversione di tendenza dei governi e delle istituzioni, che portino a investire sull’infanzia, mettendo sempre la protezione, i bisogni e i diritti dei più piccoli al centro dell’agenda politica della comunità internazionale. 

AP Photo/Abdel Kareem Hana/Associated Press/LaPresse

VITA

 

BAMBINI AL MACELLO


 Dichiarazione della Direttrice generale dell'UNICEF Catherine Russell


Da oltre 700 giorni, i bambini di Gaza vengono uccisi, mutilati e sfollati in una guerra devastante che è un affronto alla nostra comune umanità. Gli attacchi israeliani su Gaza City e su altre parti della Striscia di Gaza continuano. Il mondo non può e non deve permettere che questo continui.

Negli ultimi due anni, secondo le notizie, un numero sconcertante di 64.000 bambini sono stati uccisi o mutilati in tutta la Striscia di Gaza, tra cui almeno 1.000 appena nati. Non sappiamo quanti altri siano morti a causa di malattie prevenibili o siano sepolti sotto le macerie.

La carestia persiste a Gaza City e si sta diffondendo verso sud, dove i bambini vivono già in condizioni disastrose. La crisi legata alla malnutrizione, soprattutto tra gli infanti, rimane drammatica. Mesi senza cibo adeguato hanno causato danni permanenti alla crescita e allo sviluppo dei bambini.

La necessità di un cessate il fuoco non potrebbe essere più urgente. Da sabato mattina, secondo le notizie, almeno 14 bambini sono stati uccisi, mentre i bombardamenti da parte di Israele continuano a colpire Gaza City e altre zone.

L’UNICEF accoglie con favore tutti gli sforzi volti a porre fine alla guerra e a stabilire un percorso verso la pace a Gaza e nella regione. Qualsiasi piano deve portare a un cessate il fuoco, al rilascio degli ostaggi e al passaggio sicuro, rapido e senza ostacoli degli aiuti umanitari – attraverso tutti i valichi e le rotte disponibili – nella misura estremamente necessaria per tutti gli abitanti di Gaza, soprattutto i bambini.

Il diritto internazionale umanitario è chiaro: chiediamo a Israele di garantire la piena protezione della vita di tutti i civili. Negare l'assistenza umanitaria ai civili è inequivocabilmente proibito. I principi di distinzione, proporzionalità e precauzione devono guidare tutte le azioni militari e i civili che non possono, non vogliono o scelgono di non evacuare le zone di combattimento rimangono civili e devono essere sempre protetti.

Ogni bambino ucciso è una perdita insostituibile. Per il bene di tutti i bambini di Gaza, questa guerra deve finire ora.

INFANZIA A RISCHIO

 


Giornata Mondiale dell’Infanzia


 e dell’Adolescenza 2025

 

Il 20 novembre 2025 si celebra la Giornata Mondiale dell’Infanzia e dell’Adolescenza.

 Redazione

 Il 20 novembre 2025 si celebra la Giornata Mondiale dell’Infanzia e dell’Adolescenza, istituita nel 1954 per sostenere i diritti fondamentali di bambini/e e adolescenti. Nel 1959, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la Dichiarazione dei diritti del fanciullo e nel 1989 si è adottata la Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza. Tale documento è fondamentale in quanto per la prima volta i bambini e gli adolescenti non sono solo individui da proteggere, ma sono considerati persone con le loro opinioni, con una propria dignità e con diritti specifici.

Questa data è pertanto ogni anno un’occasione per promuovere la consapevolezza sui diritti fondamentali dei bambini, come il diritto alla vita, allo sviluppo, all’educazione e al benessere e per ribadire l’importanza della loro tutela in tutto il mondo.

Gli ultimi dati UNICEF sulla situazione dell’infanzia e dell’adolescenza nel mondo sono però allarmanti, a causa degli oltre 60 conflitti in atto e dei cambiamenti climatici. Oltre 473 milioni di bambini — cioè più di 1 bambino su 6 nel mondo — vivono in aree colpite da conflitto, un numero che ha raggiunto uno dei livelli più alti mai registrati. I conflitti compromettono decisamente l’accesso all’istruzione, alla salute e alla nutrizione (118 milioni di bambini nel mondo soffrono di malnutrizione).

Per quanto concerne l’educazione, si stima che 85 milioni di bambini non frequentino la scuola. Inoltre, spesso le infrastrutture scolastiche sono inesistenti, danneggiate o distrutte nelle zone di conflitto o colpite da disastri naturali.

Le sfide da affrontare sono molteplici e spesso si sovrappongono, come nel caso dei conflitti, dei cambiamenti climatici e della povertà. Le risorse finanziarie sono insufficienti davanti alle esigenze sempre maggiori da affrontare, mentre la mancanza di azioni a livello di infrastrutture per l’istruzione, la sanità, la protezione dei bambini mette a rischio non solo il presente ma anche il futuro delle nuove generazioni.

Per affrontare tali sfide, il VIDES Internazionale è da sempre in prima linea nella difesa e nella promozione dei diritti dei bambini e dei giovani, con una particolare attenzione ai contesti in cui tali diritti vengono più frequentemente violati. A testimonianza di questo impegno costante, nel 2025 si è concluso l’importante progetto “Keeping Families Together II”, promosso dal VIDES Internazionale e finanziato dalla Fondazione GHR. L’iniziativa ha rappresentato un traguardo significativo nel campo della protezione dei minori e della tutela del diritto dei bambini a crescere all’interno di un nucleo familiare sicuro, sereno e amorevole. Nel corso del progetto, suore e membri dello staff sono stati formati per rispondere in modo adeguato ai bisogni emotivi e psicologici dei bambini separati dalle proprie famiglie. Laddove possibile, è stato favorito il loro reinserimento in un contesto familiare, creando, in stretta collaborazione con le famiglie di origine, le condizioni per un ambiente accogliente e capace di sostenere lo sviluppo e il benessere dei minori. Parallelamente, il VIDES Internazionale ha adottato una propria Child Protection Policy, che sancisce l’impegno dell’organizzazione nel garantire il pieno rispetto e la tutela dei bambini e dei giovani in ogni ambito della sua azione.

Accanto al VIDES Internazionale, la FVGS ETS, opera fin dalla sua fondazione in Asia, Africa, America Latina ed Europa per garantire ai bambini più vulnerabile il diritto allo studio e a un’alimentazione equilibrata. Infatti, attraverso il Sostegno a Distanza, la FVGS raggiunge ogni anno migliaia di minori garantendo loro la possibilità di andare a scuola e costruirsi un futuro migliore. Inoltre, è presente sul territorio con progetti e microprogetti di sviluppo per sostenere le realtà locali in particolar modo le necessità dei bambini più vulnerabili.

Oggi più che mai il VIDES Internazionale e la Fondazione FVGS sono convinti dell’importanza di operare con lo scopo di realizzare quanto scritto nel Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia e dell’adolescenza: “Occorre preparare pienamente il fanciullo ad avere una vita individuale nella società, ed educarlo nello spirito degli ideali proclamati nella Carta delle Nazioni Unite, in particolare in uno spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà”.

 Giornata infanzia

mercoledì 19 novembre 2025

I. A. SAGGEZZA E DEMOCRAZIA

 

Immagine che contiene testo, schermata, elmetto, maschera antigas

Il contenuto generato dall'IA potrebbe non essere corretto.

«Nell’IA va prevista la saggezza by design»

 

De Caro e Giovanola nel loro saggio “Intelligenze” propongono un approccio basato sull’etica della virtù per le macchine e chi interagisce con esse Privacy, equità, opacità del funzionamento, problemi per sicurezza e occupazione.

Sono tante le questioni cruciali poste alle politiche pubbliche, che chiedono risposte

De Caro: «Il rischio, più che esistenziale, è che amplifichi crisi e disinformazione»

Giovanola: «La sfida non è tanto capire come i sistemi ci trasformino, ma l’influenza reciproca.

 E valutare l’impatto sulla democrazia»

 

-di ANDREA LAVAZZA


Il futuro con l’intelligenza artificiale è roseo o cupo? La domanda è ormai all’ordine del giorno e le risposte che vengono proposte variano lungo un ampio spettro. Spesso, tuttavia, sono poco meditate, quando non improvvisate. Un volume appena pubblicato ha il pregio di provare a indagare con competenza, chiarezza e concisione l’IA come possibile soggetto etico e come fattore capace di trasformare il nostro agire. Si tratta del lavoro di Mario De Caro e Benedetta Giovanola, Intelligenze. Etica e politica dell’IA (il Mulino, pagine 174, euro 18,00). Abbiamo dialogato con gli autori, rispettivamente professore di Filosofia morale all’Università Roma Tre e alla Tufts University di Boston, e professoressa di Filosofia morale all’Università di Macerata e titolare della Cattedra Jean Monnet EDIT.

Un tema cruciale per i nuovi sistemi di IA, ma anche un’affascinante questione filosofica, è la comprensione che essi hanno del linguaggio naturale. I chatbot capiscono davvero? Che cosa sappiamo oggi e quali sarebbero le implicazioni di una risposta affermativa? De Caro: «Oggi c’è forte disaccordo sull’idea che i chatbot, come ChatGPT, Gemini, Claude, DeepSeek e così via, comprendano il linguaggio. Non c’è dubbio che passino il test di Turing ovvero, linguisticamente si comportano come ci comporteremmo noi -, ma per molti ciò non basta: la “comprensione” resta dunque in questione. Secondo l’esperimento mentale della “Stanza cinese” di John Searle, appena scomparso, i sistemi artificiali non fanno altro che manipolare simboli, imitando la nostra comprensione ma senza mai acquisirla veramente. Però altri (da Steven Pinker a Daniel Dennett, da Paul e Patricia Churchland a Ned Block) hanno argomentato che non c’è ragione per ritenere che la comprensione non possa emergere anche da basi non biologiche. Gli LLM apprendono da grandi corpora e da input multimodali e costruiscono efficaci modelli operativi del mondo, pur con limiti (come le allucinazioni, che tuttavia vanno diminuendo man mano che i modelli si affinano). Infine, nel libro sosteniamo che gli argomenti secondo cui ChatGPT & Co. sarebbero meri “pappagalli stocastici” non sono molto convincenti. In sintesi, se si ritiene che la comprensione richieda la coscienza - tesi su cui molti non sono d’accordo e nemmeno noi-, allora l’IA non può comprendere. In ogni caso, non è controverso che oggi si possa già parlare di comprensione funzionale, parziale e distribuita da parte dei sistemi artificiali».

L’intelligenza artificiale intesa come strumento solleva molti interrogativi etici in senso pieno, dalla privacy all’uguaglianza di opportunità. Qual è il problema emergente o ancora sottovalutato cui dovremmo prestare più attenzione?

Giovanola: «Un problema ancora sottovalutato, che però richiede grande attenzione, è quanto e come l’IA trasformi il nostro agire e le nostre capacità epistemiche: spesso il dibattito – anche pubblico – è impostato su presunte somiglianze o differenze tra l’intelligenza artificiale e l’intelligenza umana. Questa impostazione devia l’attenzione dalla vera sfida, ovvero comprendere come esseri umani e sistemi di IA possono interagire in modo proficuo, poiché l’essere umano, da sempre, trasforma il mondo che lo circonda ma, al contempo, trasforma se stesso attraverso ciò che produce. Inoltre, non comprendere questa relazione di reciproca influenza offusca un problema centrale e, al contempo, emergente: l’impatto dell’IA – dai sistemi di raccomandazione fino all’IA generativa – sulle nostre capacità cognitive ed epistemiche, ovvero sulla nostra fiducia nelle nostre capacità di comprendere il mondo, di distinguere vero e falso, di sapere scegliere cosa è bene per noi e per la società in cui viviamo».

Accostare l’IA alla politica costituisce una novità. Nel libro si esplorano i rischi, che appaiono concreti. Ma recenti sviluppi, come algoritmi per guidare i dibattiti e capaci di ridurre gli estremismi mostrando agli interlocutori diversi punti di vista, sembrano aprire scenari di ottimismo. Che bilancio si può fare?

Giovanola: « La teoria politica dell’IA è un campo emergente: troppo spesso si tende a ritenere l’IA un ambito politicamente neutrale, una questione solo o soprattutto tecnologica, caratterizzata da uno sviluppo inarrestabile, che sfugge a ogni tipo di controllo. Bisogna comprendere, invece, che l’IA è, oggi più che mai, una questione politica, che va gestita e governata. Di certo affidarsi all’ethics by design – garantendo, ad esempio, che gli algoritmi operino in direzione della diversificazione dei punti di vista piuttosto che dell’estremizzazione – è importante, ma da sola non può risolvere il problema. Occorre indagare le strutture di potere nella governance dell’IA e la legittimità di chi decide; bisogna riflettere sui rapporti tra attori privati (detentori dei dati e dell’infrastruttura tecnologica) e poteri pubblici; è, infine, necessario valutare l’impatto dell’IA sulla democrazia: rischi di influenza o manipolazione che sfruttano vulnerabilità cognitive ed emotive possono minare l’eguaglianza politica, sociale e morale».

Rendere “etici” fin dall’origine i sistemi di intelligenza artificiale sembra la via preferibile per scongiurare conseguenze negative del loro uso massiccio. Vi sono però problemi teorici prima ancora che tecnici. Potete riassumere la vostra originale proposta?

Giovanola: « La nostra proposta parte dal riconoscimento di un parallelismo tra l’evoluzione dei sistemi di IA e le trasformazioni dell’etica. I sistemi di IA si sono evoluti in direzione di modelli bottom-up o “post-simbolici”, che utilizzando le reti neurali artificiali si basano sull’apprendimento dai dati, sulla predizione, sul riconoscimento di pattern e su rappresentazioni contestuali del significato. Parallelamente, l’etica è passata da concezioni “generaliste” basate su principi generali, regole o leggi universali, ad approcci “contestualisti”, che sottolineano piuttosto l’importanza di comprendere le circostanze particolari in cui compiamo le nostre azioni. Muovendo da questo parallelismo, proponiamo di adottare la cosiddetta “etica della virtù”, un approccio contestualistico che consente sia di progettare sistemi di IA “saggi” by design (cioè fin dall’inizio, dalla progettazione) sia di promuovere la saggezza morale in coloro che interagiscono con tali sistemi».

Il pericolo esistenziale proveniente dall’intelligenza artificiale sembrerebbe lontano, eppure nel libro lo discutete all’inizio. Dovremmo essere già oggi preoccupati? Che tipo di scenari si possono ipotizzare?

De Caro: « Recentemente, una lettera di trecento luminari – tra cui dieci premi Nobel, inclusi Giorgio Parisi e Geoffrey Hinton, uno dei padri delle reti neurali artificiali – ha prospettato il rischio esistenziale con parole molto preoccupate (e preoccupanti): “L’IA ha un immenso potenziale per migliorare il benessere umano, ma la sua traiettoria attuale presenta pericoli senza precedenti. L’IA potrebbe presto superare di gran lunga le capacità umane e amplificare rischi quali pandemie ingegnerizzate, disinformazione su vasta scala, manipolazione massiva degli individui, compresi i bambini, problemi di sicurezza nazionale e internazionale, disoccupazione di massa e violazioni sistematiche dei diritti umani”. Data la diffusione capillare dell’IA, imporre vincoli etici ai sistemi artificiali è una sfida ardua ma non impossibile, indipendentemente dalla possibilità di ottenere la tanto discussa Intelligenza Artificiale Generale. È bene sottolineare, però, che, oltre a schiudere prospettive luminose in molti ambiti — a partire dalla medicina —, l’IA pone sfide più specifiche, oltre a quella esistenziale generale. Nel nostro libro, parliamo dei rischi riguardanti l’autonomia, la privacy, l’equità, la sostenibilità ambientale e sociale, oltre che del cosiddetto problema della explainability, ossia l’opacità del funzionamento dei sistemi artificiali. Inoltre, come detto, non vanno sottovalutati i rischi che la loro rapida ascesa comporta per la tenuta stessa dei meccanismi democratici».

Forse, più che macchine che ci distruggano volontariamente, dovremmo temere macchine intelligenti/ stupide che faranno tutto il nostro lavoro lasciandoci disoccupati, sufficientemente ricchi e senza scopi nell’esistenza. Cosa ne pensate?

De Caro: « Il rischio esistenziale posto dall’IA è presente – a prescindere dalla possibilità che essa diventi cosciente o “intelligente” in senso forte – proprio per la diffusione capillare che essa ha in ogni ambito della nostra vita. Il rischio di disoccupazione è reale e richiederà politiche pubbliche incisive e innovative. Più remoto ci pare, invece, il rischio di smarrire gli scopi dell’esistenza: nella storia, i valori etici e culturali hanno già attraversato e superato crisi profonde. Resta invece assai problematica l’idea che l’IA ci renda “sufficientemente ricchi”: il costante aumento dell’indice di Gini, che misura la disuguaglianza nella distribuzione del reddito e della ricchezza, indica che la crescita – in buona parte provocata proprio dall’avvento della nuova IA – si va sempre più concentrando soprattutto ai piani alti, con un incremento sproporzionato delle risorse dei super- ricchi. Il problema dell’equità sociale ed economica sarà una delle maggiori sfide dei prossimi anni».

 www.avvenire.it

 

FAMIGLIE E CONTEMPORANEITA'

 


IL FRAGILE DOMANI

 Le famiglie alla prova

 della contemporaneità

CISF Family Report 2025 



 SINTESI DELLA RICERCA

Il tema del CISF Family Report 2025 ha come focus il benessere psicologico e relazionale delle persone e nasce dall’esigenza di chiarire come questo possa essere salvaguardato e protetto nella dialettica tra famiglie e società.

 L’ipotesi di fondo che viene verificata in questa ricerca è che il benessere generale (salute) e psicorelazionale (equilibrio, serenità) di ogni individuo dipende dall’interazione dello stesso (con i suoi punti di forza e debolezze personali) con il contesto familiare e con quello sociale. Il benessere psicologico, insomma, per dirla con le parole dello psichiatra Giovanni Migliarese, che firma il capitolo 4 del Report, deriva strettamente “da un ecosistema, da una rete estremamente interconnessa che integra ambiti differenti, appartenenti a dimensioni quali soggettività, socialità/relazionalità, ambiente di vita (politiche, servizi a supporto, ubiquitarietà della tecnologia e del digitale), bisogni (economici, abitativi, di protezione, di senso). È evidente che in questa rete di connessione la famiglia è un ambito centrale da considerare: rappresenta uno dei principali determinanti sociali della salute mentale, potendosi porre alternativamente sia come fattore favorente il benessere che come fattore di rischio”. 

Il campione

 Questa ricerca – svolta per conto del Cisf dalla società Eumetra - si è avvalsa di un campione di 1.600 soggetti: 43% con figli conviventi, di cui 11% monogenitori;  32,1% famiglie composte da un solo componente;  20,6% coppie senza figli 4,3% altri nuclei (famiglie estese, multigenerazionali, con membri aggiunti…)  *Nell’11,5% delle famiglie qui considerate è inoltre presente una persona con disabilità (più di una famiglia su dieci, un dato decisamente rilevante se si pensa alle funzioni di caregiving delle famiglie).

*È stata poi interpellata, all’interno di queste tipologie familiari, una percentuale pari all’11,3%, di “giovani adulti nella famiglia di origine”: si tratta di rispondenti maggiorenni ancora conviventi coi genitori perché non ancora in una vita indipendente oppure rientrati a vivere coi genitori. • Status socio-economico ed “economie della rinuncia” Rispetto allo status socio-economico, la maggior parte delle famiglie si trova nelle categorie intermedie (medio-basso,45,6% o medio-alto 40,8%), mentre i picchi estremi sono più marginali (8,7% per un alto status; 4,8% con basso status socio-economico). Da notare che il 74,1% dei giovani adulti ancora residenti nella famiglia d’origine si trovano in una condizione di basso o medio-basso status socioeconomico.

È allora interessante notare il tipo di spese che gli intervistati non sono riusciti a sostenere a fronte delle difficoltà economiche riscontrate, che corrisponde in parte anche a una “valutazione di priorità” sulla maggiore o minore essenzialità del prodotto per cui spendere. Spese a cui gli intervistati hanno dovuto rinunciare nell’ultimo anno  Percentuali di colonna - possibili più risposte (le righe non vanno sommate) Spese per il benessere personale e il tempo libero (sport, parrucchiere, cinema, etc.) (N: 1.600) 32,5 Spese per la casa (ristrutturazione, acquisto mobili, riparazioni, etc.) Spese sanitarie 32,4 Vacanze già programmate 18,5 Spese per la gestione dei veicoli (automobile, moto, etc.) 16,9 Acquisto di beni essenziali (cibo, vestiti) 16,6 Internet/ Smartphone/Abbonamenti TV/ digitali 10,9 Attività educative o ricreative per i figli 10,2 Affitto/ mutuo 4,1 2,9 Fonte: CISF Family Report 2025, cap.1 “Parliamo di cose “normali”: sport, gite, cinema, corsi”, scrive la sociologa Sara Nanetti, che firma il capitolo 2 del Report.

“In definitiva, i dati mostrano come le famiglie, pur colpite, continuino a esercitare un ruolo di filtro e protezione, spesso a  costo della propria salute e del proprio benessere, ma tale condizione di affaticamento collettivo rischia di passare inosservata, perché è trasversale rispetto alle configurazioni familiari, non fa scandalo e si distribuisce in modo capillare. Eppure, laddove ogni famiglia rinuncia in silenzio, la società smette di interrogarsi, ed è qui che lo sguardo sociologico è chiamato non tanto a contare i poveri, ma a decostruire il mito della resilienza come virtù obbligatoria, perché chi si adatta sempre, alla fine si piega, e la vera povertà familiare non è riducibile alla mancanza di denaro ma comprende la progressiva erosione delle possibilità di scelta”.

La mappa della salute

Un primo dato rilevante per il benessere delle persone è certamente lo stato di salute. Lo scenario appare abbastanza problematico per una quota non marginale di popolazione: da un lato, poco più di un quarto degli intervistati si sente “in buona salute fisica” (27,7%), e più di un terzo “non ha particolari problemi fisici” (37,1%). Oltre un terzo della popolazione, d’altro lato (35,2%), segnala almeno un problema, con differenti gravità, da condizioni meno rilevanti (assunzione di farmaci, 19,9%), fino a patologie croniche (14,3%) o invalidità certificate (4,5%). Il tema della cura della salute appare quindi molto diffuso. Come prevedibile, la quota di persone con problemi di salute cresce all’aumentare dell’età dei soggetti: sotto i 24 anni la percentuale di chi ha problemi è “solo” il 17,9% (si tratta comunque di un soggetto su cinque), per arrivare a quasi la metà (47,9%) sopra i 65 anni. • Ansia, stress e richieste di aiuto

Una persona su quattro dichiara di aver sperimentato “spesso” ansia e stress nell’ultimo anno (24,9%), e oltre un terzo della popolazione li ha sperimentati con una certa frequenza (“a volte”, 37,3%). Solo l’8% dichiara di non averli sperimentati mai, sempre nell’ultimo anno. I motivi che hanno causato ansia e stress sono eterogenei, e spesso compresenti: dalla salute (il più presente: 45,2%) fino alla solitudine (22,4%) e alle difficoltà relazionali. In qualche caso si riscontrano rilevanti differenze di genere (le donne più preoccupate per salute, soldi e relazioni con i figli, gli uomini per quello che capita al lavoro), in altri non ci sono particolari distanze (gestione del tempo, solitudine/isolamento, relazione di coppia).

Fattori di ansia/stress significativi nell’ultimo anno secondo il sesso dell’intervistato Percentuali di colonna - possibili più risposte (le righe non vanno sommate) Maschio Femmina TOTALE Problemi di salute (personali o di un familiare) 42,2 Problemi economici 48,0 45,2 32,4 36,9 Il bisogno di migliorare il benessere psichico è decisamente sentito: nella globalità del campione, più di 4 persone su 10 hanno ricercato supporto o avrebbero voluto farlo.  Globalmente, il bisogno di supporto per un generico miglioramento del benessere psichico interessa quasi il 45% della popolazione (il 55,7% dichiara di non averne mai avuto bisogno). Di coloro che hanno cercato aiuto, pari al 23,7% del totale, circa i due terzi hanno trovato utile l’intervento specialistico, evidenziando quindi una percentuale non irrilevante di bisogni insoddisfatti. “Per quale motivo si è rivolto a un professionista?” Ansia Depressione 38,6 46,9 Stress 36,8 Problemi relazionali o familiari 30,8 Lutti o eventi traumatici 21,6 Problemi legati alla gestione dei figli 9,9 Dipendenze (alcol, gioco, sostanze) 5,4 Altro 7,4 .V.A. 1.600

Welfare pubblico

Dalla ricerca CISF emergono infine non solo i bisogni della popolazione ma anche le risposte ricevute dal sistema del welfare pubblico. Il numero di persone che si sono rivolte a specialisti deputati alla gestione delle patologie e della sofferenza psichica appare importante: più di una persona su 10 infatti si è rivolta a centri per la salute mentale e circa 5 su 100 ai servizi per le dipendenze. Vi è una tendenza maggiore a rivolgersi ai servizi nelle fasce più giovani della popolazione, mentre persone di età superiore ai 55 anni tendono a non utilizzarli. “Il dato che emerge dalle risposte al questionario descrive una realtà italiana in cui le famiglie si sono trovate, nel corso dell’ultimo anno, a fronteggiare frequentemente una condizione di difficoltà emotiva, caratterizzata prevalentemente da stress e ansia”, sottolinea Giovanni Migliarese nel suo capitolo. “La difficoltà emotiva appare favorita da fattori concreti e cogenti quali difficoltà economiche, problemi lavorativi, problemi di salute personali o dei familiari, il peso di dover gestire un familiare non autosufficiente, la solitudine, difficoltà nella relazione coi figli o con il partner. È un quadro che pertanto conferma lo stretto legame tra aspetti socio-economici e le difficoltà psichiche, e che sottolinea la necessità di una stretta integrazione tra i servizi sanitari e del welfare sociale, in una visione di tutela del benessere psichico che deve essere unitaria”.

Come vedi il futuro? La lente rovesciata famiglia/mondo Strettamente connesse al tema precedente sono le aspettative/ previsioni per il futuro, che possono facilmente pacificare o destabilizzare la condizione di equilibrio e di benessere delle persone, e che possono cambiare anche in funzione dell’ambito a cui ci si riferisce (la propria vita personale, la propria famiglia, il contesto sociale, il futuro globale del mondo…).  Oltre la metà degli intervistati esprime un orientamento decisamente pessimista per il futuro (peggiorerà sia a livello mondiale che per l’Italia, entrambe attorno al 57% delle risposte). Tuttavia, le previsioni per la propria famiglia si presentano molto meno sbilanciate: solo il 19,1% prevede che il futuro per la propria famiglia sarà peggiore, mentre il 56,7% dei casi lo prevede stabile. “Complessivamente pensi che nel futuro la situazione”: Percentuali di colonna (∑=100) a livello mondiale Migliorerà 5,9 in Italia per la tua famiglia rimarrà stabile 7,2 10,9 18,3 23,2 56,7 peggiorerà 57,0 57,2 non so/non ho elementi per fare una previsione/non credo sia possibile fare una previsione 19,1 18,8 12,4 13,3 V.A.

“I soggetti con alta istruzione, prestigio professionale e status familiare elevato esprimono le preoccupazioni più marcate su quasi tutte le dimensioni: crisi economica (7,73), guerre (7,54), solitudine (6,72)”, scrive Sara Nanetti nel suo capitolo. “I dati mostrano come le preoccupazioni più intense non si collocano ai margini della società, ma tra coloro che sono maggiormente integrati, più responsabilizzati e consapevoli, tra le famiglie con figli e le persone con reti relazionali solide e con maggiore istruzione. Sono questi soggetti a percepire con più forza la crisi dei legami, l’inadeguatezza dei servizi, la fragilità delle istituzioni. Le paure, in questo senso, non sono espressione di debolezza individuale, ma indicatori indiretti di una coscienza critica e relazionale del rischio, che merita attenzione. Questo dato sollecita una riflessione ulteriore sulla natura della vulnerabilità contemporanea, che non si configura più (solo) come mancanza, ma anche come una sovraesposizione nei termini di responsabilità e consapevolezza”. • Senza reti: la solitudine come male universale

La solitudine è stata identificata come uno dei principali fattori di sofferenza che vede accrescere la sua portata soprattutto tra i giovani adulti che non hanno nessuno su cui contare. Vivere soli, mangiare soli, sentirsi soli: ogni atto quotidiano si trasforma in vettore di vulnerabilità emotiva, amplificata dall’erosione delle reti sociali primarie. I dati raccolti confermano in modo inequivocabile che la solitudine non è un’esperienza soggettiva marginale, ma un dispositivo strutturale di vulnerabilità che condiziona profondamente il benessere personale. L’indice di isolamento e solitudine, infatti, si correla negativamente con tutte le dimensioni del benessere esaminate. Tra coloro che si collocano nella fascia alta dell’indice, solo il 38,7% si è sentito spesso o sempre allegro, solo il 38,4% ha vissuto esperienze ricorrenti di calma, e solo il 36,8% si è percepito attivo ed energico. Inoltre, la deprivazione relazionale impatta anche sul corpo: meno di un terzo degli isolati si sveglia sentendosi fresco e riposato (31,8%). Benessere soggettivo secondo l’indice di solitudine/isolamento sociale  Percentuali di colonna sul totale di riferimento – le righe non vanno sommate (chi si sente “spesso” o “sempre” nella condizione di benessere soggettivo indicata in riga)   Basso isolamento Medio isolamento Alto  Isolamento Allegro/a e di buon umore 71,9 64,0 TOTALE Calmo/a e rilassato/a 38,7 66,8 63,3 61,7 Attivo/a ed energico/a 38,4 66,5 61,2 59,4 Vita piena di cose interessanti 36,8 68,9 57,4 58,1 Fresco/a e riposato/a al risveglio 36,2 56,5 50,6 57,5 V.A.  31,8 647 48,9 Fonte: CISF Family Report 2025, cap.2 607 

• Il caregiving e il sentirsi sopraffatti 346 1.600 L’innalzamento dell’età in cui si genera il primo figlio comporta necessariamente anche un innalzamento dell’età dei futuri nonni, i quali non riescono più a essere la generazione in grado di aiutare i figli che diventano genitori, ma richiedono, a loro volta, attenzioni di cura.  A fronte di questo, la “generazione sandwich” è fortemente esposta a criticità e rischi. Nel campione dell’indagine CISF 2025 quasi una famiglia con figli su due (il 42,6%) è interessata anche da compiti di caregiving nei confronti di familiari non autosufficienti. Rispetto, invece, all’intero campione, parliamo comunque di una persona su cinque (il 21,7%) che si trova a sperimentare questa impegnativa situazione. Confrontando la condizione di fatica tra caregiving dei fragili e compiti genitoriali, emerge che il primo impegno è decisamente più faticoso, dato che più della metà di queste persone (53,3%) dichiara di sentirsi sopraffatta con più frequenza dalle responsabilità di caregiving, mentre non supera il 40% chi sostiene di essere sopraffatto dalle responsabilità genitoriali.  Livello di stress/sentirsi sopraffatto dai compiti di cura Percentuali di riga Mai Raramente A volte Spesso V.A. Se ti curi di genitori anziani fragili (o altri familiari non autosufficienti), quanto spesso ti senti sopraffatto dalle responsabilità di cura?  24,2 22,4 Quanto spesso ti senti sopraffatto dalle responsabilità genitoriali? 31,4 30,2 23,1 675 28,9 Fonte: CISF Family Report

 • Le fratrie scompaiono, nelle famiglie entrano i pet

 Il figlio unico sta lentamente diventando prevalente nella struttura familiare, anche monogenitoriale: su un totale di 517 famiglie con figli conviventi (rispetto al totale di 1.600 del campione), il 58,7% ha un solo figlio, mentre solo il 41,3% ne ha almeno due; prevale il figlio unico nel Nord-Est, mentre sono presenti più figli nel Sud-Isole.  Numero di figli secondo l’area geografica Percentuali di colonna (∑=100) Nord Ovest Nord Est Famiglie con figlio unico 59,6 Centro 67,1 59,4 Sud e Isole TOTALE Famiglie con fratelli 53,3 40,4 32,9 40,6 58,7 V.A. 46,7 140 89 41,3 110 Fonte: CISF Family Report 2025, cap.3 178 517 “Questa trasformazione quantitativa porta con sé una serie di implicazioni qualitative, relazionali ed educative”, scrive la psicologa Anna Bertoni, che firma il capitolo 3 del Report.

“In una famiglia a figlio unico, le dinamiche della socializzazione primaria si condensano in una diade intensa, spesso asimmetrica, dove il figlio concentra su di sé aspettative, risorse, paure e investimenti affettivi da parte dei genitori e non solo. La fratria – quando presente – agisce invece come spazio di negoziazione orizzontale, luogo simbolico di alterità interna alla famiglia, prima palestra del conflitto, dell’alleanza e della mediazione”.

Nel nostro campione, inoltre, il 59,8% delle famiglie dichiara di avere almeno un animale domestico, con percentuali ancora più alte tra le coppie con figli (71%) e nuclei monogenitoriali (74,9%). La tendenza crescente all’assimilazione degli animali domestici, percepiti come membri della famiglia e spesso paragonati ai bambini, ci parla di una “domanda di legame” che non è semplicemente scelta di consumo o di compagnia, ma un vero e proprio bisogno relazionale. Bisogno che può trovare una deriva nel fenomeno del “dog parenting”, che quasi sta ridefinendo il paradigma di famiglia. Con questa espressione si intendono tutti quei comportamenti in cui il padrone attribuisce al cane un ruolo di “figlio”, non solo sul piano affettivo, ma anche simbolico e sociale:  “I pets vengono così antropomorfizzati e trattati quasi come figli”, sottolinea Anna Bertoni, “ma, a differenza dei figli, non pongono il tema dell’educazione e dell’etica, non contestano i genitori e quindi consentono all’adulto di rimanere in un ruolo molto comodo, ma scambiato, in modo miope, con quello genitoriale. I dog parents verranno amati per sempre dal loro animale, che non li metterà mai in discussione, come può fare un figlio nel processo di crescita”.

 I legami che contano

Nel complesso, emergono almeno tre attività che rivestono un ruolo centrale nella vita affettiva e simbolica delle famiglie: dialoghi sinceri e discorsi seri (votazioni con una media dell’8,09), condivisione dei pasti (media 7,59) e vacanze condivise (media 7,37). Queste pratiche si configurano come rituali relazionali, in cui si intrecciano narrazione identitaria, scambio intergenerazionale e progettualità condivisa. “Quanto sono significative per te le seguenti attività per trascorrere tempo di qualità insieme ai tuoi familiari?” (punteggi medi; min: 0; max: 10 – N: 930) Videogiochi/ console Lavori domestici/ cura della casa Shopping insieme Aiuto nello studio/ Lettura insieme Guardare film o serie TV insieme Attività ricreative (es. giochi, hobby, musica) 3,50 6,27 Vacanze insieme Condivisione di pasti Dialogo/ conversazioni sincere/ discorsi seri 6,28 5,79 6,35 6,78 7,37 7,59 8,09 0,00 1,00 2,00 3,00 4,00 5,00 6,00 7,00 8,00 9,00 Fonte: CISF Family Report 2025, cap.2 Ma quali sono specificatamente gli ambiti della vita dei figli che generano maggiori timori nei genitori? Come si evince dai risultati del Report, oltre alla gestione dei soldi (29,3%) e all’uso delle tecnologie (21,7%), tra le maggiori difficoltà i rispondenti hanno identificato le relazioni conflittuali con i figli (25,9%), le compagnie/amicizie degli stessi (18,1%) e l’isolamento sociale dei figli (14,9%).

Queste preoccupazioni interessano prevalentemente le coppie con figli conviventi, e investono le madri più dei padri. Elementi di maggiore difficoltà nelle responsabilità genitoriali (valori percentuali – possibili più risposte - N: 888) Problemi sull’identità di genere (alcol, gioco d’azzardo, sostanze stupefacenti) Dipendenza/ abuso di sostanze Episodi di autolesionismo Comportamenti trasgressivi Situazioni di bullismo/ cyberbullismo Altro Isolamento sociale dei figli Rendimento scolastico dei figli (il figlio/ i figli) Compagnie/ amicizie dei figli (internet, social network, videogiochi) 2,5 2,8 3,2 6 7,7 11,3 Modalità di uso delle tecnologie Relazioni conflittuali con i figli Gestione dei soldi Fonte: CISF Family Report 2025, cap.6 0 5 10 15 14,9 15,6 18,1 20 21,7 25 25,9 29,3 30 35

La genitorialità

 “I dati del Report delineano con chiarezza un modello di genitorialità fragile, frammentata, e carica di solitudine, soprattutto nelle fasi iniziali della vita del bambino e nelle famiglie più escluse socialmente”, scrive la pedagogista Valeria Rossini nel capitolo 6 del Report. “L’impressione è che il peso della cura e della responsabilità educativa venga spesso vissuto in una condizione di ritiro, senza reti stabili di sostegno, né orizzonti chiari di condivisione con le istituzioni scolastiche o sociali. D’altra parte, questa solitudine educativa dovrebbe essere letta non tanto come un segno di disaffezione dei genitori, quanto come un indicatore della debolezza del tessuto comunitario: dove manca un sistema relazionale a supporto della genitorialità, il carico soggettivo cresce e, con esso, le difficolta economiche, le tensioni relazionali e l’insicurezza pedagogica”.

Smartphone e sfide educative per le famiglie 

Nelle famiglie italiane emergono conflitti relativi all’uso del cellulare: si tratta di un fenomeno presente nel 27,1% dei casi. Se poi restringiamo il campione dei rispondenti a chi ha almeno un figlio minorenne, il conflitto diventa una condizione presente, con diverse sfumature di frequenza, nella maggioranza delle famiglie: il 55,4%. Occorre però problematizzare la sola lettura generazionale al conflitto per il dispositivo: i dati CISF 2025 rilevano che il problema non riguarda soltanto i bambini e i giovani, ma piuttosto anche gli adulti, come il coniuge/compagno nel 30,5%, il rispondente stesso nel 19,5%, il genitore nel 13,8%, il fratello/sorella nell’11,6% e un altro membro della famiglia nel 2%. Di fronte ai ripetuti allarmi lanciati dal mondo adulto rispetto allo smartphone, ci si è dunque chiesti se si sono messe in campo delle forme di contrattazione pedagogica rispetto all’uso del dispositivo.

 La percezione del conflitto rispetto al cellulare, incrociata con l’attivazione di regole in famiglia, ha permesso di costruire quattro tipologie di stile genitoriale rispetto alla “governance dello smartphone”: • Domatori (36,7%): genitori che provano a tenere sotto controllo il consumo mediale, ma in una situazione spesso di tensione. • Disarmati (24,4%): genitori che rilevano il conflitto, ma non provano a intervenire attraverso la contrattazione o le regole. • Accompagnatori (15,7%): sono le situazioni in cui non si registra una percezione di conflitto, mentre ci sono regole d’uso; • Liberi battitori (23,2%): i genitori che non rilevano problemi e non ritengono di porre regole d’uso. “Il forte controllo non si traduce in intervento educativo se rimane una strategia di delega con cui il genitore che si riconosce incapace di educare prova a fare in modo che un filtro o delle regole lo facciano al suo posto”, scrive il pedagogista Stefano Pasta nel capitolo 5 del Report. “È il rischio che corrono alcuni – non tutti – “domatori”. Idealmente, quando la famiglia è fortemente educativa, non ha bisogno di controllare ma piuttosto di “accompagnare”, un atteggiamento educativo che indica la strada, fornisce dei suggerimenti, ma non si sostituisce al figlio, e sa assumersi il rischio di lasciare che poi questo si sperimenti. Non è il permissivismo di chi lascia che il figlio faccia qualsiasi esperienza, ma piuttosto orienta e, prima di lasciare provare, fornisce dei criteri e agisce mediazione attiva”. Mentre il Report CISF registra una sorta di “normalizzazione” dell’uso del digitale, la percezione dell’IA (elaborata attraverso l’AI Homing Index) rimane più confinata e non sempre ordinaria. Tra gli indicatori, l’eccezione è data dall’uso di ChatGPT, che cresce sensibilmente (+15,3%), fino a riguardare quasi i due terzi delle famiglie (58,4%) con almeno un minore. Si presuppone che questo consumo riguardi la quotidianità informativa delle vite dei ragazzi, ma anche l’utilizzo con implicazioni scolastiche.

CONCLUSIONI

“Il fragile domani” non è solo questione personale o individuale, ma riguarda la qualità di vita, la coesione sociale e il benessere dell’intera collettività. Proponiamo qui in sede conclusiva, senza pretese di sistematicità, una prima lista di possibili risposte alla generica domanda “Che fare?”.

Dal punto di vista dell’individuo, “l’indagine conferma che in questa contemporaneità non mancano certo elementi di complessità e criticità, di fronte ai quali i progetti di vita, i desideri e i bisogni delle persone non sono affatto scontati né lineari. Ciò peraltro costringe ciascuno a fare i conti con la responsabilità di rimodulare le proprie scelte e i propri progetti di vita in termini propositivi, mettendo in gioco i propri talenti, ma anche andando alla ricerca di risorse esterne senza farsi bloccare da un eventuale inciampo. Certo, i problemi non se li augura nessuno; ma nessuna difficoltà, nemmeno la più complessa, può diventare obiezione alla reazione, o peggio alibi per la resa”, scrive Francesco Belletti, direttore CISF. Dal punto di vista delle relazioni familiari, “non si può dimenticare che le famiglie vivono oggi nel contesto culturale della società post-familiare, che sempre meno ne valorizza il ruolo sociale e istituzionale. Dalle relazioni familiari è quindi legittimo aspettarsi protezione, promozione, libertà e appartenenza (e ciò è responsabilità diretta di ciascuna famiglia), ma questo non può più essere dato per scontato, e implica un gigantesco compito sociale, sia educativo verso le famiglie che di accompagnamento e sostegno nelle diverse fasi e passaggi critici della vita familiare, senza dimenticare la disponibilità di un supporto professionale vero e proprio”, prosegue Belletti.

Dal punto di vista della società, “le reti comunitarie sono certamente fattori protettivi e promozionali del benessere, ma questo esige un doppio movimento, da parte delle persone e da parte del contesto esterno, di riconoscimento reciproco e di assunzione di responsabilità. Per questo sarà interessante verificare se i Centri per la famiglia previsti su tutto il territorio nazionale dall’ultimo Piano nazionale per la famiglia saranno in grado di promuovere nuove relazioni di cittadinanza attiva, più che offrire nuovi servizi professionali”. Dal punto di vista del contesto e delle policies, avverte il direttore del CISF, “nelle società occidentali ci si aspetta che il benessere delle persone non sia solo un bene privato, a carico delle singole persone, ma sia “anche” parte del bene comune.  Tra i diversi “compiti operativi” per l’intervento pubblico, oggi necessari, si possono citare ad esempio lo sviluppo dei servizi consultoriali, il rafforzamento dei servizi psichiatrici, la promozione di spazi relazionali per famiglie e giovani. Serve però anche una condivisione complessiva di valori e stili operativi, per far sì che l’intervento pubblico generi in modo virtuoso il bene obiettivo. Nella società contemporanea nemmeno l’intervento pubblico più consolidato può illudersi di “risolvere” da solo, ma deve agire – con il massimo possibile di qualità e di risorse – all’interno di un più ampio processo societario, in cui tutti gli attori generino un “valore aggiunto” di benessere per ogni persona e di bene comune per tutti”.


GIOCARE A ESSERE DIO

 


 “L’uomo ha sempre 

giocato a fare Dio,

 ma oltre alla scienza 

c’è bisogno dell’etica”

 


Di fronte ai progressi della biotecnologia serve una governance mondiale per la salvaguardia dell’umanità.

-di Vito Mancuso

«Giocano a fare Dio», diciamo spaventati riferendoci a coloro che intendono riprogettare l'essere umano tramite tecnologie sempre più pervasive, applicate questa volta non più su macchine e computer ma su gli stessi corpi umani. In realtà l'umanità ha sempre cercato di fare Dio, non a caso ci siamo dichiarati suoi figli, proclamati "a sua immagine e somiglianza", quindi cosa c'è da stupirsi se ora proseguiamo nell'impresa di emulare il Padre celeste? Da sempre i figli desiderano essere come il padre, anzi persino più forti di lui. E poi scusate, che male c'è nel cercare di prevenire le svariate migliaia di malattie genetiche che minacciano il formarsi degli esseri umani nel seno materno, in quei momenti in cui Dio Padre (sempre per stare alla metafora del giocare a fare Dio) si distrae un po' e invece del corretto numero di cromosomi ne lascia posizionare uno in più o uno in meno, generando irreversibili malformazioni nei bambini che nascono e un dolore abissale nei genitori? … 

E che male c'è nel prevenire la degenerazione delle cellule nervose che conduce un essere umano a vivere gli ultimi anni senza consapevolezza di sé, in preda alla demenza, con il conseguente indescrivibile strazio dei parenti e un sordo odio verso la vita per il suo beffardo destino? Domande retoriche, la cui unica sensata risposta è nessun male; anzi, solo tanto auspicabilissimo bene. La scienza deve fare il suo mestiere, che, come dice il nome dal latino scire, consiste nel "sapere": nell'incrementare sempre più la conoscenza. 

Sembrerebbe quindi che non vi sia nulla da temere e che occorra solo salutare con gioia le notizie fornite da questo giornale nei giorni scorsi riguardanti il progetto "Preventive" e le intenzioni (forse giá ben più che solo tali) di AltmanAmstrongMusk e altri miliardari che mirano a creare "uomini geneticamente modificati". 

L'umanità, però, non è solo conoscenza e azione, è anche coscienza e dubbio, cioè riflessione sull'utilizzo della conoscenza ottenuta, la quale può essere usata in vari modi: o per i benefici di tutti, o per i privilegi di pochi; o per curare malattie, o per allestire un catalogo di caratteristiche biologiche da mettere in vendita; o per il bene comune, o per il profitto di privati. Perché il punto che tendiamo a dimenticare, inebriati come siamo non dalla serietà della conoscenza scientifica ma dal senso di onnipotenza che la società dei consumi infonde nelle menti per condurle a consumare sempre più, è che il bene e il male esistono per davvero e che non tutto quello che si può fare è davvero lecito fare. Inebriati dall'ideologia vincente ai nostri giorni denominabile "scientismo", dimentichiamo la lezione di Kant secondo cui sono tre le domande alla base dell'umano: 1) che cosa posso sapere? 2) che cosa devo fare? 3) che cosa mi è lecito sperare? 

Accanto al sapere c'è anche il dovere, oltre alla conoscenza c'è anche la coscienza. Il che significa che noi, oltre alla scienza, abbiamo bisogno dell'etica (e della spiritualità, se prendiamo sul serio anche la terza domanda). Che sia necessaria l'etica appare del tutto evidente non appena si riflette sul fatto che un conto è usare le biotecnologie per sconfiggere le malattie genetiche, un altro conto è selezionare dal menu eugenetico il colore degli occhi, l'altezza e l'intelligenza del figlio in arrivo (privandolo cosi della sua irriducibile differenza rispetto ai genitori, fondamento della sua originarietà e della sua libertà). Insomma, se è vero che a seguito delle tecnologie sempre più performanti siamo entrati dentro un mondo del tutto nuovo, è altrettanto vero che siamo pur sempre rimasti dentro il mondo di sempre che necessita di una bussola del bene e del male, se vogliamo custodire la libertà. 

La libertà è un bene prezioso ma fragile, si può perdere facilmente e di sicuro viene meno laddove non vi sia imprevedibilità e indeterminazione. In assenza di queste dimensioni funzioneremo di più, ma sentiremo di meno; saremo sempre vincitori, ma saremo privati del prezioso sale che viene dalla sconfitta e dal saperla rielaborare. 

Il fisico Alessandro Vespignani dichiarava ieri a questo giornale che ormai da anni noi siamo «intelligenze aumentate». É proprio così? È davvero aumentata in questi ultimi anni l'intelligenza degli esseri umani? La maggiore performatività tecnologica ha davvero prodotto un aumento dell'intelligenza individuale? Io non ne sono per nulla sicuro. 

L'intelligenza umana infatti non si caratterizza solo per essere "problem solving", ma anche per sapersi costituire come "problem posing", cioè per la sua dimensione critica e dubitativa. Funzionare di più e risolvere più problemi non significa necessariamente essere più intelligenti. Senza calcolare che questa "intelligenza aumentata" è stata finora ben lungi dall'aumentare la felicità e la serenità, ma ha semmai ha prodotto uno spaventoso aumento dell'ansia da prestazione per essere tutti all'altezza di questa "intelligenza aumentata" che ci vuole tutti più smart e più tech. Ma a che serve questo aumento dell'intelligenza se coincide con la diminuzione della felicità? Mi viene in mente questa domanda evangelica: "A che serve a un uomo guadagnare il mondo intero se poi perde la sua anima?". Il concetto di anima esprime il centro vitale di ognuno di noi. Noi siamo intelligenza, certo, ma non solo; siamo anche sentimento, passione, bisogno di senso. 

L'intelligenza ci offre conoscenza, ma è solo il sentimento che ci offre il significato. E ognuno di noi è ultimamente una domanda di significato. Questo non si può limitare al fare e all'eseguire, perché richiede anche il non-fare, il contemplare, il tacere, ovvero ciò che i nostri padri chiamavano otium e che ritenevano più prezioso del pur essenziale negotium

Sempre Vespignani dichiarava che programmare il biologico con strumenti digitali è sì un processo inevitabile, ma non dobbiamo preoccuparci perché l'obiettivo non è progettare persone ma ridurre la sofferenza e la mortalità, cioè la prevenzione e la cura. Aggiungeva inoltre che il potenziamento genetico è una promessa fuorviante e una deriva eticamente inaccettabile e che non si deve "aprire la porta al mercato". Parole bellissime che si traducevano nell'auspicio della necessità di regole chiare per l'operatività tecnologica nell'ambito clinico e biologico al fine di tenere il mercato a distanza e di conseguenza nella necessità di una solida cooperazione internazionale, visto che la scienza e la tecnologia non conoscono confini e nessun paese può regolarsi da solo. 

Il problema, però, qual è? È che la scienza corre a passi da gigante, mentre il diritto e la politica che devono provvedere alle regolamentazioni auspicate arrancano lenti come una lumaca. È quindi necessario tener conto di questa doppia velocità prendendo la seguente decisione: che sia vietata ogni applicazione dell'IA e delle tecnologie sulla biologia umana prima che le normative siano definite in modo chiaro e trasparente per il mondo intero. 

Non si tratta di fermare la scienza, si tratta di custodire l'umanità. Perché se veramente si vuole non aprire la porta al mercato, chi può davvero tenere chiusa quella porta è solo la politica in quanto costruttrice di diritto. Di fronte alle biotecnologie che possono mutare definitivamente la natura umana aumentandone l'intelligenza e diminuendone il cuore, abbiamo l'urgente necessità di una governance mondiale. Penso che i rettori e i senati accademici delle università di tutto il mondo, gli imprenditori più responsabili, i leader delle religioni mondiali, gli intellettuali più seguiti debbano coordinarsi tra loro per far sentire la voce dell'umano. Prima si stabiliscano le regole chiare per la salvaguardia dell'umanità, poi si intraprenda il lavoro biotecnologico sull'essere umano. Solo così si potrà davvero lavorare per sconfiggere le malattie senza cadere nello spaventoso marketing eugenetico. In sé non è sbagliato "fare Dio", ma lo si deve fare seriamente, non giocando con l'umano ma servendolo con la più alta responsabilità.

VITO MANCUSO

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martedì 18 novembre 2025

LA PACE INIZIA DAI PIU' PICCOLI


Troppo spesso le guerre proseguono o addirittura ne scoppiano di nuove, le crisi si acuiscono, le tregue non tengono, i deboli e specialmente i bambini continuano a morire

di Pasquale Ferrara

A cadenza regolare, ogni anno, l’attenzione del mondo è focalizzata sui vertici dei cosiddetti “Grandi della terra”. Li vediamo riuniti attorno a tavoli perfettamente addobbati, sorridenti, in mezzo a bandiere multicolori, disposti in ordine rigorosamente protocollare per la “foto di famiglia”.  Dovrebbero decidere - si presume - i destini del pianeta, risolvere conflitti e crisi umanitarie. Quando quelle riunioni finiscono, tuttavia, troppo spesso le guerre proseguono o addirittura ne scoppiano di nuove, le crisi si acuiscono, le tregue non tengono, i deboli e specialmente i bambini continuano a morire. Eppure, basterebbe ascoltarli. Dostoevskij coglie perfettamente la giocosa serietà e la competenza innata dei bambini: «I grandi non sanno che, perfino sulle questioni più difficili, un bambino è in grado di dare un consiglio assolutamente serio». Giovanni Pascoli riteneva che in ognuno si celasse un «fanciullino», ovvero la capacità di guardare alla realtà con uno sguardo capace di coglierne la meraviglia, di intuire la struttura profonda del mondo.  Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo recente discorso al Bundestag, ha denunciato «l’applicazione sistematica della ignobile pratica della rappresaglia contro gli innocenti». Innocente, etimologicamente, significa colui che “non nuoce”: in-nocens. Non solo colui che non ha colpe passate, ma che, in assoluto, non può averne. La cartina di tornasole del potere, da quello municipale a quello imperiale, è proprio come tratta gli innocenti.

Le zone di conflitto

Oggi, secondo l’Unicef, un bambino su sei nel mondo vive in una zona di conflitto. In Ucraina, oltre 2.400 bambini hanno perso la vita, molti sono stati sottratti alle loro famiglie e condotti in Russia. La crisi umanitaria del Sudan per i bambini è, per numeri, la più grande al mondo. Migliaia di minori sono morti per via della guerra tra le fazioni militari, le malattie, la carestia, le atrocità.  A Gaza, l’Unicef riporta che 18.430 minori sono stati uccisi o gravemente menomati. E per quelli sopravvissuti non basta accoglierli, come pure è doveroso, necessario, urgente, nei nostri ospedali, se non ci si chiede chi li ha ridotti in tale stato - amputati, traumatizzati, cronicizzati nelle malattie indotte da guerrieri vili, che prendono di mira gli indifesi ed i deboli. Non basta dire che sono stati oltrepassati i limiti, se non si indentificano – essi sì – i veri colpevoli, se non si fa nulla per fermarli, se non ci si adopera affinché rispondano dei loro crimini, se non si risale alle responsabilità politiche ultime.

Un infanticidio differito

Troppi minori vengono reclutati e impiegati nei conflitti armati in tutto il mondo. Tra il 2005 e il 2022, oltre 105.000 bambini sono stati schierati dalle parti in conflitto, ma il numero effettivo dei casi è sicuramente molto più alto. Ragazzini costretti a impugnare un’arma invece di una matita. Tutto ciò, nonostante il fatto che la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, adottata dalle Nazioni Unite nel 1989, sia ad oggi il Trattato più ratificato, ma forse anche tra i meno rispettati, della storia.  Un grande polemologo, Gaston Bouthoul, concepiva la guerra come un infanticidio differito. Riprendendo questa terribile verità in chiave letteraria, Oriana Fallaci scriverà, in Lettera ad un bambino mai nato, che «la guerra è un infanticidio in massa, rinviato di vent’anni». Ma alla guerra generalizzata non corrisponde una pace generica: di paci ce ne sono almeno tre tipi, come suggeriva Johan Galtung. La Pace Diretta è la semplice assenza di violenza fisica o diretta, come nei conflitti armati o nella violenza individuale. Ma – per quanto essenziale – è solo una condizione di base, non sufficiente a garantire una pace duratura. C’è però bisogno anche della Pace Strutturale, che riguarda la rimozione delle ingiustizie sociali ed economiche, le disuguaglianze e le strutture oppressive che impediscono l'accesso equo alle risorse, ai diritti e alle opportunità.

La pace culturale

Ma soprattutto c’è la Pace Culturale, che riguarda le attitudini, le ideologie e le convinzioni che ammettono o addirittura giustificano la violenza e l’intolleranza. La pace culturale promuove il rispetto, la comprensione reciproca e la non-violenza, non solo a livello individuale, ma anche a livello delle comunità e della società. Si costruisce attraverso l’educazione e la diffusione di valori di empatia, solidarietà e cooperazione. In Colombia, dal 2014 è in atto un’iniziativa educativa esemplare: la creazione di una “cattedra della pace”. Una legge introduce in tutte le scuole del Paese un insegnamento obbligatorio volto a promuovere competenze di convivenza, mediazione e cittadinanza democratica. In Italia, anche senza aspirare a tanto, il prossimo 20 novembre, in occasione della Giornata mondiale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, si potrebbe lanciare l’iniziativa del “banco vuoto”. Un banco lasciato libero per ricordare le vite spezzate di tutti i bambini ed i ragazzi che la guerra dei grandi ha sottratto al futuro del mondo. Un banco da cui gli alunni, a turno, potrebbero condividere riflessioni, proporre azioni, esprimersi creativamente, o semplicemente colmare, anche con il semplice silenzio, una tragica assenza con una presenza. Sedersi in rappresentanza dei loro coetanei che non ci sono più. La grande strategia è importante, ma altrettanto lo è la micro-fondazione della pace. Se è certamente necessario perseguire la Pace con la maiuscola, altrettanto indispensabile è costruire con tenacia, giorno per giorno, tante piccole “paci”. 

Alla guerra dei grandi, rispondere con la pace dei piccoli.

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