mercoledì 12 novembre 2025

SENZ'ANIMA

 


Il quotidiano nasconde

 l'anima delle persone 

e ci mostra solo la loro maschera.


Me ne rendo conto quando leggo ai genitori uno scritto dei figli e si stupiscono della vita interiore di chi, in casa, usa monosillabi o, se in vena, un gergo incerto. La convivenza quotidiana rende opaca l'anima, perché ordinariamente è l'ego che mandiamo avanti, cioè quella maschera forgiata dalle ferite che la vita ci ha inferto quando ci siamo affidati senza riserve al mondo e agli adulti. 

 -di Alessandro D’Avenia

 La maschera è un'armatura costruita per proteggerci, una scorza di lamentele, pretese e accuse forgiata dalla rabbia per l'amore che non ci è stato dato, le paure che ci sono state trasmesse, i giudizi che ci hanno inflitto, le bugie che ci hanno raccontato. Qualcosa però dentro di noi sa che la vita può e deve essere altro. È l'anima - dal greco anemos, soffio – una metafora che da secoli usiamo per indicare la vita spirituale: verità sotto l'armatura, libertà che consente di sentire il dolore delle ferite senza sparirvi dentro, perché la vita resta sempre oltre le catene che gli umani le impongono, oltre le loro trappole per controllarla. L'anima sente la ferita, ne soffre, ma non vi si identifica, e così cerca la cura, libera le energie bloccate da paura e rabbia e spezza l'armatura. Scrittura, lettura e altre pratiche d'anima (spirituali) consentono di contattare l'anima e darle forza togliendola alla maschera, conquistando poco a poco libertà e gioia. Oggi prima dell'educazione affettiva è necessaria quella spirituale, da cui la prima dipende. Ne ho avuto conferma grazie a un compito fatto da quattordicenni...

 I ragazzi dovevano immedesimarsi in Telemaco che, alla fine del primo canto dell'Odissea, rimane sveglio un'intera notte a pensare al viaggio che avrebbe intrapreso in cerca del padre, un viaggio per mare, e quindi a rischio di vita e di grande delusione e dolore. Ho chiesto loro di provare a narrare i pensieri su cui Omero sorvola. In quella notte letteraria ciascuno ha proiettato la propria notte spirituale, cioè dove l'anima affronta l'ego e lo spoglia delle maschere. Sintetizzo con le righe finali di uno scritto: “Questi erano pensieri da adulti, pensieri che non aveva mai avuto prima. E così si pose altre domande. Vuol dire questo diventare grandi? È questo che si prova?”. 

 Contattare l'anima è mettere un'intercapedine tra sé e le trappole del mondo, una distanza tra la vita e le catene, per liberarsi. Porre domande è aprire questo spazio, noto come dialogo interiore (lo specifico umano è questa relazione con noi stessi: noi siamo due), che, quando la risposta è ardua, insceniamo ad alta voce: “parla da solo, è pazzo”, proprio il contrario, vuole evitare la pazzia, si apre alla relazione con se stesso, si ascolta o ci prova. Il domandare viene dalla vita e la libera dalle risposte autoprotettive e rigide dell'ego, dettate dagli automatismi della paura e della rabbia. Lo spiega a un giovane, che gli aveva scritto per ricevere consiglio, il poeta Rainer Maria Rilke: “Tutto ti diverrà più facile, armonico e conciliante, non forse nell’intelletto, che resta indietro attonito, ma nella tua più intima coscienza, che veglia e sa. Tu sei così giovane, così al di qua d’ogni inizio, e io ti vorrei pregare di aver pazienza verso quanto non è ancora risolto nel tuo cuore, e tentare di aver care le domande stesse come stanze serrate e libri scritti in una lingua molto straniera. Non cercare ora risposte che non possono venirti date perché non le potresti vivere. E di questo si tratta, di vivere tutto.

  Vivi ora le domande. Forse t’avvicini così, poco a poco, senz’avvertirlo, a vivere un giorno lontano la risposta. Educati a questo compito” (Lettere a un giovane poeta). Lo scrittore parla di una coscienza intima che “veglia e sa”, la distingue dal ragionamento spesso orientato dall'ego e che resta “attonito”. Questa coscienza è lo spazio vitale (dove la vita parla) necessario, più di ogni altro a un adolescente, per “incarnare” la risposta, è un vuoto percepito sulle prime come solitudine ma che in realtà diventa “capacità” (metafora che implica il vuoto) di ricevere la vita, cioè le risposte che la vita offre solo se la domanda è vissuta, incarnata. Immaginatevi di avere un ottimo vino da condividere con gli amici ma di non possedere bicchieri in casa: non avete “le capacità”. 

 Questa solitudine, che è proprio la capacità di ricevere, è ben descritta da un altro scritto di quel compito: “Avrebbe voluto piangere ma le lacrime non vennero. Si limitò a restare lì, sveglio, immobile, ascoltando ogni suono della notte. Il canto lontano di un gufo, il respiro del vento tra le travi, il battito del suo cuore. L’oscurità era profonda, ma in fondo a quella notte nera ardeva una piccola luce: la possibilità di cambiare, di crescere, di scoprire la verità. E così Telemaco, figlio di Odisseo, restò sveglio. Non per paura, ma perché sentiva che da quel momento nulla sarebbe stato più come prima. Il cuore batteva forte, per ricordargli che era vivo, sveglio, e forse, per la prima volta, davvero solo”.

  Grazie a questa solitudine si trovano risposte vitali, perché la meraviglia della vita, come scriveva Kafka nei Diari, «se la si chiama con la parola giusta, col suo giusto nome, arriva». Noi adulti diamo spesso ai ragazzi chiavi per serrature solo nostre, risposte a domande mai fatte da loro, invece di ascoltare quelle incarnate e allenare chi le pone a mantenerle, domande alle quali noi stessi non abbiamo risposta o pensiamo di averla: “un giorno capirai” (il che presuppone che noi abbiamo capito, ma allora perché non rispondiamo?). Qualche settimana fa un amico si è sentito domandare dal figlio di sei anni: “Perché viviamo se poi dobbiamo morire?”, e non si è avventurato in risposte difficili o nascosto in un non lo so, ma gli ha risposto con l'elenco delle cose belle da fare (purtroppo tra queste c'era anche tifare Inter...). 

 La stessa domanda me l'ha posta, in un inglese ben scandito, una donna cinese in vacanza in Italia, seduta accanto a me in aereo in una conversazione che ha spaziato dal prezzo dei voli a: “Secondo te questa vita ha senso?”. Da 6 a 100 anni la domanda resta la stessa, e accade in una solitudine dolorosa ma generativa, come un parto. Rilke risponde infatti così al giovane amico di penna: “Ama la tua solitudine e sopporta il dolore che essa ti procura con lamento armonioso. 

 Quelli che ti sono vicini, dici, ti sono lontani, e ciò mostra che intorno a te comincia a stendersi lo spazio. Rallegrati della tua crescita in cui non puoi portare alcuno. La tua solitudine ti sarà sostegno e patria anche in mezzo a circostanze molto estranee, e dal suo seno troverai tu tutti i tuoi cammini”. Di questo dolore oggi noi vogliamo privare i ragazzi, ma tutti i cammini veramente nostri iniziano lì, sono già nell'anima e dall'anima partono verso la vita, e non dall'ego che o non cammina - imprigionato com'è nelle sue paure, pregiudizi e pretese - o batte vie di altri che prima o poi sarà necessario abbandonare al prezzo di crisi più o meno profonde. Niente come questa solitudine mi ha liberato da certezze di cartapesta e mi ha fatto crescere l'anima, perché è la capacità (in sequenza: vuoto, mancanza, desiderio, energia) di ricevere la vita che solo io posso ricevere, come l'oro fuso nella forma vuota per un gioiello. Educare anime ingombre di cianfrusaglie e bloccate da armature e schermi, è dare spazio alla vita nella forma unica e irripetibile che hanno: formare non è imporre una forma ma aiutare l'altro a scoprire la propria, allenarlo a tenerla pulita perché la vita la riempia del suo oro fuso. 

 Ciò avviene non solo grazie a lettura e scrittura (quest'ultima ci rende i primi lettori di noi stessi) che è ciò che dovremmo insegnare a scuola, ma a tutto ciò che crea lo spazio (natura, arte, amicizia, esercizio, amore, dolore, silenzio) per farsi un'“anima viva”, cioè un’anima che prende le redini della vita e non si fa sottomettere dal proprio ego o da quello altrui. Libera, forte, gioiosa, creativa. 

 Corriere della Sera

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martedì 11 novembre 2025

BASTA BOCCIATURE !

 

Andrea Maggi: “Basta bocciature e votacci.

 Più obiettivi, meno lezioni frontali.

Dovremmo chiedere agli studenti perché non riescono ad apprendere”


-       - di Andrea Carlino

La scuola rappresenta una comunità educativa in cui studenti acquisiscono competenze, allenano il senso critico e si mettono alla prova non solo sul piano didattico, ma soprattutto relazionale.

L’istituzione scolastica dovrebbe costituire uno spazio di scoperta e crescita, capace di trasformare l’impegno scolastico in un trampolino per sviluppare passioni e coltivare talenti, evitando che sia percepito come un obbligo privo di significato.

Durante la giornata dedicata a Figli&Genitori al Tempo della Salute, evento organizzato dal Corriere della Sera a Milano il 9 novembre 2025, esperti e docenti hanno analizzato le modalità per rafforzare il legame tra ragazzi e scuola.

Tra gli ospiti è intervenuto Andrea Maggidocentescrittore e volto televisivo noto per la partecipazione al docu-reality Il Collegio. Il professore ha sottolineato l’urgenza di ripensare l’approccio educativo per rispondere concretamente ai bisogni degli studenti, superando modelli tradizionali ormai inadeguati.

Bocciature e abbandoni: serve un cambio di paradigma

«Non serve bocciare, gli abbandoni sono già troppi. Non dobbiamo dare votacci, ma obiettivi da raggiungere; semmai dovremmo chiedere agli studenti perché non riescono ad apprendere”, ha affermato Maggi durante l’incontro. La proposta del docente si colloca in un contesto nazionale in cui la dispersione scolastica è in calo: nel 2024 il tasso è sceso al 9,8%, avvicinandosi all’obiettivo europeo del 9% previsto per il 2030, mentre le stime per il 2025 indicano un ulteriore ribasso all’8,3%.

Gli studenti con cittadinanza straniera presentano tuttavia tassi di abbandono drammaticamente più elevati: 24,3% contro il 9,8% della media nazionale. La bocciatura può innescare, secondo la ricerca pedagogica, impotenza appresa, disaffezione verso la scuola, vergogna, senso di fallimento, perdita di autostima e isolamento sociale.

“Sarebbe meglio abbandonare le lezioni frontali, che si dimenticano dopo poco”, ha aggiunto Maggi, suggerendo l’adozione di metodologie didattiche attive capaci di mantenere viva l’attenzione e la motivazione degli studenti, come l’apprendimento basato su progetti o la didattica cooperativa.

Una scuola a misura di adulti o di ragazzi?

“La scuola oggi sembra essere più a misura delle fragilità degli adulti“, ha dichiarato Maggi, denunciando un sistema che da un lato offre ai genitori un falso senso di sicurezza – per esempio limitando l’uso del cellulare a scuola – dall’altro «li carica di aspettative e si aspetta performance irrealizzabili, rendendoli ansiosi”. Il professore ha invitato a ripensare il rapporto tra studentidocenti e famiglie: “I ragazzi non dovrebbero aver paura di sbagliare, di arrabbiarsi; nei genitori dovrebbero trovare la spalla su cui piangere, nella scuola un luogo che trasmetta contenuti e soprattutto la forza delle idee”.

Orizzonte Scuola

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INSEGNARE A RAGIONARE

 


Per Crepet i giovani 

non sanno ragionare: 


la "colpa" della scuola


Perché per Paolo Crepet i giovani d'oggi "non sanno ragionare" e qual è la "colpa" della scuola: cos'ha detto il noto psichiatra e sociologo

- di Camilla Ferrandi

 In un’epoca in cui la tecnologia avanza molto velocemente e l’intelligenza artificiale è ormai parte della quotidianità di ciascuno, lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet ha lanciato un nuovo allarme sui giovani: “Non sanno più ragionare“. Una provocazione? Forse. Ma soprattutto un invito a riflettere su dove stiamo andando come società. Il professore ha poi indagato le responsabilità: a suo parere, la “colpa” è anche della scuola.

Per Crepet i giovani non sanno più ragionare: qual è la colpa della scuola

Secondo Paolo Crepet “i giovani non sanno più ragionare”, come ha sottolineato in un’intervista a Il Resto del Carlino. Ma di chi è la responsabilità? A suo avviso, la “colpa” è sia della tecnologia, che “non insegna a pensare ma a consumare”, sia della scuola, che “dovrebbe far ragionare, invece si limita a far ripetere“, ha affermato lo psichiatra.

I giovani di oggi, a suo avviso, crescono in un sistema educativo che privilegia la memorizzazione rispetto alla comprensione, la performance rispetto alla riflessione. In un contesto simile, il pensiero critico, quello che nasce dal dubbio, dalla domanda, dalla curiosità, viene per lui soffocato.

Il risultato? Una generazione che, pur essendo immersa nella tecnologia, per Crepet non conosce davvero il mondo in cui vive: “La generazione Z non sa cosa siano le gigafactory, non sa da dove nasce ciò che usa. Eppure, vive dentro quel sistema. È un mondo che si illude di essere verde, ma non lo è: è nero, perché del futuro dei ragazzi non importa nulla a chi lo governa”, ha evidenziato Crepet.

Perché l’IA è una minaccia per Paolo Crepet

L’altro grande bersaglio di Crepet è l’intelligenza artificiale. E non perché sia di per sé negativa, ma perché, ha spiegato, se non governata rischia di diventare uno strumento di controllo “sottile e pericoloso”. “Non è un oggetto che compri o rifiuti. È qualcosa che ti guida, che ti spiega perché devi comprare questo o quello, che ti induce un pensiero”, ha affermato l’esperto.

Per Crepet, il problema non è solo tecnologico, ma “antropologico”, perché “stiamo parlando di come cambia l’essere umano, non di un accessorio tecnologico”. E ha aggiunto: “Non pensiamo più come una volta, ma non perché qualcuno ce lo impedisca: il punto è che questo qualcuno non è più un umano, è una macchina“.

L’IA, secondo Crepet, rischia di sostituire la capacità di giudizio: se ci affidiamo troppo agli algoritmi, smettiamo di porci domande, di cercare alternative, di esercitare la nostra libertà. Per lo psichiatra, una società che delega il pensiero a una macchina, è una società che rinuncia alla propria autonomia.

Infine, Crepet ha detto che l’IA è sia “la nuova frontiera” che una “minaccia“: da un lato “permette progressi straordinari, anche in medicina”, dall’altro è un acceleratore di disuguaglianze. Come ha spiegato, le tecnologie più avanzate richiedono enormi quantità di energia e risorse, che non tutti i Paesi possono permettersi. Da qui il suo avvertimento: “Le differenze tra chi ha acqua, energia e tecnologia e chi non ne ha saranno ancora più profonde”.

 

 

INTELLIGENZA ARTIFICIALE E DIGNITA' UMANA

 

Il Papa: riconoscere il potenziale distruttivo

 della tecnologia.


La dignità umana 

una priorità


In un messaggio ai partecipanti al Congresso Internazionale organizzato dalla Pontificia Accademia per la Vita “Intelligenza Artificiale e Medicina: la sfida della dignità umana”, Leone XIV mette in guardia dai pericoli dei progressi tecnologici che “influenzano profondamente il nostro modo di pensare, alterando la nostra comprensione delle situazioni e il modo in cui percepiamo noi stessi e gli altri”. Nell’“assistenza alle persone” sono insostituibili le “relazioni umane”

- Tiziana Campisi – Città del Vaticano

Se lo sviluppo tecnologico ha portato, e continua a portare, “benefici significativi all'umanità, specialmente nei campi della medicina e della salute”, perché ci sia “un progresso autentico” è necessario che “la dignità umana e il bene comune continuino a essere solide priorità per tutti”. Lo evidenzia Leone XIV nel messaggio ai partecipanti al Congresso Internazionale organizzato dalla Pontificia Accademia per la Vita “Intelligenza Artificiale e Medicina: la sfida della dignità umana” che si svolge dal 10 al 12 novembre a Roma, letto stamani dal presidente della PAV monsignor Renzo Pegoraro. Nel testo, il Pontefice si sofferma sul “potenziale distruttivo della tecnologia” e “della ricerca medica quando sono poste al servizio di ideologie antiumane”, esortando a considerare gli eventi del passato un monito. “Gli strumenti di cui disponiamo oggi sono ancor più potenti e possono produrre un effetto ancora più devastante sulla vita di individui e popoli”, scrive, riconoscendo, invece, i risvolti positivi di un utilizzo a “servizio della persona umana”.

LEGGI QUI IL TESTO INTEGRALE DEL MESSAGGIO DI PAPA LEONE 

Il rischio di perdere di vista le persone

C’è da riflettere sulla “rivoluzione digitale” che sta portando “a quello che Papa Francesco ha definito un ‘cambiamento epocale’”, sollecita Leone, che riconosce più pervasivi i “nuovi progressi tecnologici paragonabili per certi aspetti alla Rivoluzione Industriale”. “Influenzano profondamente il nostro modo di pensare, alterando la nostra comprensione delle situazioni e il modo in cui percepiamo noi stessi e gli altri”, osserva, aggiungendo che oggi “interagiamo con le macchine come se fossero interlocutori, diventando quasi una loro estensione”. Ma così si corre il pericolo “di perdere di vista i volti delle persone” e di “dimenticare come riconoscere e apprezzare tutto ciò che è veramente umano”.

Custodi e servitori della vita umana

Per il Pontefice è “di grande importanza” l’impegno di quanti prendono parte al Congresso Internazionale della Pontificia Accademia per la Vita “nell'esplorare il potenziale dell'Intelligenza Artificiale in medicina”, perché “la fragilità della condizione umana si manifesta spesso nel campo della medicina” e non bisogna dimenticare la dignità di ogni persona, che è “voluta, creata e amata da Dio”. Per tale motivo la Nota sul rapporto tra intelligenza artificiale e intelligenza umana “Antiqua et nova” dei Dicasteri per la Dottrina della Fede e per la Cultura e l'Educazione evidenzia che “gli operatori sanitari hanno la vocazione e la responsabilità di essere custodi e servitori della vita umana”. E, secondo Leone, “lo stesso si può dire di coloro che sono responsabili dell'uso dell'IA in questo campo”.

L’IA migliori le relazioni interpersonali

Nell’“assistenza alle persone” sono insostituibili le “relazioni umane”, rimarca, poi, il Papa, che per “la professionalità medica” reputa indispensabili “non solo le necessarie competenze specifiche, ma anche la capacità di comunicare e di essere vicini agli altri”. Dunque “i dispositivi tecnologici non devono mai sminuire la relazione personale tra pazienti e operatori sanitari”, semmai l'IA deve migliorare “realmente sia le relazioni interpersonali sia l'assistenza fornita”, e questo per poter essere “al servizio della dignità umana e dell'efficace erogazione dell'assistenza sanitaria”. Infine, di fronte ai “vasti interessi economici spesso in gioco nei campi della medicina e della tecnologia” e alla “lotta” per il suo “controllo”, da Leone XIV l’invito a “promuovere un'ampia collaborazione”, anche a livello internazionale, fra quanti “operano nel settore sanitario e in politica”. 

 Vatican News 

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lunedì 10 novembre 2025

FORMARE I DOCENTI NELLA SCUOLA DI DOMANI

 INDIRE al panel sul futuro delle competenze dei docenti nell’era dell’intelligenza artificiale

 IA innovazione


L’impatto dell’intelligenza artificiale sull’esperienza didattica, l’arrivo di nuove generazioni di “nativi digitali” e l’evoluzione della domanda di lavoro stanno ridefinendo il ruolo e le competenze dei docenti. 

I risultati dello studio evidenziano che, in questa nuova stagione, la centralità del docente all’interno della comunità educativa sarà rafforzata: se usati in modo efficace, l’IA e le nuove tecnologie applicate alla didattica consentiranno ai docenti di dedicare più tempo alla cura dell’aspetto umano e relazionale dell’insegnamento.

 Le competenze di carattere socio-comportamentale – capacità di ascolto, empatia, prosocialità – diventeranno ancor più importanti in un ambiente scolastico sempre più digitalizzato e multimediale


 di Costanza Braccesi

 

In occasione della presentazione dello studio EY-Sanoma La professione docente nella scuola di domani”Elisabetta Mughini, dirigente di ricerca di INDIRE, è intervenuta nel panel dedicato al futuro delle competenze professionali degli insegnanti in Europa.

Invitata per la sua approfondita conoscenza dei sistemi educativi europei, Mughini ha richiamato in particolare una delle iniziative formative promosse da INDIRE per conto del Ministero dell’Istruzione e del Merito nell’ambito del PNRR: la formazione volontaria e incentivata per le figure di sistema, realizzata su Scuola Futura. Il percorso punta a sostenere lo sviluppo di competenze di middle management e di agenti del cambiamento a favore dell’innovazione scolastica.

Dal punto di vista dell’osservatorio di European Schoolnet, Mughini ha inoltre evidenziato come, in tutti i sistemi educativi europei, la formazione dei docenti sull’intelligenza artificiale sia ormai considerata cruciale, con un’attenzione crescente agli aspetti etici e di protezione dei dati personali.

A chiusura dell’evento, Carmela Palumbo, Capo Dipartimento del MIM, ha ricordato che Italia e  Spagna sono ad oggi gli unici Paesi europei ad aver già emanato linee guida sull’uso dell’IA a scuola. Palumbo ha inoltre sottolineato l’impegno del Ministero nello sviluppo delle competenze non cognitive e trasversali di docenti e studenti, indicate dallo studio EY–Sanoma come fondamentali per il futuro, anche alla luce della Legge 22/2025, che prevede una sperimentazione e un piano nazionale triennale di formazione.

Lo studio in breve

Il report EY–Sanoma esplora l’impatto dell’intelligenza artificiale sulle professioni educative, stimando che entro il 2035 oltre il 60% delle competenze dei docenti sarà ridefinito. L’analisi mette in evidenza la necessità di nuovi percorsi formativi, l’importanza dell’etica digitale e il rafforzamento delle competenze trasversali per accompagnare il cambiamento nei sistemi di istruzione europei.

 👉 Scarica il rapporto “La professione docente nella scuola di domani” 






RIDISEGNARE LA DEMOCRAZIA

 

 Gli ordinamenti liberaldemocratici, che sembravano non solo consolidati, ma anche in grande espansione, oggi subiscono incrinature, scompensi, attacchi dall'interno e dall'esterno, talora contraccolpi dovuti a loro errori.

Alcuni fattori di crisi sono noti. Altri non sempre ricevono la dovuta attenzione.

Sulla base di un'ampia visione d'insieme, finora raramente perseguita in questa forma, l'autore delinea una batteria di possibili strade da percorrere e soluzioni da sperimentare, per salvare - insieme al pianeta - le democrazie. Tanto dai loro nemici, quanto da sé stesse.

Occorre prevedere e governare le conseguenze delle nuove tecnologie, proteggere gli ambienti sistemici esterni, democratizzare gli organismi indipendenti, avvalersi in modi innovativi e praticabili della democrazia diretta e di quella deliberativa, valorizzare la varietà dei punti di vista e il raggiungimento del consenso, anziché le imposizioni decisioniste e unilaterali.


TitoloRidisegnare la democrazia. I tasselli mancanti
Autore
ArgomentoScienze Umane  Sociologia
CollanaModernità e società
EditoreArmando Editore
Formato
Formato LibroLibro
Pagine430
Pubblicazione2025
ISBN9791259849304


venerdì 7 novembre 2025

LA DIMORA DI DIO

E' L'UOMO VIVENTE


Vangelo: Gv-2-13-22/

 Commento di Paolo Squizzato

Il Vangelo di questa domenica prosegue, nel vangelo di Giovanni, l’episodio delle nozze di Cana, racconto simbolico che ci ricorda come ciò che chiamiamo Dio non abiti nei cieli, ma là dove l’uomo si lascia amare e ama: è lì che comincia la festa.

Ora, immediatamente dopo ‘la festa’, Giovanni ci conduce nel luogo della religione, dove si respira potere, performance, frustrazione e in ultima analisi, tristezza. Da una parte la fede – partecipazione senza prestazione alla vita divina che ci attraversa – dall’altra la fatica del merito e del mercato. Sono le due possibilità di vivere la propria vita da credenti. A noi la scelta.

Nella storia, salvo rare eccezioni, ha prevalso un mondo “religioso” che ha scelto il controllo invece della fiducia, la dottrina al posto della vita, la fatica di conquistare il cielo attraverso meriti e sacrifici, dimenticando che quel cielo ci abitava da sempre. Ma non lo si è voluto credere, perché troppo bello per sembrare vero. In fin dei conti – lo sappiamo – la religione è sempre amministrazione del divino: è lei ad attestare chi può entrare, chi ne è escluso, quali norme osservare per meritare il favore di un dio.

Ma Gesù è rimasto a Cana, alla festa, ossia in quella postura umana chiamata fede per cui l’imperativo è dono: non ciò che l’uomo deve ad un dio, ma ciò che l’Amore desidera donargli. Per questo non può accettare il tempio trasformato in luogo di commercio, dove tutto si risolve nel becero do-ut-des, io essere umano do qualcosa a te dio altissimo affinché tu possa ricambiarmi in salute, sicurezza e protezione. Per questo Gesù ha distrutto – in maniera definitiva sulla croce – l’immagine del dio commerciante, convinto com’era che quella fosse la vera idolatria religiosa da sconfiggere.

Giovanni colloca questo gesto in prossimità della Pasqua — “dei Giudei”, precisa — quasi a dire: questa è ancora una pasqua imperfetta, una liberazione solo rituale. Migliaia in quei giorni salivano al tempio portando agnelli, denaro, e compiendo sacrifici. Un culto che odorava di sangue e fatica. La Pasqua autentica si sarebbe compiuta da lì a poco: sul legno della croce si aprirà la nuova geografia del divino: non più verso l’alto, ma verso l’interno.

Da allora, la dimora di Dio è l’uomo vivente, come intuiva Ireneo; anzi potremmo dire “Dio” non è altro che la profondità stessa della vita che si dona, il cuore pulsante di ogni essere che ama. È qui la vera liberazione: non dal peccato morale, ma dalla paura di non essere amabili.

È bello costatare come il Vangelo di Giovanni non inizi con un dogma, ma con una demolizione: quella del falso dio.

Solo chi lascia cadere il dio del dovere potrà incontrare il Dio dell’essere. Solo chi smette di trattare con il Cielo come con un commerciante potrà accorgersi che il Cielo è già dentro di sé, come un respiro che non chiede nulla, se non di essere accolto.

E allora, forse, comprendiamo che la fede non è un atto religioso, ma semplicemente un atto umano.
Non si tratta di credere in dio, ma di credere come Dio: con la stessa fiducia, la stessa gratuità, la stessa capacità di amare senza misura. Questo è il vero tempio, questo il vino nuovo che continua a colmare le anfore del mondo, e fare di ogni quotidiano una Cana dove si vive la festa.

Cercoiltuovolto

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