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mercoledì 24 aprile 2024

DEMOCRAZIA e LIBERTA'


 “Per il bene la stupidità è un nemico più pericoloso della malvagità. Gli uomini vengono resi stupidi, si lasciano rendere tali. Sì, qualsiasi ostentazione esteriore di potenza, politica o religiosa che sia, provoca l’istupidimento di gran parte degli uomini. La potenza dell’uno richiede la stupidità degli altri”. 


-di ENZO BIANCHI

 Inequivocabili segnali d’allarme non sono mancati in questi decenni: abbiamo denunciato la barbarie incalzante, vera minaccia alla convivenza democratica, l’involgarimento dei modi e del gusto e il dilagare della mediocrità e della rozzezza che secondo Robert Musil inducono a una prassi della stupidità.

 Queste situazioni non sono malesseri delle persone, sono patologie della vita sociale che rappresentano un attentato alla democrazia e all’esercizio della libertà. Domina una cultura della forza, dell’autoritarismo, l’ostentazione della prepotenza, l’autorizzazione all’odio. Di fatto “il popolo” viene usato e degradato a “massa di manovra” e la volontà popolare può propendere per un regime che fa sognare architetture politiche di forza in cui le prime ad essere offese sono le libertà.

Appartengo all’ultima generazione vivente nata durante la Resistenza e della Resistenza abbiamo solo sbiaditi ricordi, ma è viva in noi la memoria che durante la nostra crescita ci veniva ripetuto: «Prima della caduta del Fascismo non potevamo parlare, avevamo paura. Eravamo testimoni di una violenza legalizzata. C’era la censura e ora invece abbiamo la libertà».

 Non erano i racconti delle battaglie che venivano tramandati, ma la coscienza della decisiva importanza della libertà. E come un lascito ho ricevuto l’affermazione: «La libertà non devi mai mendicarla, ma esercitarla e basta». Ma ora ci domandiamo perché è avvenuta la perdita di questa memoria morale, perché non c’è stata la trasmissione del messaggio della libertà, perché nella società compaiono forze che contrastano la libertà? La libertà richiede responsabilità da parte degli uomini e delle donne che la sentono come il primo riconoscimento della propria dignità: responsabilità del soggetto che sa affermare l’“io” per poter affermare il “noi”, contro ogni appiattimento e tentativo di manovrare le masse; responsabilità della propria unicità che rifugge il conformismo e non si lascia abbagliare dal fascismo che sotto diverse forme pretende che il potere sia imposto e non riceva critiche. Fuori di questa responsabilità, che non è altro che assunzione dell’umanità e della storia come “nostro compito”, c’è la demissione di fatto che o apre al regime autoritario o lascia spazio alla stupidità del populismo.

 Dietrich Bonhoeffer, teologo luterano impiccato dai nazisti nel 1945, aveva scritto: “Per il bene la stupidità è un nemico più pericoloso della malvagità. Gli uomini vengono resi stupidi, si lasciano rendere tali. Sì, qualsiasi ostentazione esteriore di potenza, politica o religiosa che sia, provoca l’istupidimento di gran parte degli uomini. La potenza dell’uno richiede la stupidità degli altri”.

 All’orizzonte della nostra polis il cielo è oscuro soprattutto in Europa e non solo per le guerre in territorio europeo e attorno al Mediterraneo, ma per gli orientamenti delle masse, talmente accecate da promesse di potenza e di forza da non saper più discernere la democrazia che si nutre di libertà.


Alzogliocchiversoilcielo




martedì 21 febbraio 2023

LA VOLPE E LE GALLINE

 Il funerale della volpe

 

- di Gianni Rodari.

 Una volta le galline trovarono la volpe in mezzo al sentiero. Aveva gli occhi chiusi, la coda non si muoveva. - È morta, è morta - gridarono le galline. - Facciamole il funerale.

 Difatti suonarono le campane a morto, si vestirono di nero e il gallo andò a scavare la fossa in fondo al prato. Fu un bellissimo funerale e i pulcini portavano i fiori. Quando arrivarono vicino alla buca la volpe saltò fuori dalla cassa e mangiò tutte le galline.

 La notizia volò di pollaio in pollaio. Ne parlò perfino la radio, ma la volpe non se ne preoccupò. Lasciò passare un po’ di tempo, cambiò paese, si sdraiò in mezzo al sentiero e chiuse gli occhi. Vennero le galline di quel paese e subito gridarono anche loro: - È morta, è morta! Facciamole il funerale.

 Suonarono le campane, si vestirono di nero e il gallo andò a scavare la fossa in mezzo al granoturco. Fu un bellissimo funerale e i pulcini cantavano che si sentivano in Francia. Quando furono vicini alla buca, la volpe saltò fuori dalla cassa e mangiò tutto il corteo.

 La notizia volò di pollaio in pollaio e fece versare molte lacrime. Ne parlò anche la televisione, ma la volpe non si prese paura per nulla. Essa sapeva che le galline hanno poca memoria e campò tutta la vita facendo la morta.

E chi farà come quelle galline vuol dire che non ha capito la storia.

giovedì 26 maggio 2022

STUPIDI o PIU' LIBERI?

Siamo entrati 

nella Supersocietà 

 

Una riflessione sul passaggio dal modello della globalizzazione a un’integrazione che non è lineare


Gli choc che si ripetono dicono che la libertà consumeristica non basta più, si deve andare oltre. Dopo gli anni dell'io e della concorrenza, è il tempo del noi e della collaborazione.

Il superamento di quello che per decenni è stato il modello culturale egemone richiede un massiccio investimento nell’educazione, nelle organizzazioni, nei territori È necessario uno sguardo 'farmacologico' nei confronti della leva tecnologica, senza mai dimenticare che è curativa e tossica allo stesso tempo.

Dopo la pandemia, la guerra. La serie ormai nutrita di shock globali – siamo al quarto in ventuno anni (Torri Gemelle, Lehman Brothers, coronavirus, Ucraina-Russia) – dovrebbe convincerci che la stagione della globalizzazione, inaugurata dalla caduta del muro di Berlino, è definitivamente tramontata. Siamo oltre la modernità liquida: è arrivato il momento di fare i conti con gli effetti entropici del modello di sviluppo che ha dominato il passaggio di secolo. Il cambiamento è accelerato: la questione della transizione ecologica – percepita finalmente come rilevante da larga parte dell’opinione pubblica – si incrocia con una digitalizzazione ormai già avanzata, mentre è l’intero quadro geopolitico planetario a essere in fibrillazione. Così oggi si deve far quadrare il cerchio: governare gli esiti di una pandemia che non si lascia debellare e allo stesso tempo ripensare il senso dello sviluppo, nel quadro del paradigma tecnico digitale e del delicato processo di costruzione di un nuovo ordine mondiale. Un attraversamento per nulla sicuro: aperto nella direzione, incerto nei risultati, difficile nei passaggi. Con opportunità straordinarie e rischi altrettanto ingenti.

Di fronte ai nuovi, ardui problemi da risolvere, l’organizzazione sociale, ormai planetaria, è chiamata a rispondere con un aumento di complessità. Stiamo entrando nella super società, un inedito intreccio tra processi già in corso da tempo, che si caratterizza per la convergenza di tre dimensioni: la stringente interdipendenza tecno-economica su scala globale; il nesso inestricabile tra azione umana e biosfera; l’assorbimento sempre più spinto della soggettività nel processo di autoproduzione sociale.

A differenza della globalizzazione (e delle sue narrazioni), la super società non origina un processo uniforme, bensì una integrazione non lineare che, mentre spinge verso una maggiore verticalizzazione, aumenta le disuguaglianze e apre nuovi conflitti. Non un assetto univoco né rigido, ma una nuova cornice per interpretare le dinamiche del tempo che stiamo cominciando a vivere. Superata la fase dell’espansione planetaria, ci troviamo davanti a una biforcazione. I due principali vettori del cambiamento, sostenibilità e digitalizzazione, ruotano infatti attorno a un’ambivalenza di fondo: ci porteranno verso un mondo distopico, centralizzato e burocratizzato, verso una 'stupidità di massa' dove la libertà personale è confinata al puro spazio del divertimento? Oppure apriranno la via per una società più desiderabile, dove la libertà sarà ancora l’elemento cardine per tenere insieme sviluppo economico e democrazia?

Una domanda che diventa ancora più pressante se si allarga lo sguardo alla situazione mondiale, dove gli equilibri tra democrazia e autocrazia, che dopo il 1989 tendevano decisamente verso il primo polo, oggi sembrano subire l’attrazione fatale dei modelli che non amano la libertà. Il destino della super-società è dunque apertissimo: occasione per un passo in avanti, a partire dal riconoscimento della costitutiva relazionalità della vita o per una regressione dentro una spirale di verticalizzazione, conflitto, esclusione? Per l’Occidente, in particolare, si prospetta una vera e propria scelta di civiltà: decidere, ancora una volta, che è la libertà – e con essa la democrazia e l’iniziativa personale, il pluralismo, la sussidiarietà, la solidarietà, la pace – la carta vincente per affrontare le nuove sfide della fase post-pandemica. Una scelta tutt’altro che scontata e a costo zero: solo sovrainvestendo sulle persone e la qualità delle nostre relazioni personali e istituzionali possiamo pensare di farcela. Non in astratto, ma molto concretamente, con un massiccio e consapevole investimento nell’educazione, nelle organizzazioni, nei territori.

La successione degli shock sollecita il superamento dell’'individualismo dell’individualizzazione' che per diversi decenni è stato il modello culturale egemone. Che vogliamo riconoscerlo o no, la libertà consumeristica non basta più. La super società ci chiede di andare oltre. Semplicemente perché, nel bene e nel male, siamo tutti legati: tra di noi e con l’ambiente, a livello planetario. Non è affatto detto che ce la faremo. Ma risultati arriveranno se torneremo a interrogarci su quel bene inestimabile che è la libertà. Dopo gli anni dell’io e della concorrenza, per sfuggire alla rabbia e all’aggressività crescenti, viene il tempo del noi e della collaborazione. O meglio, di quello che Alexis de Tocqueville chiamava 'l’interesse bene inteso'. Dentro ogni singolo Paese e a livello internazionale. Proprio perché è una relazione, la libertà vive infatti di alleanze, legami, riconoscimenti: pubblico e privato, imprese e territorio, scuola e mondo del lavoro, innovazione e tradizione, scienza e religione, Occidente e Oriente.

Nel comune sforzo di aprire varchi nel 'tutto pieno' delle procedure, dei protocolli, delle regolazioni. Di contrastare le nuove forme di dominio e di odio violento. Di comprendere meglio l’intreccio delle interdipendenze entro cui si dà la vita sul pianeta. Di combattere le fratture sociali e le disuguaglianze. Di prevenire, o almeno contenere, i potenti venti di guerra che soffiano in tante parti del mondo, e che oggi investono pericolosamente la stessa Europa. Di allestire spazi contributivi non ancora saturi e capaci di ospitare azioni capaci di dialogo con la realtà che cambia in continuazione. P er procedere in questa direzione occorre uno sguardo 'farmacologico' nei confronti di quella leva straordinaria che è la tecnologia, necessaria per ogni realistico percorso di transizione. Senza mai dimenticare, però, che la tecnologia è curativa e tossica allo stesso tempo. Mentre potenzia, indebolisce. Per quanto essenziale, la tecnologia da sola non ci salverà. Quanto mai necessaria, essa non è però sufficiente per realizzare i cambiamenti che ci servono. E tantomeno per costituire un orizzonte di senso condiviso che li renda possibili. Per scongiurare le spinte distopiche che la attraversano, la super società ha dunque bisogno di una nuova epistemologia, che la liberi dal mantello di ferro di una ragione ridotta a calcolo. Accanto ai superpoteri dell’intelligenza artificiale serve potenziare il sapere concreto dell’intelligenza umana diffusa: fatta di errori e fallimenti, ma anche di comprensione dei problemi, di condivisione delle prospettive, di concretezza delle soluzioni. Un’intelligenza vivente, non sclerotica, dialogante, non ingabbiata dalle procedure e invece capace di orientarle e sottoporle a critica. Un’intelligenza libera. E cioè in relazione. Nella rete di una responsabilità condivisa, nella direzione di un avvenire che ancora non c’è ma verso cui possiamo tendere insieme.

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 www.avvenire.it


Giaccardi e Magatti, SUPERSOCIETA' - Il Mulino, pagg. 240, 16 euro