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sabato 20 dicembre 2025

ANTISEMITISMO


 VERO E FALSO ANTISEMITISMO



- di Giuseppe Savagnone



Un altro disegno di legge contro l’antisemitismo

Il disegno di legge presentato in Senato lo scorso 20 novembre dall’on. Graziano Delrio, autorevole rappresentante del PD, «per la prevenzione e il contrasto dell’antisemitismo», ha suscitato reazioni contrastanti, che hanno rimescolato in modo inusuale le carte del gioco politico. A prenderne le distanze, infatti, è stato il capogruppo del partito democratico a Palazzo Madama, Francesco Boccia,  il quale ha dichiarato che esso «non rappresenta la posizione del gruppo né quella del partito», mentre a salutarlo con favore sono stati i giornali e i politici di destra.

In realtà, il ddl presentato da Delrio si aggiunge ad altre tre analoghe iniziative,  tutte contro l’antisemitismo, firmate rispettivamente dal leghista Massimiliano Romeo, dal renziano Ivan Scalfarotto e dal rappresentante di Forza Italia Maurizio Gasparri.

Ma che cosa si intende, in questi ddl, per antisemitismo? In realtà tutti e quattro recepiscono la “definizione operativa” che ne ha dato nel 2016 la International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA). Essa ha una parte descrittiva dal tenore assolutamente incontestabile: «L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio per gli ebrei. Manifestazioni di antisemitismo verbali e fisiche sono dirette verso gli ebrei o i non ebrei e/o alle loro proprietà, verso istituzioni comunitarie ebraiche ed edifici utilizzati per il culto».

Per ovviare, però, alla genericità di questa formulazione, la si integra con undici esempi contemporanei di antisemitismo nella vita pubblica, al fine di orientarne l’interpretazione. E sette di questi esempi non riguardano il popolo ebraico in generale, ma specificamente lo Stato d’Israele.

 Da un accreditato quotidiano di destra, «Il Giornale», traiamo una chiara sintesi di ciò che ne risulta. Il testo in questione «qualifica come antisemita ogni critica radicale contro Israele e verso il sionismo quale sua ideologia fondativa. In particolare, per l’IHRA è antisemitismo sostenere che “l’esistenza dello Stato di Israele è una espressione di razzismo”, “applicare due pesi e due misure nei confronti di Israele richiedendo un comportamento non richiesto a nessun altro Stato democratico” e “fare paragoni tra la politica israeliana contemporanea e quella dei nazisti”».

Si tratta, insomma, di una definizione dell’antisemitismo che coincide con quella ripetutamente ribadita dal governo di Netanyahu e che lo identifica, come dice  «Il Giornale», con «ogni critica radicale» della politica dello Stato ebraico. Non vi rientra, perciò, quella, molto blanda, della nostra presidente del Consiglio che, davanti alle stragi di civili compiute dall’Idf, dopo avere a lungo sottolineato «il diritto di Israele di difendersi» e la tassativa necessità di «non isolare Israele», alla fine ha ammesso che quella dello Stato ebraico è stata «una reazione che è andata oltre il principio di proporzionalità».

 Mentre sono state chiaramente antisemite – sempre stando alla definizione dell’IHRA – le imponenti manifestazioni che da un capo all’altro del nostro paese hanno coinvolto centinaia di miglia di uomini e donne di tutte le  età, di tutte le estrazioni sociali, di tutte le convinzioni politiche, in cui il governo di Israele è stato accusato a gran voce di compiere a danno dei palestinesi una strage paragonabile a quelle perpetrate dai nazisti nei confronti degli ebrei.

Ma queste proposte di legge non riguardano, evidentemente, il passato, perché mirano a regolare il futuro. In particolare l’articolo 4 del ddl presentato da Delrio prevede che «l’organismo di vigilanza di ogni università individui al suo interno una figura deputata alla verifica e monitoraggio delle azioni per contrastare i fenomeni di antisemitismo». E l’articolo 5 prevede questo monitoraggio «circa le azioni attuate per contrastare i fenomeni di antisemitismo» anche alle scuole.

 È evidente l’intento istituire un controllo  che scongiuri le proteste di docenti e studenti che nei mesi scorsi hanno scosso il mondo universitario, ma  hanno anche avuto ripercussioni in quello scolastico, in reazione alla linea del nostro governo sulla questione  palestinese. Nel ddl di Delrio, a differenza che in quello di Gasparri, non si prevedono sanzioni di carattere penale per i trasgressori, ma è chiaro che anche la possibilità di semplici misure disciplinari costituirebbe un deterrente sufficiente a suggerire a molti insegnanti e studenti una maggiore cautela nel manifestare le loro opinioni su Israele.

 Alcune domande inquietanti

Davanti a questo quadro, alcune domande si impongono. La prima riguarda la compatibilità di questi provvedimenti con la Costituzione italiana, elaborata da persone che avevano dovuto a lungo subire una dura repressione della loro libertà di espressione e che hanno voluto affermare con la massima chiarezza possibile il rifiuto di ogni limitazione, qualche ne possa esser la giustificazione, nell’articolo 21 della Carta costituzionale: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».

In particolare la Costituzione tutela questa libertà nell’ambito educativo stabilendo, nell’articolo 33, che «l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento». Dire, dunque, che il ddl si rivolge solo alle manifestazioni di pensiero sulle piattaforme digitali, alle scuole e alle università, non cambia la sostanza del problema costituzionale, che proprio per scuole e università si pone in modo più evidente.

Se passasse il ddl Delrio nelle nostre aule universitarie e scolastiche si potrebbe esprimere il giudizio più duro su qualunque istituzione – il nostro Stato, la Chiesa, l’Onu,  ma non su Israele. Si potrebbe accusare la politica  di qualsiasi governo al mondo di riprodurre lo stile del nazismo, tranne quella di Netanyahu. E il professore universitario o di liceo che leggesse ai suoi studenti l’articolo recentemente pubblicato da Vito Mancuso su «La Stampa», in cui parla di «nazi-sionismo», non sarebbe solo suscettibile di critiche sul piano culturale, come è pienamente legittimo, ma potrebbe andare incontro a sanzioni disciplinari.

Come giustificare una simile eccezione ai diritti costituzionalmente sanciti? La risposta, secondo i sostenitori dei queste limitazioni, vengono dalla storia. Gli ebrei, con la Shoah, sono stati senza dubbio vittime di una violenza inaudita. E questo è indiscutibile.

Ma la seconda domanda che sorge spontanea riguarda proprio il nesso tra le critiche a Israele, rivolte al governo di uno Stato governato da ebrei, e l’antisemitismo, che riguarda il popolo ebraico come tale, per motivi del tutto diversi da quelli che motivano quelle critiche. È una questione di logica riconoscere che si tratta di cose del tutto diverse.

 Lo dimostra inequivocabilmente il fatto che proprio tanti ebrei – che ovviamente non simpatizzano con l’antisemitismo – siano invece  tra i più duri accusatori del governo israeliano  per ciò che ha fatto e continua a fare a Gaza. Emblematica la presa di posizione del famoso scrittore israeliano David Grossman, che il 1 agosto scorso, in un’intervista a «Repubblica», ha usato una parola tabù, rigettata con sdegno dai rappresentanti e dai sostenitori di Israele, perché rovescia le parti, proiettando sulle vittime dell’Olocausto  l’ombra del crimine da loro subito. «Per anni  – ha detto Grossman – ho rifiutato di utilizzare questa parola: ‘genocidio’. Ma adesso non posso trattenermi dall’usarla, dopo quello che ho letto sui giornali, dopo le immagini che ho visto e dopo aver parlato con persone che sono state lì».

Secondo la definizione dell’IHRA, siamo davanti a un chiaro esempio di antisemitismo e, stando al ddl Delrio, se un docente italiano si rifacesse al giudizio di Grosssman sarebbe censurabile. Il paradosso è evidente.

Una formula più subdola di antisemitismo

Illuminante è anche la lettera indirizzata al quotidiano «Domani» da un gruppo di intellettuali ebrei, tra cui Gad Lerner, Anna Foa e Carlo Ginzburg, che dichiarano «inaccettabili e pericolosi i disegni di legge oggi in discussione sulla prevenzione e il contrasto dell’antisemitismo». Gli autori della lettera fanno presente che la definizione di antisemitismo dell’IHRA «è  contestata a livello internazionale da molti dei maggiori specialisti di storia dell’antisemitismo e della Shoah» e osservano che adottandola, come fanno acriticamente i quattro disegni di legge sopra menzionati, «si finisce per equiparare qualsiasi critica politica a Israele all’antisemitismo».

È ciò che sta accadendo, secondo gli autori della lettera, «anche nella recente offensiva del governo Trump contro le principali università americane». I sostenitori di questa definizione «usano la lotta all’antisemitismo come strumento politico per limitare la libertà del dibattito pubblico, della ricerca e della critica legittima a Israele, che da anni porta avanti politiche violente, autoritarie e perfino genocidarie contro i palestinesi».

A loro avviso, peraltro, il ddl Delrio non solo è  un pericolo per la democrazia, ma è, dicono, «controproducente» anche «ai fini di un efficace contrasto dell’antisemitismo», perché «stabilire un presunto privilegio di esenzione dalla critica politica ed etica “in favore degli ebrei” (e solo di questi) – che nei fatti tutela solo chi sostiene in modo incondizionato le ragioni di Israele – non può che alimentare nuova ostilità e ulteriore antisemitismo. Quest’ultimo certamente esiste ma va sempre contrastato accanto a islamofobia, razzismo ed ogni forma di discriminazione».

Non si tratta di avallare la deriva antisemita, ma di rendere più seria la lotta contro di essa sparandola dalla difesa ad oltranza di Israele. Gli autori della lettera, a questo proposito, contrappongono al testo dell’IHRA «la più equilibrata e autorevole Jerusalem Declaration on Antisemitism, del 2021, i cui firmatari non sono dei pericolosi estremisti, bensì studiosi di altissimo livello, in gran parte ebrei. Secondo questa definizione, è antisemitismo «la discriminazione, il pregiudizio, l’ostilità o la violenza contro gli ebrei come ebrei (o contro le istituzioni ebraiche in quanto ebraiche)». Dove la precisazione «in quanto ebraiche» chiarisce la differenza tra chi attacca lo Stato israeliano perché ebreo o per i suoi crimini.

La confusione tra le due fattispecie, purtroppo, ha dominato in Italia la politica del governo e può, adesso, trasformarsi in legge. Gli ebrei a questo punto rischiano di essere usati come scudo umano per difendere un governo già condannato dalla Corte Penale Internazionale  per «crimini contro l’umanità» e recentemente definito, da una commissione indipendente dell’ONU colpevole di genocidio.

E questa sì sarebbe davvero la forma più subdola di antisemitismo.

 

www.tuttavia.eu


 

 

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