Il 13 novembre si celebra la “Giornata mondiale della gentilezza” nata in Giappone nel 1988 ad opera del gruppo Small Kindness Movement sulla scia del Movimento mondiale per la gentilezza. Da lì si è rapidamente diffusa in tutto il mondo e viene festeggiata proprio in questa data. Ovviamente si tratta di una data celebrativa, in quanto siamo chiamati a praticare e ad educare alla gentilezza ogni giorno dell’anno.
- di di Sofia Cramerotti
È
possibile educare alla gentilezza? Certamente è un compito e una sfida
complessa, ma non impossibile. Quindi gentili si può nascere, ma si può anche
diventare, seguendo la raccomandazione di Seneca che “ovunque ci sia un essere
umano, vi è la possibilità per una gentilezza”.
Essere
gentili implica un’apertura e un’attenzione all’altro per comprenderlo
empaticamente, ma anche capacità di riflettere su se stessi cogliendo i propri
bisogni e quelli altrui, per essere poi in grado di pensare, agire e comunicare
attraverso parole e azioni gentili.
Educare
bambini/e, ragazzi/e ad essere gentili nella vita di oggi contribuirà a fare di
loro degli adulti migliori nella vita di domani. Potremmo dire che la
gentilezza non passa mai di moda, anche se oggi sembra sempre più rara e poco
praticata.
L’attenzione e il rispetto dell’altro, l’accoglienza e la valorizzazione di tutte le differenze che caratterizzano le persone, praticare con pazienza la cura e l’ascolto dei bisogni degli altri, sono tutte “posture” e azioni che siamo chiamati ad agire ogni giorno, partendo proprio dalle piccole cose che caratterizzano il nostro quotidiano nei nostri vari e diversificati contesti di vita. Si tratta quindi di assumere un approccio altruistico che non solo fa bene agli altri ma anche a noi stessi.
Parole
come grazie, prego, scusa, per favore, ecc. non devono appartenere a frasi
fatte e convenzionali di buona educazione, quanto piuttosto far parte di
un’attenta pratica relazionale verso l’altro basata su un sentimento di
generosità altruistica, una disponibilità a porsi in ascolto, per poter poi
agire e comunicare in modo adeguato.
Ma
come è possibile educare bambini/e, ragazzi/e alla gentilezza? Ci sono
strategie e indicazioni metodologiche utili per coloro che ricoprono ruoli
educativi nella scuola, nell’extrascuola e in famiglia?
Una
prima indicazione ci proviene dalla teoria dello psicologo Albert
Bandura che si potrebbe riassumere nel motto “se vuoi educare un
bambino ad essere gentile, sii gentile tu stesso”.
Con
i suoi studi a partire dagli anni Sessanta nell’ambito dell’apprendimento
sociale, Bandura ha evidenziato come l’apprendimento di determinati
comportamenti e modi di agire non implichi esclusivamente il contatto diretto
con determinate situazioni specifiche, ma avvenga anche attraverso esperienze
indirette, sviluppate tramite l’osservazione e la successiva imitazione del
comportamento di altre persone.
Si
può quindi imparare anche in situazioni e attraverso esperienze indirette, in
cui non si agisce in prima persona, ma si osserva un’altra persona in azione.
Si tratta dell’imitazione di un modello di riferimento e del successivo
modellamento del proprio comportamento sulla base del comportamento osservato
in altre persone e tramutandolo, poi, in azioni e atteggiamenti ben precisi.
Le
persone apprendono quindi tramite modelli di comportamento; solitamente tale
modello è rappresentato dalle persone di riferimento più importanti e salienti
in un determinato contesto.
Grazie
a questi studi oggi sappiamo con certezza che il comportamento di una
figura adulta è una delle principali fonti di apprendimento per bambine/e e
ragazzi/e. Questo fa assumere quindi una posizione di ancora maggiore
responsabilità alle figure di riferimento educativo che possono realmente fare
la differenza, proprio a partire dal loro agire quotidiano che fungerà da
esempio.
Un
esempio molto semplice in questa direzione è quello di prediligere sempre un
dialogo pacato e rispettoso piuttosto che grida e atteggiamenti aggressivi.
Allargando
lo sguardo a quelle che possono essere le metodologie educativo-didattiche da
utilizzare a scuola per promuovere la gentilezza e lo sviluppo di competenze
prosociali c’è indubbiamente il cooperative learning (apprendimento
cooperativo).
Creare
un ambiente di apprendimento cooperativo e collaborativo, in cui gli altri sono
accolti, rispettati e con i quali ci si relaziona con gentilezza è alla base di
un apprendimento significativo anche sul piano emotivo, sociale e
interpersonale.
L'apprendimento
cooperativo è un approccio che si basa sull’interazione all’interno di
un gruppo di alunni/e che collaborano al fine di raggiungere un obiettivo
comune, attraverso un lavoro di co-costruzione, responsabilità e
interdipendenza reciproca.
Ogni studente è quindi indispensabile per la realizzazione del lavoro complessivo e il raggiungimento degli obiettivi di tutto il gruppo.
Quasi
certamente un alunno/a che ha avuto modo di partecipare ad esperienze di lavoro
cooperativo nel suo percorso scolastico, sarà un adulto maggiormente
predisposto a cooperare nella vita lavorativa e sociale, e a relazionarsi con
rispetto e gentilezza.
Inoltre,
sarà importante anche impostare un intervento educativo-didattico mirato allo
sviluppo delle social skills (competenze sociali), tanto richieste oggi
praticamente in tutte le professioni lavorative.
Si
tratta dell’insieme di abilità e competenze personali riconducibili alla sfera
sociale e relazionale, che usiamo per comunicare e interagire verbalmente e non
verbalmente (attraverso i gesti e il linguaggio corporeo).
Anche
queste sono fortunatamente competenze che possono essere insegnate e apprese e
che vanno adeguatamente sviluppate e “allenate” fin da piccoli.
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