Nel
centenario della sua nascita
- di Emmanuel Banywesize Mukambilwa,
Professore di Epistemologia Facoltà di Arti e
Scienze Umane Università di Lubumbashi (RD Congo)
In questo anno 2021, che segna il centesimo compleanno di Edgar Morin[1], è importante rivisitare la sua[2] opera per evidenziare la sua attualità e il suo impegno epistemologico ed etico. Si tratta di contribuire alla celebrazione mondiale di un grande pensatore, un umanista che ha attraversato il XX secolo e il cui complesso pensiero è costruito a partire da esperienze vissute, progressi e crisi della scienza, della filosofia, delle società e dell'umanità. Questo scritto vuole soprattutto mostrare che Morin influenza e feconda la ricerca scientifica e filosofica nel mondo, promuove un universo dell'incontro il cui orizzonte è l'umanesimo uni-diversale, cioè un umanesimo che riconosce e promuove l'essere umano nella sua unità e diversità (pluralità). Infatti, parafrasando Edgar Morin, l'unità è il tesoro della diversità umana, così come la diversità è il tesoro dell'unità umana[3].
La matrice di questo universo è certamente l'epistemologia della complessità. La sfida di questa epistemologia, non cartesiana, è quella di collegare la conoscenza, di elevare la complessità della conoscenza e della scienza e, inoltre, di complessificare la ragione, che è stata a lungo rinchiusa nei binari riduttivi ed esclusivi istituiti dai principi epistemologici e metodologici del paradigma della semplicità. Sappiamo che ogni cultura riproduce il suo paradigma nelle sue attività cognitive e sociopolitiche. La modernità occidentale ha favorito il paradigma della semplicità che, nel tempo, ha contribuito a installare e legittimare posture disgiuntive e riduttive nel cuore delle pratiche epistemiche e sociali. Questo paradigma ha generato una conoscenza frammentata, riduttiva e persino discriminatoria, le cui conseguenze dannose possono essere viste nel rapporto tra gli esseri umani e il mondo e tra gli stessi esseri umani.
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