La Giornata dei bambini “invisibili”: dalla strada alla scuola di Rango in Rwanda
Si celebra oggi la decima Giornata mondiale dei bambini di
strada, che l’Onu stima in quasi 150 milioni nel mondo. I salesiani di Rango,
in Rwanda, aprono le porte della loro scuola professionale ai minori “senza
famiglia”: “Cercano gentilezza, cibo e di tornare tra i banchi, per costruirsi
un futuro di speranza”
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
L’Onu chiede ai governi di dar loro i diritti di tutti i
minori
I bambini di strada sono privati dei loro diritti
fondamentali, primi fra i quali quello alla protezione, all’accesso ai servizi
essenziali di assistenza sociale e sanitaria, all’istruzione, alle cure della
famiglia. E in Etiopia come nel Congo, in India e in Myanmar, a Timor Est e
nelle Filippine, in Equador e in Brasile, ma anche in Europa, continuano a
crescere, anche a causa della pandemia e dell’impoverimento delle famiglie.
Questo nonostante l’Onu, nel suo Commento generale del 2017, abbia fornito ai
governi linee guida autorevoli per assicurare che i bambini di strada abbiano
l’accesso agli stessi diritti di cui godono tutti gli altri minori. Ma è
difficile anche fare stime sul loro numero reale, poiché questi bambini
sembrano quasi non esistere, sfuggono alle statistiche e ai censimenti e sono
esclusi dalle politiche statali. Finiscono per avere la strada come casa per
povertà, instabilità familiare, violenza ed abusi, guerre o cataclismi
naturali, e naturalmente migrazione solitaria per tutte queste cause.
Bambini di strada di Rango dissetati dai parrocchiani della
chiesa di San Giovanni Bosco
Rwanda: i bambini di strada di Rango e la scuola Don Bosco
A Rango, nel sud del Rwanda, distretto di Huye, nella
parrocchia San Giovanni Bosco, creata nel 1996 dai missionari salesiani, è
arrivato a chiedere un pezzo di pane Kande (nome di fantasia,
n.d.r), che racconta di essere finito in strada “quando avevo 10 anni. Ora ne
ho 16. La vita era dura. A volte la polizia veniva ad arrestarci e ci portava
al centro di riabilitazione di Mbazi e stavamo lì per circa cinque mesi, e tu
tornavi e lottavi per trovare anche solo dove dormire e alla fine dovevamo
dormire sotto i ponti". Accanto a lui mangia la sua minestra offerta dal
parroco don Remy e dai suoi volontari, Dakarai, andato a
mendicare in strada dopo che la madre ha ucciso il padre in una lite familiare
ed è finita in carcere. “Ho continuato a vivere in strada per circa 13 anni –
racconta - finora ho avuto la possibilità di studiare meccanica grazie ai
salesiani di Don Bosco ".
Accanto alla parrocchia è attivo infatti, sempre dal 1996,
due anni dopo il terribile genocidio di 800 mila tutsi e hutu moderati, il Centro
di Formazione Professionale “Don Bosco” di Rango, che nell’anno scolastico
2020, prima dell’arrivo della pandemia, aveva 100 studenti nei corsi di
edilizia, sartoria, saldatura, meccanica, cucina, falegnameria, discipline
alberghiere e parrucchieria, che di recente offre anche corsi per estetiste.
“Anche se non mangi, torni a scuola per un obiettivo”
"Sono grato ai sacerdoti perché mi hanno portato alla
formazione professionale – spiega Juvenal – oggi studio
meccanica con i miei coetanei ma non abbiamo tutto quello che ci serve. Ci
mancano uniformi scolastiche, e anche camicie e scarpe sono difficili da
trovare a causa della povertà. Ma se ti manca qualcosa da mangiare sopporti e
torni a scuola perché hai un obiettivo da raggiungere".
“Vengono dalla strada chiedendo di mangiare e molti riusciamo
ad inserirli nei corsi professionali come quelli di meccanico e calzolaio –
racconta il parroco don Remy Nsengiyumva – gli offriamo
materiale scolastico e uniformi, ma il problema è il cibo. Alcuni infatti
vivono completamente per strada, altri ricevono da mangiare nelle famiglie di
accoglienza. altri ancora mangiano solo la sera dove studiano per i corsi
tecnici”. Per loro, don Remy e i suoi parrocchiani stanno organizzandosi per
realizzare una piccola mensa e cucinare a mezzogiorno, quando finiscono le
lezioni al Centro professionale.
“Quando vedono che li trattiamo bene, lasciano la strada”
Non è ancora un vero progetto, si schermisce il parroco
salesiano, originario del Burundi, anche se ha già un nome "Ejo
heza", "Meglio domani", ed è stato avviato quando all’inizio
della pandemia in Rwanda, nella primavera dal 2020, i bambini dalla strada
hanno cominciato a bussare alla parrocchia. Con il passaparola, “visto che i
loro compagni sono stati trattati bene”, ricorda don Remy, “ora vengono in gran
numero. Non li abbiamo ancora registrati, ma lo faremo presto. Chiediamo a
tutti coloro che possono di darci una mano”.
Una scuola dalle porte aperte per i minori vulnerabili
Il Centro salesiano di Rango ha una lunga tradizione di
accoglienza dei minori in difficoltà: nel settembre del 2015 ha aperto le porte
dei suoi corsi professionali a 75 giovani rifugiati provenienti dal Burundi, e
i parrocchiani si sono impegnati per offrire generi alimentari, abiti e altro
materiale per aiutare i rifugiati che vivevano nel campo profughi allestito in
città. Ma anche i tanti giovani locali che hanno frequentato il corso hanno
raccontato ai media salesiani storie terribili di abbandono, come quella
di Ishimwe, nata nel 1996 in un campo profughi nella Repubblica
Democratica del Congo, dove la sua famiglia si era rifugiata per sfuggire al
genocidio del 1994. Aveva solo tre mesi quando scoppiò una guerra civile anche
in Congo, i ribelli attaccarono il campo e i genitori furono separati. In
braccio al padre tornò in Rwanda, e fu affidata alla nonna materna, mentre il
padre si risposò e non si fece più vivo. La madre intanto si era rifatta una
famiglia in Congo, e la nonna anziana, raccontava la ragazza, “non ha più la
forza di lavorare nei campi per mantenermi e pagarmi le spese scolastiche”,
chiedendo aiuto per poter proseguire il suo corso di cucina a Rango. Storie
simili di ragazzi orfani o abbandonati dai parenti, che vedono nello studio
l’unica salvezza, riempiono le aule del Centro di formazione professionale dei
salesiani.
In tutto il Rwanda l'Unicef stima che vi siano circa 7 mila
bambini di strada, ma altri 300mila che vivono in 65mila famiglie (quindi quasi
in 5 fratelli e sorelle) con un minore come capo famiglia. La pandemia, con la
conseguente crisi economica di molte famiglie, la chiusura delle scuole e la
violenza domestica hanno portato all’aumento del numero di bambini di strada.
“Per farli uscire da questa vita senza speranza, la prima cosa di cui hanno
bisogno è che gli venga mostrata gentilezza, che abbiano qualcosa da mangiare e
che tornino a scuola” ci dice don Hubert Twagirayezu, 39 anni,
rwandese, economo della visitatoria salesiana “San Carlo Lwanga” dell’ Africa
Grandi Laghi (Agl), che copre Rwanda, Uganda e Burundi. Don Hubert, come molti
dei ragazzi di Rango, è rimasto molto presto senza genitori, morti prima della
guerra civile in Rwanda, ed è stato cresciuto dai nonni. Così ci racconta gli
sforzi dei salesiani “per il futuro dei bambini e dei giovani più vulnerabili”.
R.- In Rwanda i salesiani di Don Bosco svolgono la loro
missione tra i bambini e giovani poveri, e a Rango, nel distretto di Huye,
aiutiamo più di 120 bambini di strada, ma a livello nazionale sono molti di
più. La situazione dei bambini di strada in Rwanda è causata da diversi
fattori: la situazione familiare, con genitori separati, e le situazioni di
estrema povertà, che non consentono alle famiglie di provvedere ai bisogni
primari dei propri figli, come cibo, istruzione, cure mediche. Ma la povertà
non è l'unico fattore: i bambini sono spesso vittime di abusi, violenza,
maltrattamenti che crescono nella strada. La situazione dei bambini che vivono
per strada è caratterizzata da un'elevata incertezza e da una continua
violazione dei loro diritti: da quello all'istruzione al diritto alla salute,
alla protezione, al cibo, a vivere con i genitori. Hanno abbandonato tutti la
scuola, e spesso svolgono un lavoro difficile per guadagnare pochi centesimi.
Trasportano borse pesanti, vanno a prendere l'acqua, raccolgono e vendono pezzi
di metallo e bottiglie di plastica vuote e vetro. La maggior parte di loro
soffre di malnutrizione e altre malattie come dissenteria, malaria e scabbia.
Sulla strada i bambini soffrono anche di mancanza di sonno: si fermano solo
qualche ora al giorno su un cartone e dormono con un occhio aperto per paura
che qualcuno rubi le poche cose che hanno. Molti rischiano l'assunzione di
droghe per dimenticare i propri problemi.
La pandemia ha aggravato il fenomeno in Rwanda e le
condizioni di vita di questi ragazzi?
R. - Quando il Covid-19 è arrivato in Rwanda la situazione di
questi bambini è peggiorata e il numero dei bambini di strada cresce ogni
giorno, perché molte famiglie non hanno cibo a sufficienza, non possono
rispondere ai bisogni dei loro figli perché hanno perso di lavoro. I bambini
quindi hanno come unica possibilità e speranza la vita nella strada: pensano che
lì troveranno, per esempio, del cibo oppure un aiuto. Quando la pandemia ha
fermato l’attività scolastica, molti bambini non sapendo cosa fare, da mattina
a sera restavano in strada senza fare niente. Così hanno imparato molte cose
sbagliate: rubare o consumare droghe. Quindi c'è sempre il rischio di trovare
anche alcuni di loro in prigione, perché hanno commesso reati.
Qual è l'impegno dei salesiani per i bambini di strada in
Rwanda?
R. - Nell'anno 2016 il progetto per i bambini di strada è
stato avviato dai volontari di Don Bosco di Bonn, in Germania, ed ora prosegue
soprattutto con l’accoglienza di della parrocchia di San Giovanni Bosco a
Rango. L'assistenza, la scuola e i contatti con le famiglie continuano a
funzionare in una linea di integrazione socio-economica ed educativa. Il nostro
obiettivo è toccare diversi aspetti della persona: sia la cura del proprio
corpo, che la sospensione dell'uso di droghe. I bambini vengono curati,
imparano nuovamente l'igiene, praticano lo sport. Dal punto di vista psicologico
cerchiamo di ascoltare questi bambini, per aiutarli a riprendersi piano piano
del trauma, e a ritrovare fiducia in sè stessi e negli altri. Noi salesiani di
Don Bosco vogliamo che i ragazzi siano felici, che continuino a studiare e
imparino a leggere, ma anche a giocare. Vogliamo che questi bambini ricevano
nuovi vestiti, uniformi, e che recuperino il rispetto per gli adulti e gli
altri bambini. Ma vogliamo anche che questi bambini possano partecipare
all'attività di preghiera del centro salesiano, nel rispetto della sensibilità
e della storia di ciascuno poiché il centro accoglie bambini di tutte le fedi.
Il missionario salesiano di origine croata, don Darko, con
gli studenti del centro di formazione
Ci racconti come è iniziato l'impegno della parrocchia di don
Remy: sono coinvolti anche i parrocchiani come volontari? E cosa riesce a fare
ora?
R. – La parrocchia dove si svolge questa attività di aiutare
i bambini di strada si chiama San Giovanni Bosco di Rango, il parroco è Don
Remy, un salesiano burundese, che ha iniziato questo programma durante la
pandemia. Perché i giovani venivano a chiedere aiuto ogni giorno, e il parroco
è riuscito a fornire un po' di cibo, sapone e vestiti. La parrocchia ha alcuni
volontari che lo aiutano ogni giorno per seguire questi giovani. Don Remy vuole
fare tante cose: cerca di richiamare i bambini dalla strada, in collaborazione
con i parrocchiani, per sostenerli nelle loro necessità.
Si sta pensando anche al problema della cena e di un posto
sicuro per far dormire questi bambini?
R. - Da tanti mesi i salesiani stanno pensando come aiutare
un numero maggiore di bambini in questa zona: guardando la situazione attuale e
il numero dei bambini presenti nella zona di Rango, i salesiani vorrebbero
aumentare la preparazione di cibo a sufficienza per tutti, ma abbiamo ancora
bisogno di un sostegno economico. Abbiamo anche il progetto di costruire per
loro un centro di ospitalità per poter fornire a loro una vera protezione e
stare con loro ogni minuto. Anche per questo abbiamo bisogno dell'aiuto di
persone di buona volontà: con il loro aiuto, possiamo fare tante cose per il futuro
di questi bambini.
Quanti di questi ragazzi, magari i primi aiutati dal centro
professionale, hanno trovato un lavoro grazie ai vostri corsi?
R.- I salesiani offrono a quei giovani la formazione
professionale, e dopo 5 anni abbiamo alcuni di loro che hanno completato la
loro formazione tecnica. Di recente, ho incontrato uno di loro che ha detto di
aver bisogno di una cassetta degli attrezzi in più per poter svolgere bene il
suo lavoro.
Cosa chiedete, nel giorno che l'Onu dedica ai bambini di
strada, alla Chiesa, ai cristiani d'Occidente e alle istituzioni
internazionali?
R. – In occasione della Giornata mondiale di questi bambini,
chiediamo alle Nazioni Unite, alla Chiesa e ai Paesi occidentali di aiutarci
finanziariamente a proteggere i bambini a rischio e di sensibilizzare la
comunità mondiale a promuovere il rispetto della dignità dei bambini
vulnerabili del mondo. Se troviamo un aiuto finanziario, possiamo fornire a
questi bambini un quadro giuridico per l’accoglienza e ascolto in strada, per
aiutarli con programmi di reinserimento familiare. Se troviamo un aiuto, possiamo
garantire l’inserimento scolastico e familiare dei bambini di strada, possiamo
collaborare con i servizi sociali e le organizzazioni non governative, per
sviluppare e applicare un quadro giuridico per il loro inserimento nella
società. Possiamo anche garantire buone condizioni igieniche e sanitarie,
organizzare attività sportive e culturali, e possiamo garantire da mangiare, e
visite scolastiche in famiglia ai bambini con una casa.
Vatican News
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