PANDEMIA, POLITICA, SCIENZA E BENE COMUNE
. Da un anno a questa parte tutte le organizzazioni sanitarie, i governi, gli scienziati ballano su un ritmo prima sconosciuto e per il quale non erano preparati: la prima pandemia dell’antropocene tecnologico.
Se prima rischiavamo un delirio di onnipotenza – a parte una
frangia limitata di negazionisti e terrapiattisti –, sicuri delle nostre
risorse tecnologiche, adesso viviamo disorientati di fronte all’incertezza
degli scienziati, dei medici, dei governi e alla perdita di parenti e amici,
stroncati da un virus killer insidioso e mutevole.
Monta anche la rabbia sociale di chi ha perso il lavoro, dei
poveri che sono diventati più poveri, a fronte di ricchi sempre più ricchi. Si
allarga la forbice tra nord e sud. Donne e giovani sono penalizzati. Antiche e
nuove ingiustizie diventano palesi. Di fronte a chi dice: “siamo sulla stessa
barca” si precisa: “siamo nella stessa pandemia, non nella stessa barca!”.
Le mosse da ballo impacciate di chi dovrebbe “sapere” hanno
evidenziato i limiti di un affidamento acritico ai poteri della tecnoscienza.
Poteri enormi, ma pur sempre circoscritti e limitati.
A fronte di una concezione mitica del sapere scientifico si è evidenziato il limite epistemico della scienza e il ruolo decisivo delle scelte politiche. L’incertezza dei politici, però, ha disorientato molti. La conoscenza scientifica procede per prove ed errori, non fornisce certezze assolute a priori
Chi pensava che la parola di uno scienziato fosse verità
scolpita nella roccia in modo definitivo – questo non lo hanno mai pensato gli
scienziati – ha dovuto constatare con stupore e disorientamento che la schiera
dei virologi che si alternavano sul piccolo schermo a volte sembrava sparare
sul mucchio, cercando protagonismo, più che adoperare pinze sottili, tirare a
indovinare il futuro, più che argomentare con cautela sul presente.
“Scienza” è un contenitore troppo grande per attività di
ricerca che sono molto diverse tra loro. Alcune discipline scientifiche non si
basano su sicure relazioni di causa ed effetto, ma su correlazioni studiate su
modelli semplificati, su algoritmi gestibili, che devono poi essere messe alla
prova dei fatti.
Così avviene soprattutto per i nuovi farmaci, come i vaccini
anti Covid-19. L’efficacia tradotta in numeri è un dato statistico, come dato
statistico sono gli effetti collaterali.
Le conoscenze e le tecniche che hanno permesso di creare
vaccini in tempi record adesso si trovano di fronte ad una popolazione che
supera enormemente il campione messo alla prova. Parliamo di circa quarantamila
individui sottoposti a prova a fronte di milioni di persone vaccinate. Mai
nessun farmaco aveva compiuto in modo così rapido questo salto da migliaia a
milioni di individui sottoposti a trattamento. Poiché siamo realtà complessa
con caratteristiche individuali specifiche è naturale aspettarsi che si
manifestino reazioni e complicazioni individuali impreviste, che solo i grandi
numeri possono rilevare.
La governance politica è insostituibile dalla tecnica
Di fronte alle decine di decessi messi in correlazione con la
somministrazione dei vaccini (non solo AstraZeneca) gli scienziati possono
indagare e suggerire correlazioni o ipotizzare cause dirette. Possono suggerire
comportamenti prudenti, possono rassicurare o allarmare. La scelta, però, sul
che fare passa alla fine ai politici. Questi hanno prima sospeso il vaccino
AstraZeneca e poi lo hanno riabilitato, oppure hanno ristretto la fascia di
sicurezza della somministrazione.
Spettava a loro e a nessun altro decidere. Come avviene in
tutto il mondo con le scelte di lockdown parziale o totale, diversificate da
nazione a nazione, da regione a regione, in modi più o meno opinabili, ma
comunque politici.
A tutti i livelli la vita associata e la ricerca scientifica
dipendono dalla politica. Lì dove un bene o più beni comuni sono in questione è
necessaria una decisione saggia, un discernimento prudenziale.
Il politico si occupa per definizione del bene della polis ed è sempre chiamato a fare una scelta, che non è mai esente da rischi e che può rivelarsi non la migliore possibile. A volte deve scegliere il male minore, che finisce per penalizzare alcune categorie di cittadini. Nel caso del vaccino AstraZeneca si trattava di capire se i vantaggi della vaccinazione di massa erano superiori ai rischi di decessi possibili e se il rischio rientrava entro quei margini di tolleranza che riguardano tutte le scelte che quotidianamente compiamo.
Un noto virologo l’altro giorno in televisione chiedeva se ci rendiamo conto di quanto sia rischioso salire su un’auto o camminare per le strade. E gli esempi si possono moltiplicare. Di fronte al rischio occorre scegliere, decidere per sé e per altri. Il politico è stato eletto e delegato a scegliere per tutti i cittadini. La politica non è un’intrusa nel mondo della scienza, un disturbo rispetto alla saggezza degli scienziati.
La politica spesso è “a monte” dei progressi scientifici
Forse non ci rendiamo conto di quanto la politica influenzi
anche le scienze più “dure”, più legate a leggi matematiche garanti della
relazione di causa ed effetto. Il 6 marzo 2013 il cittadino comune è stato
chiamato da Fabiola Gianotti, portavoce dell’esperimento Atlas, a rallegrarsi
per la scoperta di una particella “fondamentale”, il bosone di Higgs, chiamato
impropriamente “particella di Dio” (o “del diavolo”, secondo la l’appellazione
originale).
Nessuno si è chiesto però quanto costi all’Italia tutto
l’apparato del CERN di Ginevra, quanti fondi sono necessari per costruire
macchine acceleratrici e rivelatori e sostenere i diciassettemila tra
scienziati, ingegneri, tecnici che formano una vera e propria cittadella della
ricerca. L’Italia partecipa annualmente in maniera consistente al mantenimento
del CERN. Si tratta di parecchie decine di milioni di euro, parte dei quali
rientrano in commesse alle industrie italiane. Adesso è in progetto una macchina
dieci volte più potente dell’attuale LHC cui si deve la rivelazione del bosone.
Sono soldi pubblici che potevano essere impiegati
diversamente. È stata una scelta politica, fatta dall’Italia nell’immediato
dopoguerra, a spingere risorse economiche, organizzative, intellettuali verso
Ginevra. L’avanzamento in una determinata direzione della conoscenza dipende da
scelte politiche.
Sono soldi ben spesi? La risposta è filosofica e politica.
Per lo scienziato impegnato sul campo è chiaramente positiva.
Leonardo da Vinci aveva bisogno dei finanziamenti di Ludovico
il Moro per le sue macchine; ma tanti piccoli ricercatori e scienziati del
Cinquecento e del Seicento lavoravano con strumenti fatti in casa. Si pensi
alla strumentazione minima di Galileo Galilei per mettere alla prova la legge
del moto di caduta dei gravi. Oggi non è possibile fare ricerca senza
consistenti finanziamenti, senza scelte politiche che valutino urgenze,
necessità, prospettive future, valori culturali.
In America, nel secolo scorso, il progetto di un grande acceleratore, tre volte più lungo di quello di Ginevra, fu bloccato, dopo che il tunnel era stato costruito, anche in seguito alla diatriba tra un premio Nobel come S. Weinberg e un altro premio Nobel come Ph. Anderson, ognuno perorante la causa del proprio campo di ricerca. Ambedue fisici, si impegnarono in una discussione, che divenne anche una discussione filosofica su riduzionismo e complessità, circa la opportunità di destinare fondi pubblici alla fisica delle particelle elementari o alla fisica della materia condensata. Alla fine furono i politici a decidere. La costruzione fu bloccata e il CERN rimase leader mondiale nella fisica delle particelle.
Gli effetti sugli ‘altri’ delle scelte politiche sulla
ricerca e sulla tecnica
Anche dietro la rivelazione di onde gravitazionali, il lancio
di satelliti scientifici, la costruzione di grandi osservatori astronomici o
l’impresa spaziale c’è sempre una scelta politica su quello che può essere
considerato il bene di una collettività.
E che dire della scelta di investire nella progettazione di
armi sempre più sofisticate? Le guerre ci sono sempre state, quasi come
naturale corredo della civiltà. Le guerre moderne però sono vere carneficine di
civili, frutto di scelte politiche di governi “illuminati”, dell’investimento
nella tecnologia della guerra: meno soldati morti e stragi di civili. Scegliere
di studiare nuove armi, produrle, esportarle è scelta politica che incrementa
la ricchezza di una nazione. Il nostro benessere di Italiani è pagato anche da
tutte le vittime innocenti delle guerre “intelligenti”, vittime nate per caso
nel posto sbagliato.
Tra parentesi, lo sviluppo del mondo occidentale è stato
possibile anche grazie alla mano d’opera a basso costo fornita da veri e propri
schiavi e dalla colonizzazione dell’Africa, considerata nell’Ottocento come
consegnata da Dio all’arbitrio delle potenze europee. Non dimentichiamolo,
quando gli abitanti di quel continente battono alle nostre porte!
L’impatto pubblico delle politiche di sviluppo e ricerca
Come conviene indirizzare e investire fondi pubblici? Qual è
il bene primario da difendere? Come equilibrare la distribuzione delle risorse
tra lo sviluppo tecnologico, la ricerca scientifica, l’ammodernamento del
paese, l’istruzione pubblica, il sistema sanitario, la lotta alla povertà e
alle diseguaglianze, l’aiuto ai paesi in difficoltà?
In alcuni casi è evidente come la politica con le sue scelte
influenzi la vita dei cittadini. Pensiamo alle scelte industriali sulla green
economy, alla decisione se costruire o meno un inceneritore, se disboscare
per avere più campi a disposizione a pro della alimentazione mondiale (nel caso
migliore) o se evitare di intaccare le risorse boschive, necessarie per il
riciclo della CO2. Nel nostro piccolo di cittadini palermitani,
pensiamo alle discussioni sulla decisione di finanziare altre linee di tram o
allocare diversamente le risorse, di aprire o meno nuove strade, di gestire in
un modo o in altro un immobile pubblico. È inutile continuare negli esempi!
Sono casi nei quali l’impatto pubblico è evidente. In altri
casi non ci rendiamo conto di come le scelte politiche influenzano ed
influenzeranno le nostre vite e quelle dei prossimi abitanti della terra; la
linea causale delle scelte che conduce passo passo fino alla vita di tutti i
giorni non è spesso evidente.
La politica dei cittadini
Ma politiche non sono solo le scelte dei nostri
amministratori. Anche noi siamo chiamati a fare scelte politiche ogni giorno.
Le nostre scelte rimarranno scritte nella memoria personale, in quella delle
relazioni con gli altri, nell’ambiente, nel nostro corpo, nel linguaggio. Le
conseguenze positive o negative le registreranno i nostri figli e nipoti.
Quando facciamo acquisti, quando decidiamo di limitare l’uso di mezzi privati
di trasporto, quando confezioniamo i nostri sacchetti della spazzatura, quando
invadiamo i social di parole che non costruiscono relazioni o addirittura le
distruggono, quando decidiamo di fare un gesto civile, anche se scomodo, noi
facciamo scelte politiche, perché sono scelte che renderanno più o meno
vivibile la polis.
Fa parte di un certo genere letterario prendere in giro i
politici, per ridere un po’. Ma dovremmo renderci conto del fatto che, dopo la
sana risata, occorrerebbe un impegno diverso, attraverso tutte le azioni che
possiamo compiere in base alle relazioni nelle quali siamo coinvolti,
attraverso le associazioni di cui facciamo parte o di cui siamo responsabili,
attraverso scelte di voto oculate… Altrimenti le nostre risate sarebbero la spia
di un qualunquismo rinunciatario e delegante.
Dovremmo avere ben chiaro che se la consapevolezza della
pervasività della natura politica delle nostre scelte non diventa per noi un
ambiente mentale consolidato i comportamenti nostri e quelli dei deputati per
elezione a scegliere per tutti, inevitabilmente, renderanno la vita delle
nostre città meno vivibile con conseguenze che alcuni, più esposti, più
fragili, più poveri, sentiranno bruciare sulla propria pelle.
Una maggiore attenzione alla politica, dovuta alla
consapevolezza della nostra vulnerabilità
Ma dovremmo anche comprendere che non possiamo evitare di
affidarci ai politici. Nessuna avanzata conoscenza scientifica può esimerci
alla fine da scelte responsabili e rischiose anche se prudenti.
Questa pandemia, che ci affligge da più di un anno, porterà
con sé alcune acquisizioni positive. La ferita subita, le fragilità e
l’impotenza sperimentate, costituiranno un patrimonio di consapevolezza da non
disperdere. Forse una più attenta consapevolezza alla politica sarà un
altro bene collaterale del danno subito. Mai come in questi
mesi siamo stati attaccati a Tv e giornali per seguire le decisioni dei nostri
politici, i DPCM, le crisi di governo che ci hanno tenuti in sospeso sull’orlo
di una catastrofe sociale ed economica, gli interventi del Presidente della
Repubblica. Mai come in questi mesi abbiamo sperato nella emergenza di figure
di rilievo, che dessero di nuovo dignità alla politica.
È sperabile che tutto questo lasci in qualche cittadino di
buona volontà il desiderio di vivere la politica come qualcosa che riguardi
direttamente le nostre città vissute non come il fuori delle vie nelle quali
andiamo a passeggiare, ma come la nostra stessa casa, quella abitazione nella
quale viviamo insieme, intessiamo relazioni, costruiamo quella “amicizia
civile” auspicata da papa Francesco nella sua ultima enciclica.
Ci eravamo abituati al basso profilo, se non alla meschinità e ristrettezza mentale dei nostri rappresentanti. Poteva sembrare ai più giovani che la politica fosse questo, e, ai più anziani, che l’epoca dei De Gasperi, dei Moro, dei Berlinguer, fosse irrimediabilmente tramontata, che il comportamento rissoso, ciarliero e narcisistico dei nostri politici fosse lo standard di qualunque politico. Ma la sfiducia dei cittadini nella politica fa avanzare la cattiva politica.
Improvvisamente abbiamo visto che lo stile, il linguaggio, le
scelte attente al bene comune e non a quello del partito o della propria
collocazione personale, della propria leadership erano ancora possibili. A
torto o a ragione (lo vedremo) la convergenza verso Mario Draghi ha avuto il
sapore di una rivelazione: “un mondo diverso è possibile!”.
Potrebbe essere un esempio trascinante per nuovi stili di rappresentanza politica? Speriamo!
*Laureato in ingegneria e filosofia ha insegnato matematica e
fisica nei licei scientifici. Attualmente è direttore dell’Ufficio Diocesano di
Pastorale dell’Educazione, Scuola e Università
Nessun commento:
Posta un commento