Non solo legalità
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di Giuseppe Savagnone
Il caso dei “furbetti” – deputati e amministratori pubblici
– che hanno chiesto il bonus assegnato dal governo per sostenere i lavoratori
indipendenti colpiti dalla crisi del coronavirus, ha dato luogo a fiumi di
commenti. Non mi sembra però che, al di là dell’indignazione, sia emerso
pienamente il suo significato per la comprensione della politica.
In realtà, al di là dei suoi aspetti scandalistici, questa
vicenda evidenzia che il richiamo alla legalità, frequentemente indicata come
supremo valore della vita pubblica, è insufficiente a definire lo stile di chi
si trova impegnato in essa come rappresentante dei cittadini. I deputati e gli
amministratori finiti nell’occhio del ciclone hanno ragione quando fanno notare
di non aver violato nessuna legge e di rivendicare, da un punto di vista
giuridico, la propria onestà.
Oltre il rispetto delle leggi
Eppure, è comprensibile l’ondata di indignazione che si è
sollevata nei loro confronti in questi giorni nell’opinione pubblica,
costringendo i rispettivi partiti a prendere – o almeno a dare l’impressione di
prendere – misure drastiche nei loro confronti. Il punto è che a una
persona incaricata – a livello nazionale o locale – di garantire il
perseguimento del bene comune, non si chiede soltanto quel tipo di onestà che
viene dichiarata in un’aula giudiziaria. Neppure quando – e non è sempre così –
essa è certificata, oltre che dal gioco convenzionale delle regole processuali,
anche da un effettivo rispetto delle leggi, come è in questo caso.
Non basta l’onestà
La stagione del populismo ci ha abituati a sentire esaltare
l’onestà come il fondamentale requisito di chi vuole governare. È stato in nome
della loro onestà che i populisti hanno ritenuto di dover sostituire la vecchia
“casta”, a loro avviso corrotta. In realtà, l’esperienza di questi due anni ci
dice che ad essi è bastato molto meno tempo di permanenza al potere per
registrare, proprio su questo fronte, problemi analoghi.
Ma non è questo il punto. Il punto è che, come dimostra
il caso del bonus anti-Covid, l’onestà da sola non significa nulla. La storia è
piena di pessimi governanti che non si mettevano un soldo in tasca. Una buona
politica richiede molto di più dell’onestà, o, se si preferisce, un genere
diverso di onestà.
L’onestà del politico non è tale senza la dignità
Perché la politica – malgrado tutti gli sforzi del pensiero
moderno, da Machiavelli in poi, per farne una pura tecnica, finalizzata alla
conquista e alla conservazione del potere – mantiene ancora, ai nostri
occhi, un segreto rapporto con il complesso dei valori che definiscono la
nostra identità umana. E l’onestà di un politico non può prescindere da questi
valori.
Ne è una prova il frequente appello alla dignità, risuonato
in questi giorni come fondamentale argomento di denunzia nei confronti degli
accusati. Nessuna norma è stata violata, ma la deputata della Lega che ha
chiesto e ottenuto il bonus di 600 euro – dopo averlo definito
sprezzantemente, in un suo intervento alla Camera, un’«elemosina» –, ha dato a
tutti l’impressione di non essere stata, col suo comportamento, pienamente
“onesta” e all’altezza del titolo di “onorevole” che formalmente le spetta come
rappresentante del popolo italiano.
Il privato non si può scindere dal pubblico
Né, giustamente, è stato accettato dalla gente il tentativo,
da parte di alcuni dei politici e amministratori coinvolti, di separare la loro
funzione pubblica dalla loro vita privata, giustificando con i problemi di
quest’ultima la loro scelta. Qualcuno ha tirato in ballo la mamma, qualcun
altro i problemi economici della propria azienda.
Ma davvero chi assume una carica politica può rivendicare
come “affari suoi” quello che fa come privato, al di fuori del suo ruolo
ufficiale? Lo abbiamo sentito ripetere innumerevoli volte quando si trattava
della discutibile vita privata di Silvio Berlusconi. Ma era falso allora e lo
resta oggi. Fa piacere constatare che, finalmente, se ne stia prendendo atto.
La competenza del politico
La vicenda del bonus anti-Covid però dice che non è solo la
dignità a qualificare l’onestà di un politico. Un fattore fondamentale è la
competenza. Dove, con questo termine, non mi riferisco a una mera preparazione
tecnica, che non è indispensabile a un governante (saprà circondarsi, per
questo, di esperti del settore a cui è preposto), ma quella capacità, richiesta
in modo specifico dalla sua missione, di fare scelte prudenziali appropriate,
sulla base di una propria maturità culturale e morale, in vista del
perseguimento del bene comune.
Una legge per sprecare i soldi
È questa competenza che sembra essere mancata nel caso in
questione. Non dal lato dei profittatori, ma da quello del legislatore. Si può
senz'altro infierire su chi ha sfruttato la legge senza pudore. Ma l’art. 27
del decreto “Cura Italia”, che prevede l’erogazione indiscriminata
dell’indennità a tutti i titolari di partita Iva, senza alcuna limitazione di
reddito, sembra scritto apposta per sprecare il denaro pubblico. E non soltanto
in favore di politici e amministratori – questi sono quelli che sono stati
messi alla gogna –, ma di tanti comuni cittadini che non avevano affatto
bisogno di quei 600 euro e che se li sono presi perché, tanto, era lo Stato che
li regalava! E questo in un momento in cui la crisi esige un’oculata gestione
dei soldi e tutti parlano della necessità di spendere bene quelli che l’Europa
sta per darci!
Tra l’altro, è stato osservato che i responsabili di questa
clamorosa manifestazione di incompetenza politica sono stati ministri del
partito che ha più gridato contro lo scandalo: quello dello sviluppo economico
Patuanelli, quello del Lavoro Catalfo, il viceministro dell’economia Castelli.
Con l’avallo del presidente del Consiglio Conte, espressione anche lui della
stagione del populismo. Anche loro, certamente, “onesti”, ma non
dell’onestà del politico, che implica la competenza.
La giustizia non è ignorare le differenze
E non è il solo recente provvedimento governativo che
distribuisce sussidi a pioggia – dalla babysitter agli elettrodomestici,
dall’auto al monopattino –, dando a poveri e ricchi indistintamente. In nome
della tesi – assolutamente ideologica – che il solo soggetto a cui guardare è
il “popolo”, concepito come blocco monolitico, al cui interno sarebbe ingiusto
fare differenze. Come se ogni differenza fosse un’ingiustizia e non fosse al
contrario sommamente ingiusto trattare allo stesso modo chi si trova in
condizioni diverse.
Ancora un’onestà senza competenza
E il bello deve ancora venire! È di pochi giorni fa la
notizia che a presiedere la commissione per le politiche dell’Unione Europea
alla Camera – quella che dovrebbe aver un ruolo decisivo della programmazione e
nella gestione del Recovery Found – sarà Sergio Battelli, 37 anni, titolo di
studio terza media, fino alle elezioni del 2018 banconista in un negozio di
animali.
Si diceva prima che un governante non deve per forza avere
la competenza di uno specialista. Non è neppure indispensabile che la sua
cultura sia attestata da un titolo di studio, anche se, in mancanza di altro,
questo sarebbe già un segno di capacità di applicazione e di impegno
intellettuale. Ma c’è una competenza politica che è frutto di maturità
personale e di esperienza, e di cui bisogna aver dato in qualche modo prova, se
la si vuole riconosciuta. Ora, quando, in un’intervista, gli hanno chiesto
quali riteneva fossero i meriti che giustificavano una così folgorante carriera
politica, l’on. Battelli ha risposto che, è vero, non aveva completato gli
studi, però aveva sempre lavorato con onestà. Ancora una volta, l’onesta viene
chiamata in causa come elemento decisivo per la politica.
Un futuro problematico
Forse, da parte di Battelli, sarebbe stato segno di questa
onestà anche l’aggiungere che la nomina deriva dalla sua appartenenza alla
corrente di Di Maio. Ma non è questo il punto più importante. Ciò che
soprattutto urge, davanti a un simile scenario, è l’interrogativo che grava sul
futuro di un Paese dove ad avere un ruolo pubblico determinante, in un settore
decisivo, è una persona che, per la sua giovane età, per la mancanza non solo
di titoli di studio, ma di studi, per la mancata dimostrazione di capacità
(almeno finora), può vantare, per giustificare il suo ruolo, solo la sua
(asserita) onestà – scissa, però, da una qualsiasi competenza, in qualsiasi
modo dimostrata.
E ora?
Il problema ha anche una valenza educativa. Le scuole fra
poco riapriranno. Ci sono problemi tecnici, ma ancora più drammatico, a mio
avviso, sono i modelli educativi che noi proponiamo. Mi chiedo cosa potrei
rispondere a un ragazzo che si appellasse all’esempio di Battelli per
giustificare la propria svogliatezza nello studio e della sua volontà di non
continuare gli studi. Finora gli si era detto che la cultura è fondamentale per
andare avanti nella vita, che la società è in grado di distinguere e di
premiare chi cura seriamente la propria cultura e acquista delle competenze. E
ora?
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