MA
NESSUNA EMERGENZA COPRE LA DISUMANITÀ
di
MAURIZIO AMBROSINI
Aumentano
un po’ gli arrivi di persone in fuga dalle coste nordafricane, e subito in
Italia si riparla di «emergenza sbarchi», in un circuito politico-mediatico che
rilancia e rafforza la percezione di una grave minaccia incombente. La pandemia
non ancora sconfitta offre un supplemento di risorse emotive che concorre alla
costruzione di uno scenario ansiogeno che alimenta la richiesta di
provvedimenti draconiani.
Una
volta definita la situazione in termini di assoluta emergenza, il governo sta
rispondendo con misure ad alto impatto comunicativo, volte anzitutto a
rassicurare la popolazione: ecco allora niente meno che l’invio dell’Esercito
per presidiare i centri di accoglienza e l’allestimento di costose
navi-quarantena per trattenere i migranti in mare, come se il solo contatto dei
loro piedi con il suolo patrio avesse effetti contaminanti. Nel frattempo, lo
smantellamento di gran parte degli hotspot e delle strutture di accoglienza ha
di molto indebolito la capacità di rispondere agli arrivi in modo dignitoso:
per le persone da soccorrere e per il livello di civiltà di un Paese avanzato.
Anche da qui nasce la percezione di un’emergenza: non c’è come rinunciare a
prepararsi a fenomeni prevedibili per trasformarli in eventi drammatici,
appunto in emergenze. Di fatto, dopo la drastica riduzione degli arrivi
determinata dagli accordi con la Libia del 2017, è avvenuta ora soltanto una
modesta ripresa: 12.500 arrivi dall’inizio dell’anno, quasi 5.600 nel mese di
luglio. Ben lontani, comunque, dai quasi 200.000 del 2016.
Qualche
caso di positività, qualche fuga da centri sovraffollati e inospitali, qualche
reazione impaurita da parte di alcuni residenti, non bastano a giustificare la
torsione securitaria dei dispositivi di accoglienza. Come ha notato il
direttore di questo giornale, niente di tutto questo viene riservato ai turisti
stranieri, statunitensi compresi, che vorremmo invece accogliere a braccia
aperte. Come se il Covid-19 fosse contagioso soltanto arrivando da Paesi
poveri.
Quanto
alle soluzioni più strutturali, per così dire, alla presunta emergenza, il
governo appare prigioniero di una coazione a ripetere. Ha appena rinnovato gli
accordi con il governo libico, rifinanziando la cosiddetta Guardia costiera che
non si fa scrupolo di sparare ai migranti, e ora tenta di ripetere lo schema
con il governo tunisino. Non cessa l’intralcio delle attività umanitarie delle
Ong, impegnate nei soccorsi in mare. Langue la revisione dei decreti sicurezza:
ora si parla di un rinvio a settembre, l’ennesimo, per una svolta che doveva
essere caratterizzante per la nuova coalizione di governo.
L’emergenza
non solo copre e giustifica il sostegno a trattamenti disumani, fino al ricorso
alla forza letale, ma inibisce anche il perseguimento di un salto di qualità
nelle politiche dell’asilo e dell’immigrazione. Quando non cala un imbarazzato
silenzio, non si vede neppure uno sforzo convinto in direzione di una gestione
internazionale dell’accoglienza in Libia, del rilancio di corridoi umanitari
dai Paesi di transito, di una programmazione di quote d’ingresso per lavoro, soprattutto
stagionale, da Paesi vicini come la Tunisia. Ripartono invece i lamenti verso
l’Europa, che ha le sue colpe, ma non disapplica gli accordi di Malta: se si
vanno a rileggere, si scoprirà che riguardavano soltanto le persone tratte in
salvo dalle navi delle Ong, non gli arrivi spontanei. Nel frattempo, va sempre
ricordato che nel mondo circolano quasi 80 milioni di profughi, tra cui circa
34 milioni di rifugiati internazionali. Gran parte di questi sono accolti nei
Paesi confinanti, ma il fatto che qualche migliaio ogni anno arrivi fino alle
nostre coste non dovrebbe apparire sensazionale. Ciò che dovrebbe
impressionarci è l’abisso in cui ci sta trascinando il declino dei grandi
valori e dei princìpi umanitari.
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