giovedì 6 aprile 2023

CAMMINARE E DECIDERE. LO STILE DI GESU'

Gesù decideva

 ovvero 

decidere la vita

 Gesù stesso, per primo, attua uno stile sinodale nel suo essere peregrinante con un gruppo nomade.

E lo stile di decisione che ha insegnato era quello dell’esempio, dunque insieme agli altri. Il Sinodo pare connaturato con la Chiesa fin dal principio.

- di Susanna Pesenti

Se c’è uno che ha fatto strada insieme agli altri, che se l’è fatta entrare dai piedi, che l’ha utilizzata come mezzo per conoscere il suo mondo, incontrare la gente, restare staccato dall’avidità di beni, quello è Gesù.

 È a conoscenza degli antropologi e degli storici che le società nomadi, per sopravvivere, devono mantenere elasticità di ruoli e una concezione del potere come forza di tutta la comunità e non prerogativa sacralizzata di uno solo. Il Sinodo, quindi, pare connaturato alla Chiesa, se la consideriamo la realizzazione storica di quanto Cristo aveva in testa, per diffondere la Buona notizia di un Dio vicino e di una terra nuova per tutti. Per tutta la sua vita pubblica Gesù riuscì a mantenere il suo gruppo nomade e camminante. Un gruppo piccolo, dove tutti potevano essere accolti: anche all’ultimo momento, dopo aver sprecato giorni in attesa di qualcosa, anche con un passato o un presente non proprio limpidi e lisci.

Non risultano test d’ingresso legati al sesso, all’intelligenza, alla condizione sociale, agli antenati. Unica condizione pare l’essere essere aperti e il condividere quanto si ha, primo segno di consapevolezza umana. Riuscì quasi: «Volete andarvene anche voi?» chiede ai suoi quando, subito dopo la moltiplicazione dei pani, la dichiarazione di essere non un capo di successo che procura cibo, ma un messia destinato al sacrificio di sé fino a farsi mangiare e bere - nozione “irricevibile” per la cultura religiosa di un buon ebreo, nota Enzo Bianchi (Il capitolo 6 di Giovanni in www.notedipastoralegiovanile.it), assottiglia le fila dei sostenitori entusiasti. Ora, l’impressione è che, ragioni teologiche a parte, il primo sfoltimento dei seguaci avvenga quando la gente realizza che Gesù non è il salvatore della patria sul quale scaricare allegramente tutti i problemi e i desideri aspettando che li risolva e li realizzi. Gratis, in cambio solo del tifo da stadio (senza la fatica di correre dietro la palla) o di un affidamento totalizzante al capo politicamente provvidenziale. Cristo, ormai auto-svelatosi, chiede una decisione. Alla quale arriva per primo, con la consueta generosa impulsività, Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna». Cioè, “non ho capito molto, gli altri dicono che è una fregatura, ma io con te ho respirato un’aria libera che sento buona per me, e allora resto”. E il Sinodo, a ranghi ridotti, riprende. Perché, evidentemente, Pietro è già il riferimento riconosciuto del gruppo.

Lo stile di decisione di Gesù

 Pietro salta il fosso perché ha assorbito lo stile di decisione che Gesù insegna con l’esempio. Se si leggono i Vangeli con occhio laico, guardando solo a quel che fa l’uomo Gesù, si vede che non fa mai chiasso (per questo la cacciata dei mercanti dal tempio suona così fragorosa). Arriva, si mescola agli altri, fa quello che fanno gli altri. Così a Cana, dove è un invitato qualsiasi che si dispone a godere la festa (non fosse per la madre, rompiscatole come tutte le madri). Così quando va a farsi battezzare da Giovanni e, per cominciare la nuova vita, si mette in fila come tutti. Ama starsene zitto e osservare. Ma cerca di essere là dove la gente si incontra e le cose accadono: la piazza dove sta per essere lapidata la supposta adultera, la strada dove passa un funerale, il mercato, il porto dei pescatori, la sinagoga, il pozzo. Guarda, assorbe, raccoglie dati, studia la situazione, le facce, il contesto. In queste situazioni parla se interrogato, agisce se lo ritiene opportuno. E sono sempre parole attente, a volte seguite da azioni inedite. In ogni caso si legge sempre un prima e un dopo, un muoversi nella situa[1]zione che è umanamente pesato e contemporaneamente aperto a un affidamento di fede. Faccio del mio meglio, arrivo fino a qua, il “resto” è nelle Tue mani. Raramente è preso in contropiede, mai dalle parole, piuttosto da gesti imprevisti, spesso di donna: la malata che gli tocca il mantello, colei che gli versa l’unguento, Marta che gli corre incontro… Ma anche il paralitico calato ingegnosamente dal tetto, lo strisciare penoso del malato verso la piscina, il brancolare del cieco che da giorni tenta di seguirlo. Gente che a modo suo cammina, che gli mostra fisicamente che ha deciso di far qualcosa per uscire dalla sua situazione negativa o penosa. Questa è la fede che salva. Fede in se stessi prima ancora che in lui. Fede che - insieme loro e lui – anche la vita buia possa diventare luminosa. Il Regno. In generale Gesù, per quanto leggiamo nei vangeli, si riserva la decisione finale della direzione da prendere. Ma nel gruppo si intuisce un’organizza[1]zione, una divisione di compiti, un’autonomia di sfere di azione che sono rispettate. Chi tiene la cassa, chi pensa alla logistica, chi cucina, chi fa spesa...

La Chiesa primitiva adotta lo stesso stile: dalla condivisione al servizio.

 Uno stile che si ritrova negli Atti degli apostoli da parte dei discepoli diventati capi delle comunità, prima a Gerusalemme e poi fuori. Si capisce che dietro la primitiva organizzazione c’è un modello già imparato, praticato, assorbito. La divisione dei compiti non elimina l’umana ambizione di fare le cose più importanti, più decisive, di sentirsi (e farsi vedere) quelli più vicini al capo. Quelli “che sanno”. Di qui baruffe e gelosie. Gesù è durissimo, non perché castiga, ma perché sottolinea il fraintendimento e mette ciascuno di fronte alle conseguenze di ciò che ha “realmente” chiesto. Un po’ come nelle fiabe e nei miti che saggiamente insegnano a badare a quel che si chiede, quando si chiede. Per questo, forse, il proseguimento della condivisione è il servizio. Il potere sugli altri o il successo attraverso gli altri (che facciano per te, che ti facciano sentire migliore di loro) sostituito dal potere di essere utili, di partecipare. Per quanto possibile, in base a quello che hai da dare. Anche di guidare, ma nel senso di aprire la strada, restando responsabile anche dell’ultimo della fila. Perché sei come gli altri, per biologia. E, nella vita, in ogni momento potresti trovarti nella loro situazione, nei loro panni: a volte migliori, più spesso peggiori dei tuoi. Ama il tuo prossimo perché è come te, è te. Una realtà tutt’altro che poetica, in alcuni casi sgradevole o spaventosa, ma a conti fatti l’unica base possibile per un mondo non diviso tra schiavi e padroni.

 Come decideva Gesù?

Dai Vangeli sembra che insegni questo: raccolte tutte le informazioni possibili e dopo averci pensato su (meditato, pregato) nel silenzio della camera interiore, la decisione che prendi deve essere chiara, netta, senza tentennamenti. Sì sì, no no, il resto viene dal diavolo, il divisore tra gli uomini e dentro il cuore. L’aratro è pesante, una volta che cominci spingere, non ti conviene rovinare tutto con un solco storto. Perché altrimenti la tua vita non pro[1]cede, non costruisci nulla, resti ai se e ai ma, ti smarrisci e invece del regno, magari un posto piccolo ma reale, trovi la geenna degli indecisi, una sconfinata distesa di occasioni rifiuta[1]te, perdute, non viste, che ti bruciano la pelle e ti procurano un rimpianto trafiggente come un mal di denti. Questo non significa, se ti accorgi che hai preso una decisione sbagliata, non tornare indietro prima che sia troppo tardi. La conversione a volte salva la vita. Il figliol prodigo torna a casa, constatato quanto è stato idiota. I discepoli presi a sassate cambiano città.

In caso di delusioni o contrasti, prima di distruggere tutto, occorre dare e darsi un’ultima possibilità. La vite stenta concimata ancora, la manutenzione del lucignolo che fa fumo, la canna piegata che può venir buona per una gobba del tetto. Spiega quel che pensi di voler fare gradatamente, in base a quello che può essere capito da chi ti sta intorno e che hai capito tu stesso. Una parabola o una dotta discussione arrivano a far intuire la stessa verità. La stessa cosa può essere spiegata con onestà a un bambino e a un esperto, cambia solo il grado di complessità tecnica. Anzi, se complichi troppo con chi non ha gli strumenti per capire, fai solo sentire ignoranti o inadeguati. Il modo giusto è portare ciascuno al desiderio di ampliare la propria competenza per capire meglio. E così decidere se si vuol fare di più, essere più coinvolti. Chi non vuol essere coinvolto continuerà a sentire senza ascoltare, guardare senza vedere. Ma anche seguire non significa essere senza responsabilità. Anche il discepolo, quello che sta imparando, fa la propria parte in base a talenti “non sotterrabili”. E si deve cercare sempre di acquisirne di più, di migliorare per contribuire a un progetto comune, consapevoli che quello che, tanto o poco, si è e si ha è in prestito, perché dove e come nasci e muori non lo decidi tu. Quindi, meglio che un progetto dove spendi la vita non sia per te solo. Così dura.

Nello stile decisionale di Gesù c’è molto senso pratico. C’è il portato sapienziale della cultura ebraica, c’è l’aria dei suoi tempi. C’è una mente analitica che guarda le cose per quello che sono e tira imperterrita le conclusioni. E c’è anche una luce che trapassa gli strati e arriva all’essenziale, una capacità di visione talmente alta che o la rifiuti o ti butti aggrappato al parapendio della fede. Signore da chi andremo? Tu solo hai queste parole di vita: camminiamo, insieme, e camminando facciamo il regno. 

Che non si fa da solo e che non si fa da soli.

Susanna Pesenti

RS SERVIRE

 

 


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