lunedì 17 aprile 2023

SCUOLA. CONTO ALLA ROVESCIA


 È inutile studiare, se non sboccia il gusto 

per “questa” ora di lezione

La scuola prepara per un viaggio inutile, che nessuno vuole fare. È il prezzo che si paga per averla ridotta a meccanismo.

- di  Valerio Capasa

 

Anche sul muro della mia quinta campeggia un cartellone con i numeri decrescenti da 100 a 1. Ogni giorno una ragazza sale sulla sedia e ci mette una croce sopra: 62 61 60 59… A me, più che The final countdown, viene in mente Piove di Domenico Modugno: “Ciao ciao mia alunna / un autore ancora / e poi per sempre ti perderò”. E annego nel groppo in gola di questo “per sempre”: “E fieramente mi si stringe il core, / a pensar come tutto al mondo passa, / e quasi orma non lascia”.

Piace sbarrare caselle anche agli insegnanti: autori, argomenti, capitoli, uno dopo l’altro. Giorni, spiegazioni, verifiche: tutti si tolgono davanti qualcosa. Non è già abbastanza che pagine, alunni e parole si cancellino da soli? Perché mettersi a soffiare a favore di vento, agevolando la già naturale smemorataggine? Io prego con i versi di Montale: “Non recidere, forbice, quel volto, / solo nella memoria che si sfolla, / non far del grande suo viso in ascolto / la mia nebbia di sempre”.

L’album delle figurine, una volta completato, non ha più granché di interessante. In principio era un album vuoto, che a poco a poco si riempie incollando le figurine degli autori svolti: Svevo, Pascoli, Ungaretti… E alla fine eccoli lì, tutti al loro posto, nella pagina trionfante e ingannevole, dove manca tanto di quello che speravi, a cominciare dal fatto che un album di figurine non somiglia a una partita di calcio, come un autore inserito in programma non somiglia alla lettura di un libro. Lo canta splendidamente Francesco De Gregori, e potrebbe sottoscriverlo qualunque scrittore: “Guarda che non sono io la mia fotografia / che non vale niente e che ti porti via”.

Sparita la bella esitazione dell’album incompleto, della pagina bianca, dell’ansia di scoprire e di giocarsela, rimane tutto fatto, e tutto morto. La realtà invece è realtà “quando porta con sé un segreto”. Ungaretti lo diceva della poesia, ma vale identicamente per una materia, una classe, un alunno. Invece qui son tutti in fibrillazione per completare l’album.

È l’eterna vicenda di Marta e Maria: l’una indaffarata, a preparare comprensibilmente il pranzo; l’altra che “si è scelta la parte migliore”. Mentre in aeroporto non riesco a staccare i miei occhi dagli occhi di questi ragazzi che stanno per volare via, mi pare che gli altri si agitino per riempire la valigia, dove si può schiacciare un altro argomento e poi infilarne un altro ancora, fino a scoppiare. Non badano al fatto che dopo pochi viaggi la valigia, trattata così, non potrà che rompersi, che lo spazio del cervello è quello che è, che solo alcuni possono permettersi un supplemento, e che ben altra storia sarebbe viaggiare per trasferirsi: allora sì che sarà giusto, per chi si iscrive a una determinata facoltà, portarsi dietro tutto quello che gli serve. Ma continuando a ingozzarci così, chi è che vorrà mai trasferirsi nel paese di Obesità?

Ovviamente, come nel film Mamma ho perso l’aereo, in tutta questa furia capita che ci si dimentichi della cosa più importante: “Kevin!”. Preoccupàti delle cose, finiamo per scordarci le persone.

Saint-Exupéry raccomandava tutt’altro approccio: “Se vuoi costruire una nave, non radunare uomini per tagliare legna e dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia del mare vasto e infinito”.  Perché di un orizzonte infinito c’è bisogno, su questi binari in cui tutto è già scritto. I riti di iniziazione li ha scanditi Brunori Sas nelle Quattro volte:

Primo step: “Devo solo arrivare alla quinta elementare”.

Secondo step: “Devo solo arrivare agli esami di maturità”.

Terzo step: “Devo solo arrivare alla fine del mese”.

Quarto step: “Devo solo arrivare a due passi dall’altare”.

Risultato finale: “e dopo quarant’anni forse andarmene in pensione / con l’orologio d’oro al polso e il gelo dentro al cuore”.

È lì che vogliamo arrivare? A sfornare professionisti anziché a educare uomini? A immetterli nel sistema senza che sappiano giudicarlo e magari ripensarlo? Fra Pcto, progetti, certificazioni, arretrati, overdose di capitoli e test d’ingresso, il meccanismo è talmente ben congegnato che è quasi impossibile trovare uno spiraglio di libertà: “Cerca una maglia rotta nella rete / che ci stringe, tu balza fuori, fuggi! / Va’, per te l’ho pregato”, sussurro ancora con Montale.

Sono anni che, alla domanda “tu quanti autori fai?”, rispondo con la contro-domanda “tu quanti lettori susciti?”. Si tratta di spostare lo sguardo dagli oggetti ai soggetti. Non entro in classe per spiegare questo argomento o fare queste verifiche, ma perché questo ragazzo alzi lo sguardo, cominci a esserci, per toccare questo “scordato strumento, / cuore”.

Lo scrive ancora Montale in Prima del viaggio: si sa cosa va fatto quando ci si prepara a partire, “si controllano / valige e passaporti, si completa / il corredo”, si sistemano i nodi concettuali, ci si informa sulle sedi universitarie. “E poi si parte e tutto è O.K. e tutto / è per il meglio e inutile”. In fondo in fondo, non la sentiamo tutti l’inutilità di queste croci sopra, di questa vita sistemata, di questo gelo che cresce nel cuore, di questo mondo impersonale e agghiacciante?

Non lo cercate anche voi “un malchiuso portone” da cui possa intrufolarsi quella lezione, quel messaggio, quell’appuntamento, quell’amicizia in cui “il gelo del cuore si sfa”?

“Un imprevisto / è la sola speranza”. Può essere un ragazzo che non ha voglia di finire ma di cominciare, non di arrivare ma di vivere il presente. “E ora che ne sarà / del mio viaggio? / Troppo accuratamente l’ho studiato / senza saperne nulla”. È inutile studiare, se non sboccia il gusto per il proprio viaggio, per questa ora di lezione. Stamattina c’è ancora da cantare Brunori: “Si può nascere un’altra volta”.

 

Il Sussidiario

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