sabato 29 maggio 2021

ANDATE E INSEGNATE

 


Vangelo: Mt 28,16-20

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Commento di p. Paolo Curtaz

Il nostro Dio         

Chiedi pure in giro, informati, spargi la voce. Tutti hanno un’idea di Dio. per crederci, o per rifiutarlo. Alcuni fingono di non pensarci, altri lo accusano delle storture che viviamo continuamente. Altri lo pregano e lo invocano. Chiedi in giro, però. Mai si è sentito dire di un Dio che si è scelto un popolo, che lo ha stanato, salvato, seguito, che lo ha fatto uscire dalla schiavitù. Chiedi se sia mai successo che un Dio abbia indicato ad un popolo il segreto della felicità. Che gli abbia consegnato la mappa per cercarla. Chiedi pure. Così l’autore del Deuteronomio, stupito, ripensa all’esperienza di Israele, il popolo di nomadi che si è visto scegliere fra le nazioni per diventare sentinella, per raccontare ad ogni uomo chi è veramente Dio.

Non un Dio qualunque.

Non una delle proiezioni delle nostre paure, dei nostri bisogni inconsci, non il garante dell’ordine costituito. Un Dio che parla, che dice, che si racconta. Il nostro Dio. Il mio Dio. Il tuo, se vuoi.

Figli non schiavi

Un Dio, dice Paolo, che attraverso lo Spirito si rivela come un Padre e che ci permette di fare esperienza di lui, diventando suoi figli in Gesù. Una scoperta che non passa più solamente per la liberazione da tutte le schiavitù che portiamo nel cuore, ma dall’essere discepoli di Cristo che è morto per svelarci il vero volto di Dio. Una conoscenza sofferta, che richiede un percorso, un cambiamento, una crescita interiore. Dio si accoglie, non si conquista. Si scopre, stupiti, non si pretende. Si cerca, umilmente, non si imbraccia come un’arma. Si ama quando ci si scopre amati, bene amati. Ma questa conoscenza passa necessariamente attraverso la croce che non è, che non è mai stata!, esaltazione del dolore, anche quello santo e devoto, ma manifestazione della misura dell’amore con cui siamo amati. Ma non bastava.

 Andate

Gesù si avvicina ai suoi discepoli. Ha qualcosa di importante da dire, una missione da affidare. Si avvicina a loro anche se dubitano. Non vuole i migliori, non sa che farsene dei puri. Vuole figli, non giusti. E ai dubbiosi chiede di andare fra i popoli, non di chiudersi in un recinto sacro e rassicurante, autoreferenziale e stanziale. Di battezzare ogni uomo nel mistero della Trinità. Un Dio che, finalmente, manifesta la sua sorprendente natura. Un Dio che è comunione, relazione, comunicazione, dono di sé, danza, festa. Non un Dio solitario, sommo egoista bastante a se stesso, immobile nella sua perfezione, statico e distratto. Dio genera amore che dilaga, si diffonde, contagia.

Questo dobbiamo raccontare.

Che Dio non è un bastardo. Né un cinico. O un sadico. E quanto lo dobbiamo ripetere a noi stessi e agli altri in questi interminabili tempi di pandemia, di paura, di chiusura, di smarrimento. Quanto dobbiamo purificare la nostra immagine di Dio! E dobbiamo raccontare, a volte anche con le parole, che noi siamo fatti a sua immagine e somiglianza. Che in me c’è la Trinità. Siamo costruiti a sua immagine, Dio si è guardato allo specchio per crearci. Inutile negarci la relazione. Inutile fuggire la comunione. Assurdo negare l’amore. È faticoso e crocifiggente relazionarsi, certo. L’enfer c’est les autres, l’inferno sono gli altri diceva Sartre. Amatevi dell’amore con cui siete stati amati, chiede Gesù. Ma non si tratta di operare una scelta di vita, più o meno conveniente. Ma di assecondare ciò che siamo veramente, nel nostro profondo. Di fiorire. 

Insegnando ad osservare

Siamo chiamati ad insegnare. Cosa? Il comandamento dell’amore? No, siamo chiamati ad insegnare come osservare quel comandamento. Non siamo né siamo chiamati ad essere degli insopportabili e saccenti primi della classe che dall’altro calano le loro prospettive. O dei devoti giudicanti. Siamo chiamati noi per primi ad amarci dell’amore del Dio Trinità e a raccontare quanto ci sta cambiando la vita, anche nella fatica, nella contraddizione, al di là di ogni limite, di ogni peccato.

Non siamo soli in questo compito.

Ci è stato ripetuto in queste ultime domeniche, con insistenza. Lui è con noi, per sempre. Ci è accanto, conferma le nostre parole, se le viviamo. Ci usa come strumento.   Questo è il Dio in cui crediamo. Il Dio che ci ribalta.

Chiedete pure in giro se avete mai sentito niente del genere.

Paolo Curtaz

 

 

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