sabato 1 maggio 2021

RIMANETE IN ME E IO IN VOI


+ Dal Vangelo secondo Giovanni
- Gv 15,1-8

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

 Commento di p. Paolo Curtaz

 Le gelate primaverili hanno messo in difficoltà i produttori di vino. Tutti abbiamo guardato alle diverse tecniche per cercare di proteggere i poveri tralci che si erano risvegliati dal lungo sonno invernale. E vedere la cura e la dedizione di tanti viticoltori, fra cui mio fratello, mi ha fatto pensare a quanto spesso, nella Bibbia, si parli di vigna, di viti, di vignaioli, di uva, di vino, di festa.

Possedere una vigna, coltivarla, era una delle attività dei contemporanei di Gesù. E, in diversi racconti bilici, l’immagine della vigna descrive il popolo di Israele. 

Israele è la vigna piantata con cura e perizia dal vignaiolo, Dio, che si aspetta, ovviamente, dopo tanta fatica, di poterne ottenere un vino delicato e sincero. E da questa immagine sono nate molte pagine straordinarie, dolenti, lamenti dei profeti che, per conto e in nome di Dio, si lamentavano con Israele, la vigna, di non portare i frutti sperati.

Ma qui, oggi, Gesù spinge la metafora, vi apporta una novità potente e densa di significato. Non solo più Dio è descritto come vignaiolo e Israele come la vigna da lui piantata e accudita. Gesù paragona se stesso ad una vite. Una vite cui sono legati i tralci, i discepoli, noi, che ricevono dalle radici linfa vitale per portare frutto. 

È un salto di qualità nella comprensione di Dio che solo Gesù poteva spiegarci. Non più un contadino e il frutto della sua fatica. Ma il contadino che diventa albero. Vite, in questo caso. Come, altrove, il pastore è diventato la porta che chiude il recinto in pietra in cui radunano le pecore per la notte, sedendosi fisicamente nel varco per farle uscire. Il creatore diventa creatura. 

L’immagine non parla più soltanto dello stretto legame fra lavoro e prodotto della fatica e del sudore. Gesù stesso si identifica nella vite. Non esiste una vite senza tralci. Non esiste un tralcio senza vite.

 Paolo Curtaz

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