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venerdì 11 aprile 2025

UNA SPERANZA UNIVERSALE E iNCLUSIVA



*In Aula Paolo VI, la quarta e ultima meditazione verso la Pasqua tenuta dal predicatore della Casa Pontificia e aperta a tutti. Centrale la riflessione sull’Ascensione e sull’insegnamento di Cristo a congedarsi per donare alla storia la libertà e una nuova vita. Il saluto a Papa Francesco, sempre “partecipe della vita della sua Chiesa”*


-Isabella Piro – Città del Vaticano

“Rivolgiamo un caro saluto al Santo Padre che, ormai ne siamo certi, tra un po’ sarà con noi, partecipe della vita della sua Chiesa”. Così il cappuccino Roberto Pasolini ha iniziato stamane, venerdì 11 aprile, in Aula Paolo VI, l’ultima delle quattro prediche di Quaresima, aperte a tutti, sul tema “Ancorati in Cristo. Radicati e fondati nella speranza della Vita nuova”.

LEGGI QUI IL TESTO INTEGRALE DELLA MEDITAZIONE DI PADRE PASOLINI

Dopo la prime tre riflessioni del 21 e 28 marzo e del 4 aprile - incentrate rispettivamente su Imparare a ricevere - La logica del BattesimoAndare altrove - La libertà nello Spirito e Sapersi rialzare – La gioia della Risurrezione -, oggi il sacerdote si è soffermato sul tema Dilatare la speranza – La responsabilità dell’Ascensione. E in proposito ha evidenziato tre aspetti: la conversione, il sottosopra e la sinergia, ribadendo che sapersi congedare, quando tutto il necessario è stato compiuto, allargando i confini della speranza è l’insegnamento che Gesù ha offerto all’umanità proprio con l’Ascensione. 

Non cedere alla sindrome dell’abbandono

In primo luogo, analizzando il passo del Vangelo di Giovanni in cui si narra l’incontro tra Gesù e la Maddalena dopo la risurrezione, padre Pasolini ha sottolineato l’importanza di non cedere alla sindrome dell’abbandono. Come quella vissuta dalla discepola, chiusa nel suo dolore e desiderosa di imbalsamare, insieme alle spoglie di Gesù, anche la memoria del suo Amore. Questa tendenza a imbalsamare l’assenza - ha evidenziato il padre cappuccino - può far ammalare il cuore dell’umanità in modo grave, impedendogli di riaprirsi a nuova vita. 

La Risurrezione non torna indietro, ma apre a nuova speranza

Invece, non appena il Signore Risorto la chiama per nome, Maria Maddalena si sente chiamata a una nuova speranza di vita ed è questa – rimarca il predicatore – la conversione definitiva a cui la Risurrezione ci vuole condurre: quella che consente al cuore dell’umanità di liberarsi dalla tristezza e di fare un incontro personale con Cristo e con la novità che Egli inaugura. Perché dopo la Risurrezione non si può tornare indietro, ma si cammina in avanti, verso il Padre, trasformate in creature nuove. Con la Risurrezione, quindi, prosegue padre Pasolini, viene superata la tentazione di confinare Dio in un tempo o in un luogo, come vorrebbe fare la Maddalena, portando le spoglie di Gesù nella casa materna.

La Pasqua non è idolatria religiosa

Al contrario, il Signore invita la discepola ad annunciare agli altri la sua Risurrezione e a scorgere il suo volto nell’umanità. Evitando il rischio di trasformare la Pasqua in mera idolatria religiosa, dunque, Cristo è asceso al cielo per far emergere nella storia un suo segno meraviglioso: le relazioni che sappiamo intrecciare e custodire nel suo nome.

Il “sottosopra” dell’Ascensione: Cristo lascia spazio all’uomo

In questo senso, spiega ancora padre Pasolini, l’Ascensione genera un “sottosopra”, ossia un rovesciamento definitivo sul piano esistenziale, perché Cristo esce dal palcoscenico della storia per lasciare spazio all’umanità affinché diventiamo presenza viva di Dio nel tempo e nello spazio. In sostanza, Gesù si allontana per condurre i discepoli oltre sé stessi, al di là delle illusioni e delle delusioni, fino al punto in cui possono diventare pienamente umani, in solidarietà con i fratelli. In tal modo, l’Ascensione non richiama a una vita ideale e astratta, bensì consente di trovare la presenza del Signore in ogni luogo e in qualsiasi circostanza, ribaltando l’odine delle cose: lo Spirito è nelle realtà visibili, il corpo entra nelle realtà invisibili. Perché il ritorno di Cristo al cielo si compie insieme all’avanzare verso il cielo del suo corpo, ovvero l’umanità che, ogni giorno, rende testimonianza dell’Amore più grande.

Riconoscere la bellezza e la bontà di ogni creatura

L’avventura del Vangelo – evidenzia il predicatore della Casa Pontificia – continua sulla terra, tra polvere e cielo, in sinergia. Gli apostoli, infatti, sono chiamati ad andare ovunque per proclamare la Buona Novella a tutte le creature. Su questo termine – “creature” – padre Pasolini si sofferma ulteriormente, ricordando che, al momento della creazione, Dio vide che ogni cosa era bella ed era buona. Di qui, la sfida di guardare agli altri non come esseri umani, quindi soggetti a giudizi e a pretese, bensì come creature delle quali riconoscere la bellezza e la bontà.

La mitezza di Gesù

Evangelizzare dunque – sottolinea il padre cappuccino – significa soprattutto scorgere nel prossimo una creatura, anche fragile e sconclusionata, anche con luci e ombre. Ma comunque riconoscerla e accettarla con benevolenza per quello che è. Questa è la mitezza di Gesù, che considera primario non fare il bene dell’altro, quanto innanzitutto dichiarare che l’altro è un bene. E in questo tempo storico – continua il predicatore – ciò rappresenta un’occasione nuova per la Chiesa: quella di guadare con umiltà e rispetto la storia di ogni persona, riconoscendo il cammino del singolo senza includere, immediatamente o frettolosamente, una valutazione morale.

Ascolto, accoglienza e discernimento

In fondo, aggiunge padre Pasolini, portare il Vangelo fino ai confini della terra non significa solo raggiungere luoghi lontani nello spazio e nel tempo, ma anche inoltrarsi con attenzione e rispetto nel cuore di ogni uomo, accogliendone la complessità, abitando con sapienza evangelica e carità pastorale l’unicità di ciascuno e lasciando spazio all’azione silenziosa di Dio. Ascolto, accoglienza e discernimento, dunque, sono atteggiamenti fondamentali per restare fedeli al Vangelo – ricorda il predicatore - e per mettere al centro la storia e la dignità di ogni persona che attende, anche senza saperlo, di incontrare il volto di Dio.

Sapersi allontanare restando in profonda comunione

Con l’Ascensione del Signore – continua il predicatore della Casa Pontificia – i discepoli hanno compreso la possibilità di vivere e agire insieme a Lui, mediante la forza dello Spirito. E questo interrompe per sempre l’incubo della solitudine perché, attraverso la Risurrezione e l’Ascensione, la vita umana si è trasformata in una sorta di danza, di passo a due tra cielo e terra. Dunque, rimarca padre Pasolini, in un tempo in cui facciamo fatica a “uscire di scena”, Gesù ci mostra quanto sia prezioso sapersi allontanare per restare in una comunione più profonda e più autentica.

 Pasolini: la risurrezione esperienza d'amore che insegna a superare le difficoltà

Nella terza predica di Quaresima sul tema “Sapersi rialzare. La gioia della Risurrezione”, il predicatore della Casa Pontificia ha evidenziato che Gesù, appena risorto, “non sente ...

Un sussulto di speranza universale

La vita è eterna, non si lascia imprigionare, afferma il padre cappuccino: l’apparente assenza di Dio dal palcoscenico della storia è in realtà un invito all’umanità, chiamata a incarnare e a testimoniare la verità del Vangelo senza cedere a protagonismi e monopoli, ma manifestando al mondo la pienezza dei tempi. E questa – conclude padre Pasolini – è l’auspicio più grande da coltivare durante il Giubileo: che il mondo possa riconoscere, nella fede e nella tradizione della Chiesa, qualcosa di bello e di nuovo, capace di suscitare un sussulto di speranza universale.

 Vatican News

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lunedì 7 aprile 2025

SAPERSI RIALZARE


LA RESURREZIONE

 ESPERIENZA DI AMORE


È il mistero della risurrezione da leggere nel presente della propria vita il cuore della terza predica di Quaresima sul tema “Sapersi rialzare. La gioia della Risurrezione” proposta questa mattina nell’Aula Paolo vi, in Vaticano, da padre Roberto Pasolini, predicatore della Casa Pontificia. Prima di sviluppare la sua meditazione, il religioso cappuccino ha rivolto «un saluto particolare» al Papa. «Ci auguriamo che questa forza con cui Cristo si è risollevato dalla morte venga infusa anche al nostro Santo Padre, per potersi rialzare» in «questo tempo di Giubileo» ha detto.

Poi ha introdotto la sua meditazione spiegando che «guardare alla risurrezione significa non lasciarsi sopraffare dalla paura della sofferenza e della morte, ma mantenere lo sguardo fisso sulla mèta verso cui l’amore di Cristo ci guida», cosa che «richiede una rinuncia preziosa: abbandonare la convinzione che sia impossibile rialzarsi dai fallimenti e dalle sconfitte con un cuore fiducioso, pronto a ricominciare e a riaprirsi agli altri», in particolare «a chi ci ha ferito». La conclusione è che «la beatitudine della vita nuova è per quanti scelgono di intraprendere un cammino autentico, un incontro vivo e appassionato con il Risorto», che «avviene sempre nella comunità dei fratelli, ma nel pieno rispetto della sensibilità unica di ciascuno».

Padre Pasolini ha proposto anzitutto un atteggiamento: non prendersela. E ha spiegato che «la più grande sorpresa contenuta nei Vangeli» è che Cristo, risorgendo dai morti, ci ha lasciato «una testimonianza meravigliosa di come l’amore sia capace di rialzarsi dopo una grande sconfitta per proseguire il suo inarrestabile cammino». Contrariamente a quanto accade a noi che «ogni volta che riusciamo a risollevarci e a riprenderci, dopo aver subito un forte trauma nell’ambito degli affetti» pensiamo subito «come poterci prendere qualche rivincita, per esempio facendola un po’ pagare a chi riteniamo responsabile di quanto abbiamo sofferto», Gesù, appena risorto, «non sente il bisogno di prendersela con niente e con nessuno per quanto è successo, né di affermare la sua superiorità su quanti si sono resi protagonisti o complici della sua morte»; semplicemente Egli sceglie di «manifestarsi ai suoi amici, con grande parsimonia e gioiosa modestia», chiarisce padre Pasolini.

Questo perché la risurrezione è «esperienza di amore», non «atto di potenza da parte di Dio». Un amore «capace di lasciarsi scivolare tutto alle spalle», ma questo «non significa che Dio sia impermeabile o insensibile alla sofferenza»; semmai insegna che «chi ama davvero non sente il bisogno di contare i torti subiti, perché la gioia di ciò che ha vissuto supera ogni rancore, anche quando le cose non sono andate come aveva immaginato».

Il predicatore della Casa Pontificia ha quindi invitato a verificare «quanta libertà c’è nelle parole e nei gesti che offriamo agli altri» se vogliamo «rialzarci in modo evangelico dagli inevitabili traumi a cui le relazioni ci espongono». «Se ci accorgiamo di restare spesso delusi o di prendercela troppo quando le cose non vanno come avevamo immaginato — ha osservato —, forse dovremmo chiederci con quanta gratuità stiamo vivendo le nostre relazioni». Perché altrimenti si rischia «di trascorrere il tempo a lamentarci, a puntualizzare e a cercare compensazioni per le delusioni subite». E invece «la vera felicità, quella che ci rende davvero amabili, non dipende dalle circostanze o dagli altri, bensì dalla pace con cui accogliamo ciò che la vita ci offre».

Un altro grande insegnamento lasciatoci da Cristo emerge dal modo in cui si manifesta ai suoi discepoli. Il religioso cappuccino ha fatto notare che «Gesù mostra subito i segni della Passione perché è completamente riconciliato con quanto ha vissuto e sofferto», desiderando «che anche i suoi amici trovino presto la pace e non restino chiusi dentro un inutile senso di colpa». Questo ci fa capire che «solo quando scorgiamo nel volto di chi abbiamo offeso o tradito il segno di una pace autentica, possiamo sperare di ritrovarci in una comunione nuova». E infatti «Gesù sta davanti ai suoi discepoli con la felicità di chi ha avuto un buon motivo per soffrire e morire: quel motivo sono proprio loro».

E allora «risorgere è godere del sorriso di qualcuno che è felice anche se tu lo hai deluso», e ti ha comunque offerto «il suo amore». «Un amore di questo tipo non si può insegnare né spiegare, ma solo trasmettere», ha aggiunto padre Pasolini. Ma se risorgendo Cristo ridà vita a chi l’ha perduta e restituisce «fiducia a chi non ha più la forza di credere», «lasciarsi rigenerare, tuttavia, non è facile». Lo dimostra «Tommaso, che non era presente quando Gesù appare e dona ai discepoli lo Spirito e la pace», e che «incarna quella parte di noi che non si accontenta di asciugarsi le lacrime e abbozzare un sorriso forzato», ma cerca «una risposta vera, capace di reggere di fronte allo scandalo del dolore e della perdita, a quel mistero doloroso per cui anche le cose più belle, inspiegabilmente, possono finire». Egli «vuole toccare con mano le ferite dell’amore», «pretende una prova concreta, un segno tangibile che il dolore non è stato cancellato, ma attraversato e trasformato».

Il predicatore della Casa Pontificia ha specificato che «Tommaso non ha rifiutato la fede per ostinazione», ma «piuttosto che accettare passivamente il racconto degli altri, ha scelto di prendersi il tempo necessario per lasciarsi raggiungere dall’amore di Cristo, fino a poterne fare un’esperienza personale e profonda». E allora il discepolo incredulo offre un prezioso insegnamento: «La gioia della risurrezione appartiene a chi ha il coraggio di non fermarsi a una fede fatta di slogan e idee preconfezionate». E Gesù che si manifesta con «un corpo risorto dalla morte» ci svela che il destino che ci attende è «la risurrezione della carne, non solo la salvezza dell’anima».

C’è poi un importante aspetto da tenere presente: intrattenendosi con i suoi discepoli in vari momenti della quotidianità, il Signore mostra «che dopo la sua risurrezione dai morti ogni momento della vita può diventare manifestazione e anticipazione del Regno dei cieli». «Mangiare, lavorare, camminare, pulire, scrivere, aggiustare, attendere, affrettare»: tutto quello che «la realtà ci consente di vivere può esprimere un modo nuovo di vivere le cose, quello dei figli di Dio» ha sintetizzato padre Pasolini, che ha infine evidenziato che la realtà «così com’è, può diventare occasione di felicità, se sappiamo viverla nella logica della comunione con gli altri e nella gratitudine».

 Alzogliocchiversoilcielo

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sabato 10 giugno 2023

SCUOLA. OLTRE LO PSICOLOGO

 Sognando Pasolini: oltre lo psicologo,

 l’incontro che manca 

ai giovani

 


Forse a scuola ci vorrà lo psicologo per i giovani, 

mai così fragili. 

Di certo però ciò che chiedono 

è l’esperienza di un incontro con la realtà e se stessi

 

- di  Francesco Manzo

 Lo sapremo fra poco, perché il ministro ha annunciato che sull’argomento è al lavoro una task force. L’ennesima, formata dai soliti “esperti del giorno dopo”, che di scuola, educazione e lavoro degli insegnanti ne sanno pochissimo o quasi niente. Forse ci vuole lo psicologo a scuola; sicuramente ci vuole un ottimo psichiatra per i dirigenti ed esperti ministeriali. C’è bisogno di una rivoluzione nel campo dell’istruzione che parta proprio dalla sempre più drammatica “emergenza educativa”, ma che l’elefantiaca macchina ministeriale non riesce proprio ad affrontare. Possibile che dal disastro educativo non si
scenda mai alla radice del problema? Da alcune settimane il quotidiano La Stampa ospita un’inchiesta di Elena Stancanelli su “Giovani e salute mentale”. È un “dolore evolutivo” la nuova “malattia” che attanaglia gli adolescenti nella società post-narcisistica, dove essi si sentono vuoti e mai all’altezza delle aspettative. L’autolesionismo e il ritiro sociale sono la manifestazione di quel dolore (La Stampa, 29 maggio 2023). C’è un luogo dove un adolescente può dire “io” con verità?

 Tante volte, in questi tempi, genitori, insegnanti, adulti si sorprendono di fronte a certi atteggiamenti dei giovani, senza rendersi conto che nella maggior parte dei casi sono la logica conseguenza dell’angustia che sono riusciti a trasmettere nel disperato impegno di assicurare loro un futuro senza rischi. Adolescenti che hanno paura di crescere, perché intorno non vedono gente cresciuta. Già Pasolini sul Corriere scriveva che “I vari casi di criminalità che riempiono apocalitticamente la cronaca dei giornali e la nostra coscienza abbastanza atterrita, non sono casi: sono, evidentemente, casi estremi di un modo di essere criminale diffuso e profondo: di massa”.

Ed è proprio durante l’anno centenario della sua nascita che Pasolini, una notte, mi è apparso in sogno.

Sarà perché l’ho sempre scoperto amico in tutti questi anni, compagno delle mie lezioni in classe. Non semplici citazioni, ma profonda commozione per la sua unica e straordinaria intelligenza sull’esperienza umana e sulla realtà. L’unico intellettuale cattolico, come diceva don Giussani spiazzando tutti.

Mi ha subito detto che oggi, anche a causa del suo recente centenario, tutti lo citano, tutti dicono che ci vorrebbe uno come lui per capire nel profondo questo cambiamento d’epoca e si è detto sorpreso che anche un noto cardinale lo abbia evocato in quei giorni. Non si contano più quelli che dicono “ci vorrebbe un Pasolini, oggi”. Però quand’ero vivo…

“Ciò che mi ha spinto a manifestarmi è un moto di indignazione e anche di grande irritazione nate dall’ultimo ed ennesimo inutile dibattito sulla nostra scuola. Non lo volevo dire, ma devo! Dopo tanti anni avevo proprio ragione e la mia non era una sterile provocazione, ma la sfida radicale sulla questione educativa: ‘Abolire immediatamente la scuola (allora dicevo scuola media dell’obbligo)’ . Intendiamoci, detta così sembra un’assurdità, e lo è. Infatti, ciò che bisogna immediatamente abolire, cancellare, licenziare sono i responsabili del disastro educativo ed organizzativo della scuola italiana. Ciò che mi stupisce, ma non più di tanto, e che tutte le analisi sulla scuola non toccano mai (o non lo vogliono toccare) il vero problema, che passa anche dallo snellimento (io se potessi direi dall’abolizione) del ministero dell’Istruzione e le sue diramazioni regionali e provinciali. Certo, non è il solo problema; ma sono questi i luoghi dove migliaia di funzionari imbrigliano e puntellano edifici in macerie o parzialmente crollati sotto l’urto dell’emergenza educativa. È giunta l’ora di portare provocatoriamente ‘i libri della scuola’ in Tribunale ed attivare il procedimento per ‘bancorotta fraudolenta’. È troppo tempo che le nostre ragazze ed i nostri ragazzi ‘vanno a scuola’, ma non ‘fanno scuola’. Invece, fanno tante, tantissime attività (basta vedere le centinaia circolari ministeriali che ogni anno intasano le segreterie scolastiche con proposte di iniziative e concorsi di ogni genere); ma le fanno proprio perché non hanno la forza, non riescono a proporre un lavoro educativo che arrivi a toccare il cuore degli studenti: cercare un significato che abbracci, aiuti a verificare e a sottoporre al vaglio della ragione il valore esistenziale delle risposte che man mano il mondo gli propone per cercare di soddisfare tutti i loro desideri. 

Ci si limita, nel migliore dei casi, a stabilire un rapporto che non li disturbi, un patto di non belligeranza. Così si evita che maturi un pensiero critico che può nascere dal confronto con una esperienza di vita comunicata, non con il nulla. Se qualcuno ti ha educato può averlo fatto solo con il suo essere, non con le sue parole. Questa verifica o è libera o non è. E qui vengo al punto cruciale. Punto che avevo già affermato nel famoso articolo (‘Aboliamo la tv e la scuola dell’obbligo’): la scuola e il video sono autoritari perché statali, e lo Stato è la nuova produzione (produzione di umanità). E qui che, secondo me, c’è il vulnus irrisolto della scuola: è statale. Non è pubblica, è statale. E di conseguenza è autoritaria (esercizio dei funzionari). Solo una vera scuola pubblica può iniziare e tentare di ricostruire un percorso educativo all’altezza delle aspettative di chi la frequenta: giovani e adulti. Perciò, liberiamo il gigante. ‘Processiamo’ i ‘bancorottieri’. Portiamo i libri in Tribunale… 

Facciamo fare scuola a chi la vuole fare, liberamente. Si, lo devo dire, me ne sono convinto, la vera rivoluzione è la libertà di educazione, fare scuola come la scuoletta che feci a Casarsa nel ’44, una forma inedita di educazione popolare che, guarda caso, un improvviso veto burocratico del provveditore agli studi di Udine fece chiudere (continuammo nella sala pranzo di casa mia). Da quella esperienza ho maturato, come ho scritto a Gennariello, un’idea del maestro: chi sta in cattedra non deve essere oggetto d’amore ma saper provocare amore per l’oggetto di studio e farlo vivere come un’avventura. Basta, non parlerò più. Tanto fra trent’anni staremo ancora qui a dire le stesse cose”.

I trent’anni sono ampiamente trascorsi. Non sarà lo psicologo in classe, da solo, a rispondere al dolore evolutivo dei nostri ragazzi. Deve accadere qualcosa, un imprevisto, la sorpresa di un “incontro”. Imbattersi in persone in cui quelle domande determinino una vera ricerca, aprano a una soluzione. Ci vuole un luogo di libertà.

 Il Sussidiario