ma ordine e armonia viva nella società
- di PAOLA MULLER
- La pace sia con tutti voi! È il saluto che papa Leone XIV, “figlio di sant’Agostino”, rivolge a ciascuno di noi. Nel mondo inquieto di oggi, dove la parola “pace” sembra spesso ridotta a slogan, il pensiero di sant’Agostino offre una bussola sorprendentemente attuale. Il cuore della sua proposta? Cristo. Non come semplice riferimento dottrinale, ma come centro vivo e pulsante da cui scaturiscono sia la pace che l’unità vera. Agostino non si accontenta di definizioni astratte. Non cerca un’idea di pace da libri di filosofia o da tavoli diplomatici. Per lui la pace è anzitutto una persona: Cristo.
È la pace “del Cristo risorto”, “disarmata e disarmante”,
augurata dal Papa appena eletto. È nel crocefisso risorto che l’umanità trova
la propria convergenza: In Illo uno unum (in quell’Uno siamo
un’unica cosa) è il motto episcopale scelto da Leone XIV tratto dalle Enarrationes
in Psalmos (127, 3). Nel mondo di Agostino – come nel nostro
– la pace era minacciata da guerre, scismi, ingiustizie. Eppure, la sua visione
non si ferma alla constatazione del male (“che non prevarrà!”). Anzi, propone
un modo nuovo di concepire la pace: non come assenza di conflitto, ma come
ordine nell’amore, armonia viva che coinvolge ogni parte della persona e della
società.
Pax est tranquillitas ordinis ( De Civitate Dei, 19, 13), scrive: la
pace è la tranquillità dell’ordine. Ma questo “ordine” non è statico né
imposto, bensì frutto di una giustizia abitata dalla carità. Una pace attiva,
vigilante, da costruire con impegno quotidiano. Agostino insegna che la pace che
l’uomo desidera non è un’idea astratta, ma ha due volti, strettamente
intrecciati: uno interiore, l’altro sociale. Da una parte c’è il bisogno
profondo di equilibrio dentro di sé, dall’altra, c’è la necessità di rapporti
giusti e armoniosi con gli altri, con la società, con il mondo stesso in cui
viviamo. Non c’è pace nel cuore se il mondo attorno è lacerato, e non c’è pace
tra gli uomini se i cuori sono inquieti. Le due dimensioni non si oppongono: si
richiamano, si sorreggono a vicenda. E forse non è un caso che in un’epoca
segnata da ansia, polarizzazione e insicurezza globale, anche la pace interiore
sembri sfuggire di mano. Prima di diventare un programma politico o
una conquista sociale, la pace deve essere coltivata dentro di sé. Non si tratta
solo di tranquillità, ma di una forza attiva, che nasce dalla carità e dalla
consapevolezza di essere amati.
Il dramma della pace
Per Agostino, il vero dramma della pace è che tutti la
vogliono, ma ognuno la intende a modo suo, modellata sui propri desideri,
interessi, valori. E così, ci si batte – perfino con la forza – non contro la
pace, ma per “la propria” idea di pace. È qui che nasce il paradosso: proprio
mentre tutti dicono di volerla, la pace diventa terreno di scontro. Ognuno è
convinto di difendere quella giusta, quella universale, ma spesso si tratta
solo di una visione parziale, esclusiva. Agostino lo dice con parole dure e
vere: «Ogni uomo cerca la pace, anche facendo la guerra» ( Epistola 189,
6). Non perché si rifiuti il bene della pace, ma perché si impone la propria
versione, ignorando quella degli altri. Il rischio? Trasformare il desiderio
più alto dell’umanità – vivere in pace – nella sua più dolorosa delusione.
Finché la pace non sarà un bene condiviso, sarà sempre una conquista
incompiuta.
« E intanto abbiate la pace tra voi, fratelli. Se volete
attirare gli altri alla pace, abbiatela voi per primi; siate voi anzitutto
saldi nella pace. Per infiammarne gli altri dovete averne voi, all'interno, il
lume acceso» ( Discorso 357, 3). In una prospettiva che invita
all’ascolto reciproco, alla corresponsabilità, alla comunione nella diversità,
le parole di Agostino risuonano come un appello diretto alla sinodalità: prima
di costruire strutture sinodali, occorre diventare uomini e donne di pace.
Perché senza la pace del cuore, ogni dialogo rischia di diventare contesa, ogni
confronto una divisione. La sinodalità, in fondo, è anche questo: mettersi in
cammino insieme perché si è già in pace tra di noi. E se così non fosse, è
proprio da lì che bisogna cominciare.
Un cuore riconciliato
È proprio da questo cuore riconciliato che
nasce l’unità. Nella visione di Agostino, la Chiesa è il luogo
dove questa unità prende forma concreta. Non come uniformità sterile,
ma come comunione nella diversità: ogni membro ha un dono, un carisma, che
serve non per se stesso, ma per il bene di tutti.
Questa visione ecclesiale è oggi provocatoria. In
un’epoca segnata dall’individualismo e dall’autoreferenzialità, Agostino
invita a pensare e vivere “al plurale”. Nella Chiesa, l’unità non
significa uniformità; al contrario, è proprio la diversità dei doni a costruire
una comunione viva e dinamica. Agostino lo aveva capito: la comunità ecclesiale
è un corpo composto, fatto di membra diverse, ciascuna con la propria funzione,
ciascuna necessaria al bene di tutte le altre. Ed è solo rimanendo uniti,
condividendo questi doni, che il Corpo di Cristo può crescere e vivere in
pienezza.
Reciprocità e collaborazione
È in questa logica di reciprocità e collaborazione che la
Chiesa mostra il suo volto più autentico: un popolo plurale che cammina
insieme, diverso ma unito, guidato dallo stesso Spirito. La Chiesa è infatti
comunione: madre che genera, comunità che accoglie, spazio di partecipazione
attiva. E il suo compito è far vedere al mondo che l’unità non è un’idea
astratta, ma un’esperienza possibile, concreta, incarnata.
Non si può amare Cristo – ammonisce Agostino – senza amare la
sua Chiesa. Per Agostino, la Chiesa non può chiudersi nel recinto dei “già
convinti”, ma deve abitare il mondo con umiltà e profezia, camminando accanto a
ogni uomo e ogni donna, con la certezza di portare un tesoro che non appartiene
a lei, bensì a Cristo. Il suo compito è quello di essere segno visibile di
unità e strumento di riconciliazione, in una società spesso frammentata, dove
la divisione rischia di diventare normalità.
In cammino
In questo senso, il cammino sinodale assume un significato
profondo: è un processo che invita la Chiesa a riscoprirsi come popolo in
cammino, capace di accogliere, ascoltare, condividere. Una Chiesa che non
seleziona chi includere, ma si lascia continuamente interrogare dal
Vangelo e dalla storia. L’ecclesiologia agostiniana, che parla di una
comunità “per tutti” e “con tutti”, richiama la Chiesa di oggi a superare ogni
autoreferenzialità per diventare davvero casa aperta, madre accogliente, compagna
di viaggio. La sua Cattolicità, dunque, non è un’etichetta da conservare, ma
una vocazione da incarnare, giorno per giorno, attraverso l’impegno concreto
per la pace, la giustizia, la solidarietà universale.
In un mondo attraversato da crisi globali e nuove povertà, la Chiesa sinodale agostiniana è quella che si fa prossima, che non divide il mondo tra “dentro” e “fuori”, ma lo ama tutto, perché tutto il mondo è il suo campo di missione.
Una Chiesa davvero cattolica non si ritrae: cammina,
accoglie, dialoga, serve. E proprio così resta fedele al mandato di
Cristo.
*Docente di Storia della Filosofia medievale Università Cattolica di Milano
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