Luce alta sui monti e
stella orientatrice del cammino della Chiesa e dei popoli è stato ed è il
pensiero di san Tommaso d’Aquino, di cui in quest’anno giubilare ricorre l’800°
anniversario della nascita: 1225-2025. Egli è stato dalla Chiesa chiamato in vari
modi: Doctor Angelicus, Doctor Communis, Doctor
Humanitatis, etc. Giovanni Paolo II nel discorso all’Unesco (giugno 1980)
lo indicò come uno dei più grandi geni del cristianesimo, non solo teologo ma
pure filosofo. Da quasi due secoli e con alterne vicende il Tommaso filosofo e
metafisico è ritornato ad essere meditato, sia pure fiocamente, dai filosofi
che cercano sin dai tempi più lontani la verità dell’essere. Dico fiocamente in
quanto rimane in una parte della cultura, forse però in declino, una diffidenza
quasi sprezzante per il Medioevo e per l’Aquinate, in specie nell’area
continentale, e in minor misura in ambito anglosassone. Meditare sull’essere,
la vita, Dio, l’uomo e la verità fu il suo itinerario, mosso dallo stupore e
dalla sete di conoscenza; coloro che anche oggi lo seguono provano lo stesso
sentimento. Un bel libro di Giuseppe Savagnone (Lo stupore dell’essere.
Il pensiero alternativo di Tommaso d’Aquino, Marcianum Press, pagine 280,
euro 23,00) invita il lettore a percorrere un cammino simile al suo.
Savagnone incontrò il pensiero di Tommaso quando era giovane, trovandovi” una
chiave di lettura della realtà alternativa alle mode culturali che oggi
dominano la scena”, e un vivaio inesauribile di itinerari.
Il libro si compone di
dodici conversazioni che, partendo dalla situazione culturale del giovane
Tommaso (1240 e oltre), descrivono il suo stile di pensiero e la ricerca, anche
filosofica, vissuta come la compenetrazione tra ricerca intellettuale e ricerca
spirituale, in cui hanno parte l’intelletto, la volontà e il cuore. Chi
filosofa con tutto sé stesso non è semplicemente assimilabile all’esperto
accademico che dispensa saperi specializzati. Le dodici conversazioni
concernono le questioni massime di una filosofia che si volge a tutta la
realtà, senza operare esclusioni preliminari, tra cui frequente quella relativa
alla trascendenza: un rapporto positivo tra ragione e fede, la scoperta
dell’essere e delle sue leggi, l’esistenza di Dio, la creazione, l’identità
della persona umana, il fascino del bene e le domande sull’amore. Nel percorso
dell’autore si avvertono la meraviglia, la gratitudine, la responsabilità
dinanzi all’essere e alla vita di cui fu testimone l’Aquinate. L’esposizione si
dipana entro un costante riferimento ai suoi testi, ampiamente citati per
offrire al lettore un appoggio di verifica e di ricerche ulteriori, e con il
ricorso a pensatori contemporanei che osservano la condizione umana. Il cammino
è necessario per distinguere il pensiero di Tommaso da quello di Aristotele.
Certamente il primo conobbe e commentò a fondo l’opus aristotelico, ma non fu
un aristotelico in più, perché oltrepassò l’aristotelismo in nuclei essenziali.
Il testo ricorda i punti su cui Tommaso segue Aristotele non meno di quelli in
cui va oltre. Da molti decenni numerosi studiosi hanno notato che la formula
“filosofia aristotelico-tomista”, a lungo in auge, emette un suono non genuino
e dovrebbe essere posta da parte.
In certo modo il nucleo
primario dell’esposizione di Savagnone riguarda il rapporto del soggetto con la
realtà: qui Tommaso non fu né un cartesiano né un hegeliano o
un’idealista ante litteram. Egli afferma il primato del piano reale
dove vivono ed operano solo gli enti reali, gli individui e le sostanze
individuali. L’Aquinate aborre dall’assumere che il piano reale sia quello
delle Idee, di modo che l’approccio alla realtà diventa essenzialmente logico.
Il reale non è una deduzione dell’idea, ma è la cosa stessa da cui si deve
partire, e il reale è composto di individui concreti. Non si può modellare il
mondo concreto sul pensiero; occorre viceversa prendere le mosse dal mondo di
vita, dagli enti che si danno e che stupiscono. Tommaso non poteva prevedere
che una parte più che consistente della filosofia moderna avrebbe preso la via
senza uscita del primato dell’idea e della deduzione dell’esistenza
dall’essenza, ossia la schematizzazione logica del Tutto. Ci ha però fornito
gli strumenti essenziali per rigettare l’identità hegeliana di Logica e di
Metafisica. Bisogna dimenticarsi di sé e delle categorie a priori quando ci si
confronta con l’oggetto. Questo è ciò che ci sta dinanzi e con cui occorre fare
i conti. Allontanare il proprio narcisismo e lasciare il campo ad un ‘puro
guardare’: nel nostro connaturale desiderio di conoscere il primato compete
perciò all’ente e all’essere che dovunque ci circondano Proprio su questi
aspetti spicca il contributo preziosissimo dell’Aquinate che contemplando le
cose e il cosmo, intende che una corrente universale di vita e di esistenza
percorre il tutto. Il suo fu un esistenzialismo metafisico: la grande scoperta
dell’atto d’essere (actus essendi) che vivifica dall’interno ogni
esistente concreto. Siamo così posti dinanzi alla questione di Dio quale esse
ipsum per se subsistens che è causa di tutto l’essere diveniente. Dio
abbraccia tutto e niente lo può abbracciare. La cultura tardo moderna e
contemporanea manifesta in genere una considerevole indifferenza verso Dio, già
notata da Nietzsche. Nella “civiltà della Tecnica” in cui siamo immersi fino al
collo, col palpabile rischio di essere da essa soverchiati, il pensiero
dell’Aquinate rappresenta l’oltrepassamento di tutte le chiusure cui spesso ci
inchiniamo e una rivendicazione della dignità umana: non siamo solo soggetti di
consumo o oggetti di manipolazione tecnica. Anche per questo la sua “filosofia
dell’essere e dell’uomo” è in potenza attiva verso il futuro. Il libro di
Savagnone lo mostra con persuasiva chiarezza.
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