un agostiniano
dopo un gesuita.
La continuità
nella discontinuità”
Prevost raccoglie l’eredità spirituale di Francesco ma sarà meno protagonista del suo predecessore.
Con la sua predicazione, il nuovo Papa contribuirà alla pace di cui il mondo ha bisogno: quella del cuore.
Di Vito Mancuso
Di cosa ha veramente bisogno la Chiesa oggi? E di cosa il
mondo? Sono queste le domande che mi pongo per valutare l’elezione del nuovo Papa. La risposta a entrambe le domande non è
difficile. La Chiesa ha bisogno di continuità e insieme di discontinuità
rispetto al papato di Francesco, e presto spiegherò in che senso; e quanto al
mondo, lo vediamo tutti di cosa ha bisogno, anzi, prima ancora, lo sentiamo,
nel nostro cuore inquieto, che esso ha bisogno di pace.
Ma
veniamo alla domanda che riguarda il mondo e il suo bisogno di pace: come
valutare da questo punto l’elezione di papa Leone? Il nome scelto a prima vista non depone
per un’azione pacifica, inutile richiamare cosa immediatamente ricorda il leone
alla mente di tutti. Ma a quanto mi ha detto un caro amico frate agostiniano,
cioè dello stesso ordine religioso del nuovo Papa su cui poi tornerò, il motivo
che ha portato Prevost a scegliere di chiamarsi Leone è la
riconoscenza verso Leone XIII (papa dal 1878 al 1903) che da bambino nel suo
paese di Carpineto Romano aveva fatto il chierichetto presso gli agostiniani e
che poi da Papa ricompensò l’ordine con una serie di benefici, tra cui, guarda
caso, la Sacrestia pontificia. Ma poi, a pensarci bene, il nome Leone non è
così fuori luogo per servire la pace perché per farlo, visto che la pace non è
semplice assenza di conflitti ma “opus iustitiae” come dice il Vaticano II, occorre
forza, coraggio, determinazione, capacità di rischiare; occorre, a pensarci
bene, un cuor di leone: forse anche per questo il nuovo Papa ha scelto di chiamarsi così? Lo vedremo,
immagino, presto.
Quello
che è sicuro è che un Papa può servire la pace del mondo principalmente in due
modi: tramite la diplomazia e tramite la parola della predicazione. Papa Leone ieri sera ha già iniziato a farlo, visto
che le sue prime parole sono state: «La pace sia con tutti voi». Non parole
personali, ma una formula liturgica, la medesima con cui inizia la Messa, a
sottolineare una significativa differenza con il «buonasera» con cui si
presentò papa Francesco e anche con le parole più confidenziali
degli altri Papi (le uniche parole personali il nuovo Papa le ha dette in spagnolo per salutare la diocesi
peruviana di Chiclayo di cui è stato vescovo, da non confondere con Chicago
dov’è nato). Papa Leone ha poi continuato il suo discorso con
parole colme di spiritualità quali «pace del cuore», «pace di Cristo risorto»,
«pace che proviene da Dio». Eccoci quindi al suo essere agostiniano.
È molto
significativo che papa Leone abbia voluto presentarsi dicendo di essere «figlio
di sant’Agostino», cioè come frate agostiniano, membro dell’Ordo Sancti
Augustini, abbreviato O.S.A., sigla che se si legge senza badare ai punti
diventa un imperativo che dà coraggio. Cosa significa essere agostiniano?
Significa avere un modo di vivere il cristianesimo improntato alla spiritualità
di sant’Agostino, così come essere francescani significa seguire la
spiritualità di Francesco d’Assisi, benedettini quella di san Benedetto e così
via per tutti i numerosi ordini religiosi maschili e femminili. Ma qual è la
specifica spiritualità dell’ordine agostiniano? La risposta ci proviene dallo
stesso motto del nuovo Papa scelto quando venne ordinato vescovo: «In illo
uno unum», espressione di Agostino che alla lettera significa: «Una sola
cosa in lui solo», laddove questo lui è Cristo e la sola cosa è la comunità dei
fratelli. Il che indica che lo specifico della spiritualità agostiniana è
l’essere pervasa da una forte tensione orizzontale per promuovere la vita
comunitaria e l’amicizia, e al contempo da un’ancora maggiore tensione
verticale perché questa unità avviene tendendo tutti insieme verso Cristo, «in
lui solo». Il che è la perfetta sintesi del cristianesimo, che è fratellanza ma
prima ancora figliolanza, che è caritas ma prima ancora imitatio
Christi.
Tornando
alla pace di cui il mondo ha bisogno, il Papa vi può contribuire anzitutto con la sua
predicazione. Il che non è affatto poco, perché la pace esteriore inizia dalla
pace interiore, la pace delle armi inizia dalla pace delle parole. E a
questo proposito, in onore del nuovo Papa, desidero concludere con una pagina delle
“Confessioni” di sant’Agostino nella quale il grande teologo e filosofo
cristiano rivolgendosi al suo Dio pone questa domanda: «Cosa amo, quando ti
amo?». Domanda profondissima, che chiunque afferma di amare Dio dovrebbe porre
a sé stesso: cosa si ama veramente quando si dice di amare “Dio”? Agostino fa
una serie di ragionamenti che qui è impossibile riportare e poi
sorprendentemente conclude: «Amando il mio Dio amo la luce dell’uomo interiore
che è in me». La più grande trascendenza la si ottiene nella più grande
immanenza, nella nostra interiorità. Il nuovo Papa, lo intuisco, vorrei dire, ne sono sicuro, contribuirà
a farci riscoprire la ricchezza che in quanto esseri umani (non importa se
credenti o no) portiamo dentro di noi, e in questo modo egli servirà alla
perfezione la pace del mondo, perché la pace del mondo è anzitutto pace del
cuore.
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