martedì 30 giugno 2020

UNITA' E PROFEZIA PER VIVERE DA CRISTIANI E FARE CRESCERE LA COMUNITÀ

Unità e profezia: sono le due parole che Papa Francesco pone al centro della sua omelia, con numerose aggiunte a braccio, nella Messa le cui Letture hanno ricordato i due apostoli celebrati oggi dalla Chiesa. Subito sottolinea la diversità tra Pietro e Paolo, il primo un semplice pescatore, l’altro un colto fariseo. E fra loro, osserva, non mancarono le discussioni animate tuttavia “ si sentivano fratelli, come in una famiglia unita, dove spesso si discute ma sempre ci si ama”. “Egli non ci ha comandato di piacerci, ma di amarci. È Lui che ci unisce, senza uniformarci, ci unisce nelle differenze”. Ma da dove nasce questa unità. Il Papa dice che la prima Lettura ce lo svela: mentre sulla Chiesa infuriava la persecuzione, ci dice che la comunità pregava. Questo assicurava l’unità perché permetteva allo Spirito Santo di intervenire e di “accorciare le distanze”
La comunità sembra decapitata, ciascuno teme per la propria vita. Eppure, in questo momento tragico nessuno si dà alla fuga, nessuno pensa a salvarsi la pelle, nessuno abbandona gli altri, ma tutti pregano insieme. Dalla preghiera attingono coraggio, dalla preghiera viene un’unità più forte di qualsiasi minaccia.
L'inutilità delle lamentele
E c’è un altro elemento importante: in quella prima comunità “nessuno si lamenta del male (...) nessuno insulta Erode. E noi siamo tanto abituati a insultare i responsabili... ”. Tempo sprecato e inutile per i cristiani, fa notare Francesco, quello passato a lamentarsi di quello che non va e prosegue:
Le lamentele non cambiano nulla. Ricordiamoci che le lamentele è la seconda porta chiusa allo Spirito Santo, come vi ho detto il giorno di Pentecoste: la prima è il narcisismo, la seconda lo scoraggiamento, la terza, il pessimismo. Il narcisismo ti porta allo specchio, a guardarti continuamente; lo scoraggiamento, alle lamentele. Il pessimismo, al buio, all’oscuro. Questi tre atteggiamenti chiudono la porta allo Spirito SantoQuei cristiani non incolpavano, ma pregavano. In quella comunità nessuno diceva: “Se Pietro fosse stato più cauto, non saremmo in questa situazione”. Nessuno. Pietro umanamente, aveva motivi di essere criticato, ma nessuno lo criticava. Non sparlavano di lui, ma pregavano per lui. Non parlavano alle spalle, ma parlavano a Dio. E noi oggi possiamo chiederci: “Custodiamo la nostra unità con la preghiera, la nostra unità nella Chiesa? Preghiamo gli uni per gli altri?”
Pregare per chi ci governa
Preghiera e non insulto: Francesco a braccio si sofferma anche sui governanti, esortando a percorrere la strada del bene, dell'unità e non quella del parlare contro: 
Chiediamo la grazia di saper pregare gli uni per gli altri. San Paolo esortava i cristiani a pregare per tutti e prima di tutto per chi governa. “Ma questo governante è…”, e i qualificativi sono tanti; io non li dirò, perché questo non è il momento né il posto per dire i qualificativi che si sentono contro i governanti. Che li giudichi Dio, ma preghiamo per i governanti! Preghiamo: hanno bisogno della preghiera. È un compito che il Signore ci affida. Lo facciamo? Oppure parliamo, insultiamo, e basta?".
La preghiera spiana la strada dell'unità
Papa Francesco si domanda “che cosa accadrebbe se si pregasse di più e si mormorasse di meno”. Anche oggi, come per Pietro quando si trovava in carcere, “tante porte che separano si aprirebbero, tante catene che paralizzano cadrebbero”. E il Papa invita a chiedere al Signore la grazia di saperlo fare e precisa:
Dio si attende che quando preghiamo ci ricordiamo anche di chi non la pensa come noi, di chi ci ha chiuso la porta in faccia, di chi fatichiamo a perdonare. Solo la preghiera scioglie le catene, solo la preghiera spiana la via all'unità….
La profezia nasce quando ci si lascia provocare da Dio: non quando si gestisce la propria tranquillità e si tiene tutto sotto controllo. Non nasce dai miei pensieri, non nasce dal mio cuore chiuso. Nasce se noi ci lasciamo provocare da Dio. Quando il Vangelo ribalta le certezze, scaturisce la profezia. Solo chi si apre alle sorprese di Dio diventa profeta.
Abbiamo bisogno della profezia, ma di quella vera
Francesco guarda all’oggi e afferma che anche in questi tempi c’è bisogno di profezia e “non di parolai”, c’è bisogno di testimoniare “che il Vangelo è possibile”.
Non servono manifestazioni miracolose, ma vite che manifestano il miracolo dell’amore di Dio. Non potenza, ma coerenza. Non parole, ma preghiera. Non proclami, ma servizio. Tu vuoi una Chiesa profetica? Comincia a servire, stai zitto. Non teoria, ma testimonianza. Non abbiamo bisogno di essere ricchi, ma di amare i poveri; non di guadagnare per noi, ma di spenderci per gli altri; non del consenso del mondo, quello è stare bene con tutti: da noi si dice:"stare bene con Dio e con il diavolo"... stare bene con tutti. Non questo non è profezia. Ma abbiamo bisogno della gioia per il mondo che verrà; non di progetti pastorali, questi progetti che sembrano avere la propria efficienza, come se fosSero dei sacramenti, progetti pastorali efficienti: no, ma abbiamo bisogno di pastori che offrono la vita: di innamorati di Dio.
Avere il coraggio di essere costruttori di unità
Così sono stati Pietro e Paolo che hanno annunciato Gesù fino a dare la vita. E’ questa la profezia che cambia la storia. E Papa Francesco ricorda che tutti i fedeli sono chiamati a diventare “pietre vive con cui costruire una Chiesa e un’umanità rinnovate” e conclude: 
C’è sempre chi distrugge l’unità e chi spegne la profezia, ma il Signore crede in noi e chiede a te: “Tu, tu, tu, vuoi essere costruttore di unità? Vuoi essere profeta del mio cielo sulla terra?”. Fratelli e sorelle lasciamoci provocare da Gesù e troviamo il coraggio di dirgli: “Sì, lo voglio!”.


lunedì 29 giugno 2020

NARCISISMO, LAMENTELE, PESSIMISMO E SCORAGGIAMENTO CHIUDONO LA PORTA ALLO SPIRITO SANTO

"....  L’unità è un principio che si attiva con la preghiera, perché la preghiera permette allo Spirito Santo di intervenire, di aprire alla speranza, di accorciare le distanze, di tenerci insieme nelle difficoltà.
....... Ricordiamoci che le lamentele sono la seconda porta chiusa allo Spirito Santo, come vi ho detto il giorno di Pentecoste: la prima è il narcisismo, la seconda lo scoraggiamento, la terza il pessimismo.
 Il narcisismo ti porta allo specchio, a guardarti continuamente; lo scoraggiamento, alle lamentele; il pessimismo, al buio, all’oscurità. 
Questi tre atteggiamenti chiudono la porta allo Spirito Santo. Quei cristiani non incolpavano ma pregavano. In quella comunità nessuno diceva: “Se Pietro fosse stato più cauto, non saremmo in questa situazione”. 
Nessuno. Pietro, umanamente, aveva motivi di essere criticato, ma nessuno lo criticava. Non sparlavano di lui, ma pregavano per lui. Non parlavano alle spalle, ma parlavano a Dio. E noi oggi possiamo chiederci: “Custodiamo la nostra unità con la preghiera, la nostra unità della Chiesa? Preghiamo gli uni per gli altri?”. 
Che cosa accadrebbe se si pregasse di più e si mormorasse di meno, con la lingua un po’ tranquillizzata? Quello che successe a Pietro in carcere: come allora, tante porte che separano si aprirebbero, tante catene che paralizzano cadrebbero. 
E noi saremmo meravigliati, come quella ragazza che, vedendo Pietro alla porta, non riusciva ad aprire, ma corse dentro, stupita per la gioia di vedere Pietro (cfr At 12,10-17). Chiediamo la grazia di saper pregare gli uni per gli altri .... "

Papa Francesco


PROGETTO "BASI APERTE" -PARCO REGIONALE VALLE DEL TREIA

Nell'ambito del progetto "Basi Aperte", promosso dall'AGESCI e coordinato dal capo scout Sergio Cametti, gli alunni della  classe terza C dell'Istituto Comprensivo "Piazza De Cupis" di Roma hanno esplorato i sentieri della Valle del Treia.
Il video presenta un'interessante attività educativa che fa interagire dinamicamente le diverse discipline scolastiche e sviluppa competenze esplorative e riflessive.

https://www.youtube.com/watch?v=bopYDt7mhoM&feature=youtu.be

LOCKDOWN ? E SE LO DICESSIMO IN ITALIANO?


domenica 28 giugno 2020

CHI ACCOGLIE VOI ACCOGLIE ME

Vangelo

Mt 10, 37-42
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: "Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me.
Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà.
Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.
Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto.
E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa".

Commento di don Federico Bareggi, AE AIMC  di Saronno



sabato 27 giugno 2020

LA MINISTRA AZZOLINA SCRIVE ALLA COMUNITÀ' SCOLASTICA

LETTERA ALLA COMUNITÀ SCOLASTICA PER LA RIAPERTURA DELLE SCUOLE A SETTEMBRE


L’emergenza sanitaria che il Paese ha attraversato in questi mesi e che ancora non ha terminato di dispiegare i propri effetti ha inciso profondamente sulla vita di tutti. Otto milioni di studentesse e di studenti hanno dovuto lasciare le loro aule, ex abrupto, per vivere una scuola diversa, una scuola da casa. Non era mai successo prima. Grazie allo sforzo dei docenti, dei dirigenti scolastici, del personale ATA, di tanti dipendenti dell’Amministrazione ministeriale, centrale e territoriale, delle famiglie, che hanno dato un grande contributo, la scuola non li ha mai lasciati soli, non si è fermata. La comunità scolastica ha mostrato di essere un tessuto vivo e reattivo. In poche settimane, infatti, il sistema di istruzione italiano ha reagito, ha affrontato una crisi senza precedenti mettendo in piedi quasi da zero - perché praticamente da zero siamo partiti, anche a causa dei cronici ritardi del nostro Paese nei processi di formazione e digitalizzazione - la propria risposta in termini di didattica digitale a distanza. Con una rinnovata collaborazione fra Ministero dell’Istruzione e RAI sono stati messi a disposizione contenuti televisivi e programmi dedicati, anche in diretta, per integrare l’offerta. Un lavoro che non era mai stato fatto prima e che resterà anche per il futuro, anzi andrà implementato. Un patrimonio di esperienze e competenze di cui andare fieri e da non disperdere assolutamente: rappresenta un’eredità importante per il futuro. 


SCUOLA. I MINISTRI DI IERI E DI OGGI


UNA GOCCIA NEL MARE

-           di Giuseppe Savagnone
-           
Che la ministra Azzolina non fosse destinata a rimanere negli annali della scuola italiana come una figura luminosa, lo si era già capito da vari indizi. Era il suo il curriculum più adatto per il ministero della Pubblica Istruzione in un governo che, a detta del premier, era intenzionato a promuovere un “nuovo umanesimo”?
Ma, a dire il vero, poco chiara è anche la motivazione che, nel governo precedente a questo, ha spinto alla nomina – in un ruolo svolto in passato da personalità come Aldo Moro, Oscar Luigi Scalfaro, Giovanni Spadolini, Sergio Mattarella, Tullio De Mauro – di Marco Bussetti (quello che ha censurato la professoressa perché non ha impedito ai suoi alunni di accusare Salvini di razzismo) o, nel governo Gentiloni, di Valeria Fedeli, rispettabilissima sindacalista, ma priva di un titolo propriamente scolastico.
Si potrà dire che un ministro non deve necessariamente essere un competente del settore a lui affidato, perché la sua funzione non è tecnica, ma politica. Giusto. Ma se si deve scegliere, come titolare del ministero dell’Economia, tra Mario Draghi e Franco Battiato, forse sarebbe più logico puntare sul primo… Senza dire che i nostri ultimi ministri dell’Istruzione non erano comunque, nel loro campo, quello che Franco Battiato è nel suo.
Il rituale del capro espiatorio
Ho precisato tutto questo per evitare equivoci sulla mia valutazione di fondo del nostro attuale ministro. Detto ciò, dico francamente che il fiume di indignate proteste che si sono scatenate da tutte le parti contro la Azzolina hanno lo stesso significato che aveva, nell’Antico Testamento, la solenne maledizione pronunciata dal sommo Sacerdote sopra un capro, detto “espiatorio”, che veniva simbolicamente caricato di tutte le colpe del popolo e poi mandato a morire nel deserto. Una liturgia tanto coinvolgente quanto ipocrita, che serviva soprattutto a esorcizzare, proiettandole su un povero animale, le reali responsabilità umane.
La Azzolina è diventata il capro espiatorio che professori, studenti, sindacati, forze politiche, fanno a gara nel massacrare con sadica soddisfazione. È vero, il piano che ha presentato scarica disinvoltamente sui dirigenti scolastici tutte le responsabilità, senza garantire loro i mezzi per far fronte ai problemi. Ma, come la sventurata ha cercato di spiegare, non è certo lei che può decidere quante e quali risorse destinare all’emergenza. I soldi per la scuola, in Italia, non si sono mai trovati, e meno che mai in questo momento. I ministri della Pubblica Istruzione, di fronte ai netti dinieghi dei loro colleghi dell’Economia, si sono sempre trovati a scegliere tra le dimissioni (come ha fatto il predecessore dell’Azzolina, Fioravanti) e il far buon viso a cattivo gioco, adattandosi a “fare le nozze con i fichi secchi”.
Su questa seconda via, si può anche esagerare, come ha fatto Mariastella Gelmini, ministro della Pubblica Istruzione, nel quarto governo Berlusconi, dal maggio 2008 al novembre 2011 che, di fronte alla stretta imposta dal ministro Tremonti, invece di limitarsi a piangere nottetempo e a sorridere alla stampa, ha avuto la faccia di bronzo di gabellare i tagli devastanti imposti al sistema scolastico come una «riforma epocale».
La distruzione della scuola è cominciata prima
Leggo su tutti i giornali – con particolare sarcasmo e accanimento su quelli di destra – che la ministra attuale sta distruggendo la scuola italiana. Non ne è in grado. Comunque l’hanno già fatto altri. Come, appunto, la Gelmini, che ha accorpato alla cieca scuole, classi, uffici, massacrando la continuità didattica e l’efficienza gestionale (ci sono stati dirigenti incaricati di governare  istituti che distavano tra loro decine di chilometri…).
La selezione demonizzata
Questo l’ha fatto un governo di destra. Ma la “distruzione” della nostra scuola ha radici ancora più antiche. Senza minimizzare il ruolo notevolissimo di Berlusconi, con l’appoggio della Lega (che faceva parte del governo in cui la Gelmini era ministro), si deve riconoscere che la sinistra non è stata da meno. E le proteste di oggi sono forse un modo per eludere un esame di coscienza che risulterebbe troppo doloroso.
Perché, risalendo indietro nel tempo, dovrebbe cominciare ricordando l’appoggio indiscriminato alla protesta sessantottina, che aveva sicuramente degli aspetti positivi, ma nascondeva anche dei veleni di cui soprattutto la scuola ha poi scontato gli effetti remoti. Basti pensare alla lotta contro ogni forma di selezione proprio nell’ambito scolastico. Giustissima se rivolta contro quella economico-sociale , di cui erano vittima i ragazzi poveri. Assurda se generalizzata e trasformata in una rivendicazione del “6 politico”, grazie a cui il diritto allo studio, che era il senso profondo della prima, veniva trasformato nel diritto a non studiare, ampiamente confermato poi dal sistema dei “debiti” che nessuno era tenuto veramente a saldare.
Anche quella dei docenti
La demonizzazione della selezione non è stata fatta, peraltro, solo nei confronti degli studenti, ma anche dei professori. Ricordo ancora, agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso, i volantini dei sindacati confederali della scuola dove si rivendicava il diritto alla promozione automatica per tutti i partecipanti ai corsi abilitanti, accusando chi (come il sottoscritto) distingueva l’ingiusta selezione economico-sociale dei candidati dalla necessaria selezione culturale, chiedendo una verifica seria della competenza dei futuri docenti, di essere una minaccia per i lavoratori. E, dal loro punto di vista, che era quello meramente occupazionale, avevano pure ragione, perché l’abilitazione era importante per il lavoro. Ma era solo questa l’ottica da cui guardare la scuola?
La svalutazione della dimensione culturale
Di fatto, in tutti questi anni i sindacati, pur con i loro indubbi meriti nella difesa dei diritti e del trattamento economico del personale, hanno guardato all’istituzione scolastica più sotto il profilo delle assunzioni e del livello retributivo che sotto quello della qualità culturale. Assecondati peraltro da una classe politica che cercava soprattutto di tenerli buoni. Ricordo ancora di aver chiesto al ministro De Mauro, in una intervista che gli feci a Roma per «Avvenire», se non era il caso di prevedere un anno sabbatico per consentire ai docenti di studiare. Uomo mitissimo, a quella domanda quasi si arrabbiò. «Ma lei vuole che il governo proponga una cosa che neppure i sindacati ci chiedono?».
Alla base di tutto, c’è stato un cambiamento della società
Ma non sarebbe neppure giusto scaricare sui sindacati, (a cui peraltro deve andare, per altri versi, la nostra gratitudine) e sulla politica (a cui ne dobbiamo molto meno), le responsabilità del declino della scuola. È stato un profondo cambiamento di tutta la nostra società a far sì che, rispetto agli anni Cinquanta e Sessanta – in cui il corpo insegnante doveva accontentarsi, dal punto di vista economico, di vacche magre, ma in compenso godeva di un notevole prestigio sociale –, oggi si parli spesso dei docenti con disprezzo, trattandoli anche fisicamente come inservienti invece che come “maestri” di cultura e di umanità.
Alla base di questo c’è stato l’avvento selvaggio del consumismo, che ha trasformato anche la cultura in una funzione economica e ha spinto a valutarla in questi termini. In questa logica, l’insegnamento era in partenza destinato a diventare un lavoro di serie B, e chi lo svolge a contare poco o nulla. A questo punto, se già prima la qualità culturale era poco considerata dalla politica, ora essa non ha più alcun peso. Non per nulla da tempo sono stati sospesi i concorsi, che in passato garantivano la selezione, favorendo l’inserimento giovani preparati ed entusiasti nel corpo docente.
Per una scuola davvero democratica
È il prezzo di una scuola democratica? Non credo. La vecchia scuola elitaria doveva essere superata, ma per dare a tutti quello che prima si dava a pochi. Così, invece, si rischia di non dare più quasi niente a nessuno. Meno male che ci sono ancora degli insegnanti motivati e coraggiosi – ne conosco personalmente parecchi – che non si lasciano scoraggiare da questa deriva del sistema!
No, non sarà certo migliorando il piano fallimentare della Azzolina che risolveremo i problemi di fondo della nostra scuola. Per quelli, non è un singolo ministro che può cambiare le cose. Neppure la classe politica e la dirigenza sindacale nel loro insieme. Perché esse sono, a loro volta, espressione di una cultura diffusa, che ha creato una scala di valori in cui il sistema d’istruzione ha un posto irrimediabilmente secondario. Forse la sola possibilità di costruire una scuola veramente democratica è in un lavoro di rieducazione dell’opinione pubblica, che richiede tempo e sacrifici da parte di chi ha coscienza dei problemi. In fondo È quello che ho cercato di fare in questo articolo. Una goccia nel mare, lo so. Ma il mare è fatto di gocce.






DIRETTORIO PONTIFICIO PER LA CATECHESI: UN NUOVO IMPULSO PER LE ASOCIAZIONI


Il presidente di Rinnovamento nello Spirito Santo e consultore del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione definisce il documento una ‘magna charta’ per le nuove sfide del Terzo Millennio: “Rivela una pedagogia adeguata alle esigenze del nostro tempo”



di Federico Piana- Città del Vaticano



Espressione chiara del magistero di Papa Francesco. Salvatore Martinez, presidente del Rinnovamento nello Spirito Santo e consultore del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, utilizza questa definizione per commentare il nuovo Direttorio per la catechesi pubblicato nei giorni scorsi. Il documento - che sottolinea anche l’urgenza dell’impegno di ogni battezzato per la diffusione del Vangelo utilizzando tre principi basilari: la misericordia, il dialogo e la testimonianza- per Martinez è “una sistematizzazione del pensiero del Pontefice e la riproposizione del suo magistero testimoniale”.

Perché, presidente?

R.- Perché in modo puntuale, dinamico e fattuale vengono indicate le grandi sfide della nuova evangelizzazione del Terzo Millennio. Il Direttorio è anche una sorta di sintassi teologica, ecclesiale, del vocabolario proprio di Papa Francesco. E rivela anche una pedagogia adeguata alle esigenze del nostro tempo, alle sfide più marcate: in sostanza, dà un orientamento, uno slancio, alla fede.

In questo documento lei intravede alcune macro-direzioni da intraprendere…

R.- Intanto, il grande tema dell’incarnazione della fede. La fede è vita e lo è in questo secolo, all’inizio di un nuovo millennio. Poi l’inculturazione della fede. Cioè, il dialogo con le culture, le tendenze, le linee di pensiero attuali. Terzo, il tema della cultura del dialogo, dell’incontro, così caro a Papa Francesco. Tutto ciò è ben posto, con un linguaggio comprensibile e sintetizza il magistero papale a partire dall’esortazione apostolica Evangelii Gaudium.

Il testo ricorda che spetta ad ogni battezzato la responsabilità di diffondere il Vangelo con nuove forme comunicative. Un passaggio importante, oggi?

R.- Certamente. Esistono dei contesti generali che forse fino a ieri abbiamo definito virtuali, come il mondo digitale o la globalizzazione. Il magistero pone attenzione a quelli che sono i contesti vitali in cui tutto accade, cioè dove gli uomini e le donne consumano la propria vita, dove gli uomini e le donne hanno bisogno del Vangelo, di Cristo. Il Direttorio ci ricorda che non si fa evangelizzazione solo per i sacramenti: è vera catechesi non soltanto se essa propone l’incontro con Gesù ma se ci rende capaci di generare, di parlare e di portare Cristo. E’ il grande rapporto che esiste tra formazione ed evangelizzazione.

Il Direttorio mette anche in evidenza che la famiglia è strumento essenziale, imprescindibile potremmo dire, per la catechesi.

R.- E’ il soggetto primario. Si ricorda, in modo opportuno, che è soggetto attivo di evangelizzazione. La famiglia non è solo oggetto di catechesi ma è il luogo nel quale si trasmette e si vive la fede e ci si prepara a testimoniarla. Il Vangelo nasce nella famiglia. Il Direttorio pone anche il tema del rapporto intergenerazionale e suggerisce una catechesi che sia pensata perché ci sia una nuova attorialità che parta dai bambini e arrivi fino agli anziani.

Poi c’è un passaggio del testo che riguarda le parrocchie, le associazioni ed i movimenti ecclesiali, delle scuole cattoliche. Che giudizio ne dà?

R.- I movimenti e le associazioni hanno bisogno di ricevere un nuovo impulso. Nella sfida della nuova evangelizzazione non c’è dubbio che essi abbiano un ruolo preponderante. E’ importante che il Direttorio, sotto il profilo teologico-pastorale, ribadisca la collocazione dei movimenti ecclesiali nelle chiese particolari per poi mettersi in dialogo con il mondo. I movimenti sono fatti da laici e nel mondo spetta a loro testimoniare il Vangelo anche con quelle pedagogie educative di rinnovamento legate ai tanti carismi elargiti dallo Spirito Santo.







venerdì 26 giugno 2020

ABUSO DI DROGHE: PROBLEMA UMANO E SOCIALE


Giornata internazionale contro l’abuso di droghe
 e il traffico illecito 
 Papa Francesco: “Trafficanti di morte”

 “[…] La droga, come già più volte sottolineato, è una ferita nella nostra società, che intrappola molte persone nelle sue reti. Sono vittime che hanno perso la loro libertà in cambio di questa schiavitù, di una dipendenza che possiamo definire chimica”, così Papa Francesco nel discorso ai partecipanti alla conferenza internazionale sul tema “droghe e dipendenze: un ostacolo allo sviluppo umano integrale” (1°dicembre 2018).
“L’uso della droga causa gravissimi danni alla salute, alla vita umana e alla società, voi lo sapete bene. Tutti siamo chiamati a contrastare la produzione, l’elaborazione e la distribuzione della droga nel mondo. È dovere e compito dei governi affrontare con coraggio questa lotta contro i trafficanti di morte. Trafficanti di morte: non dobbiamo avere paura di dare questa qualifica. Un ambito sempre più rischioso si sta rivelando lo spazio virtuale: in alcuni siti di Internet, i giovani, e non solo, vengono adescati e trascinati in una schiavitù dalla quale è difficile liberarsi e che conduce alla perdita del senso della vita e a volte della vita stessa. Di fronte a questo scenario preoccupante, la Chiesa sente come urgente il bisogno di instaurare nel mondo contemporaneo una forma di umanesimo che riporti al centro del discorso socio-economico-culturale la persona umana; un umanesimo che ha quale fondamento il “Vangelo della Misericordia”. A partire da esso, i discepoli di Gesù trovano ispirazione per attuare un’azione pastorale veramente efficace al fine di alleviare, curare e guarire le tante sofferenze legate alle multiformi dipendenze presenti sulla scena umana.
La Chiesa, unitamente alle istituzioni civili, nazionali e internazionali, e alle diverse agenzie educative, è fattivamente impegnata in ogni parte del mondo per contrastare il diffondersi delle dipendenze mobilitando le proprie energie sulla prevenzione, la cura, la riabilitazione e sui progetti di reinserimento per restituire dignità a coloro che ne sono stati privati. Per vincere le dipendenze è necessario un impegno sinergico, che coinvolga le diverse realtà presenti sul territorio nell’attuare programmi sociali orientati alla salute, al sostegno familiare e soprattutto all’educazione. In questa prospettiva, mi unisco agli auspici che avete formulato nella vostra Conferenza, affinché vi sia un maggiore coordinamento delle politiche antidroga e anti-dipendenze – non servono politiche isolate: è un problema umano, è un problema sociale, tutto dev’essere collegato – creando reti di solidarietà e prossimità nei confronti di coloro che sono segnati da queste patologie. […]”


Abuso di droghe: “È un problema umano, è un problema sociale”
Comunicato Stampa della Comunità Papa Giovanni XXIII

«Con la chiusura delle scuole a causa della pandemia, i ragazzi sono rimasti più soli ed esposti ai pericoli del web, divenuto oggi il luogo in cui incontrano, conoscono e comprano sostanze stupefacenti di ogni genere. Mentre in Parlamento si raccolgono firme per rendere più florido il mercato della droga, soffocando così la libertà di tanti ragazzi con nuove forme di schiavitù, il nostro grido di allarme è per una strategia di prevenzione educativa sempre più dimenticata». Giovanni Paolo Ramonda, Presidente della Papa Giovanni XXIII, spiega la preoccupazione della Comunità in occasione della Giornata mondiale della Lotta alla droga del 26 giugno.
«Ormai sono chiare le gravi conseguenze che pandemia e lockdown stanno recando: aumento del livello di stress, aggressività e disturbi del sonno. – continua Ramonda – A questo si aggiunge la sovraesposizione alla rete e le dipendenze comportamentali ad essa legate. Con la conseguenza che stanno cambiando modalità e stili di consumo e approvvigionamento delle droghe. Oggi l’attività di spaccio si è trasferita dalla strada al dark web e ai social network. Chiediamo al Governo e a tutti coloro che hanno responsabilità educative nei confronti delle giovani generazioni, dei loro bisogni educativi, dei loro diritti, della loro dignità di investire nella prevenzione».
La Comunità Papa Giovanni XXIII ha aperto 40 anni fa la prima Comunità terapeutica per il recupero delle persone con dipendenze patologiche. Oggi gestisce 34 Comunità Terapeutiche – 22 in Italia e 12 all’estero – in cui sono accolte oltre 300 persone.


SCUOLA. LINEE GUIDA NUOVO ANNO SCOLASTICO


“A settembre si torna a scuola in presenza e in sicurezza” lo ha detto oggi la Ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, presentando le Linee guida per la ripresa insieme al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Il testo ha avuto il via libera, questo pomeriggio, anche da parte delle Regioni e degli Enti locali, è immediatamente operativo e verrà ora diramato alle istituzioni scolastiche.

“Le Linee guida sono il frutto di un lungo confronto e di una condivisione con gli attori del mondo della scuola, comprese famiglie e studenti, con le Regioni, gli Enti locali, e ci consentono di fare un lavoro che non guarda solo alla riapertura, ma anche al futuro della scuola. Abbiamo le risorse economiche, gli strumenti, possiamo far sì che la ripartenza sia anche volano di innovazione”, ha aggiunto la Ministra.
“Stiamo dando soluzioni chiare, ma flessibili: ogni scuola è strutturalmente diversa dall’altra, dobbiamo tenerne conto”, ha detto ancora Azzolina. Confermato, durante la conferenza stampa, un miliardo in più per la ripartenza, che consentirà, fra l’altro, di avere un maggiore organico per evitare classi sovraffollate. “Saremo in grado di avere fra docenti e personale ATA 50mila persone in più”, ha anticipato la Ministra.
Una cabina di regia nazionale con compiti di coordinamento e tavoli regionali, insediati presso gli Uffici territoriali del Ministero dell’Istruzione, guideranno le scuole verso la ripresa. Ai gruppi di lavoro parteciperanno i rappresentanti degli Enti locali. Una governance pensata per affiancare i dirigenti scolastici e facilitare le risposte alle loro esigenze. La Ministra Azzolina a partire dalla prossima settimana andrà nelle diverse regioni per partecipare ai tavoli e monitorare l’andamento dei lavori.
Le date di riapertura
Dal primo settembre le scuole riapriranno per il recupero degli apprendimenti delle studentesse e degli studenti che non hanno raggiunto la sufficienza alla fine dell’anno scolastico appena concluso e di tutti gli alunni che i docenti vorranno far partecipare in base alle esigenze della loro classe. Dal 14 settembre cominceranno le lezioni.
Scuole igienizzate e in sicurezza
Le scuole saranno pulite costantemente e ci saranno prodotti igienizzanti, saponi e tutto quanto servirà per assicurare la sicurezza di alunne e alunni e del personale. Per questo scopo sono già stati erogati alle istituzioni scolastiche 331 milioni che potranno essere utilizzati anche per piccoli interventi di manutenzione e arredi innovativi.
Più spazi per la scuola
La scuola che inizierà settembre, per rispettare il distanziamento previsto ad oggi dal Comitato tecnico-scientifico (1 metro di distanza fra le “rime buccali degli alunni”), avrà bisogno di più spazi. Il Ministero ha messo a punto in queste settimane un ‘cruscotto’, un sistema informatico che incrocia i dati relativi a aule, laboratori, palestre disponibili con il dato delle studentesse e degli studenti e la distanza da tenere. Questo strumento consentirà di individuare, comune per comune, scuola per scuola, le priorità di intervento e gli alunni a cui sarà necessario trovare nuovi spazi in collaborazione con gli Enti locali. Uno strumento rapido per poter agire chirurgicamente sulle situazioni più complesse. Secondo i dati dell’Anagrafe dell’edilizia scolastica ci sono poi circa 3mila edifici scolastici dismessi che possono essere recuperati. Si useranno anche spazi esterni, attraverso patti con il territorio, per una didattica che possa svolgersi anche nei musei, negli archivi storici, nei teatri, nei parchi.
Più didattica laboratoriale e flessibilità
Le linee guida sollecitano una didattica meno frontale e più laboratoriale, in piccoli gruppi e non necessariamente in classe, ma anche in spazi diversi per coniugare la necessità di distanziamento con l’innovazione. Sarà favorito l’acquisto di nuovi arredi, come i banchi singoli di nuova generazione che consentono una didattica più collaborativa. La didattica digitale potrà essere integrata con quella in presenza ma solo in via complementare nella scuola secondaria di II grado.
Priorità a infanzia e alunni con disabilità
Nel lavoro che sarà fatto dalle scuole e ai tavoli regionali massima priorità sarà data ai più piccoli, che più di tutti hanno sofferta la chiusura della scuola in questi mesi e agli alunni con disabilità.

Formazione del personale e informazione
Il personale sarà formato sui temi della sicurezza e anche sulle nuove tecnologie per non disperdere il lavoro fatto durante la chiusura delle scuole per l’emergenza. Ci sarà una campagna informativa sui comportamenti responsabili da tenere che coinvolgerà anche genitori e studenti.
Il Comitato tecnico-scientifico
Le indicazioni su distanziamento, mascherine, misure di igiene sono contenute nei documenti elaborati dal Comitato Tecnico-Scientifico allegati alle Linee guida per le scuole. I documenti saranno aggiornati periodicamente. Il Comitato si è già riservato la possibilità di rivalutare a ridosso della ripresa scolastica la necessità dell’obbligo di mascherina, sulla base dei dati del contagio che via via emergeranno.


Documenti Allegati :




UN SASSO RACCONTA ....... Una sfida alla creatività di ciascuno



Andando per il bosco mi soffermai, per stanchezza e curiosità, accanto a questo strano sasso.

 Lo osservai attentamente. 

L’imminente tramonto e la fascinosa quiete favorì la sonnolenza.

E fu allora che il sasso mi parlò e mi raccontò la sua storia; una storia in cui mistero, magia, metafora,  memoria e futuro, sogno e realtà si intrecciavano ......

Continuate voi (se lo riterrete opportuno coinvolgete anche qualche ragazzo o amico, o fatelo in gruppo con altri colleghi).
Inviate il vostro scritto (magari corredato da qualche disegno) a



Basta una pagina in formato word, con il nome o lo pseudonimo dell’autore/autrice.
Fatelo al più presto possibile.

Raccoglieremo i racconti in un fascicolo informatico che invieremo a tutti i partecipanti all’iniziativa.


Grazie


LA PAROLA, LA VITA, GLI SMARRIMENTI


Uno sguardo sul nostro tempo e le sue emergenze partendo dalla lettura dei classici e dei testi biblici. Un estratto dall’ultimo libro di Ivano Dionigi che trae linfa dalla rubrica “Tu quis es” redatta per Avvenire.

Il libro / Interpretare i problemi dell’oggi con gli occhi esperti dell’antichità

Con la prefazione del cardinale Gianfranco Ravasi e un’ampia premessa dello stesso autore (dalla quale abbiamo tratto il significativo stralcio che introduce i testi qui anticipati), Raffaello Cortina manda in libreria Parole che allungano la vita. Pensieri per il nostro tempo, il libro di Ivano Dionigi (pagine 112, euro 12,00) che raccoglie, con l’aggiunta di inediti, i brani pubblicati fra gennaio e marzo 2020 su “Avvenire” nella rubrica di prima pagina “Tu quis es”. Uno sguardo sulla quotidianità, nei giorni che in Italia e in Europa hanno aperto la crisi della pandemia, attraverso l’esperienza della classici greci e latini.


di IVANO DIONIGI

La parola, lógos per i Greci, verbum per i Latini, è il miracolo per cui l’uomo da creatura diventa creatore: essa può affascinare ( delectare), insegnare ( docere), mobilitare le coscienze ( movere). La parola può unire e dividere, consolare e affannare, salvare e uccidere. Non solo custodisce e veicola il pensiero, ma lo genera. La Parola divina, quel Logos con cui si aprono l’Antico e il Nuovo Testamento: la Genesi («In principio Dio disse») e il Vangelo di Giovanni («In principio era la Parola»). Il lógos di Eraclito: «così profondo che della sua anima, per quanto tu possa camminare e neppure percorrendo intera la via, mai potresti trovare i confini». La parola che con Gorgia tutto può: «spegnere la paura, eliminare la sofferenza, alimentare la gioia, accrescere la compassione ». La parola della “democratica” Atene, che uccise Socrate prima e più della cicuta. La parola che, usata male, secondo Platone oltre a essere una cosa brutta in sé fa male anche all’anima. La parola che con Aristotele ci caratterizza come uomini distinguendoci dagli animali. La parola che con Cicerone salva la res publica, se prerogativa degli eloquentes e sapientes; la manda in rovina, se prerogativa dei disertissimi homines, i demagoghi. La parola della ragione di Lucrezio, l’arma più efficace per debellare i nemici interiori della cupido e del timor.
La parola terapeutica di Seneca che interiorizza e consola. La parola che con l’apostolo Giacomo ora benedice ora maledice. La parola che con Elias Canetti si fa antidoto alla guerra. La parola che con don Milani diviene «la chiave fatata che apre ogni porta». La parola che con Mario Luzi «vola alta» e profonda, e «tocca nadir e zenith».
Questa parola oggi non gode di buona salute: ridotta a chiacchiera e barattata come merce qualunque, ci chiede di abbassare il volume, di ricongiungerla alle cose, di imboccare la strada del rigore. Soprattutto in questo tempo di calamità, in cui ci apprestiamo a un lungo esodo e alla traversata del deserto, le parole note suonano inadeguate se non improprie. Abbiamo bisogno di parole nuove per nominare questo presente imprevisto, inaudito, alieno. Uguale, eppure così frantumato; estraneo, eppure così invadente attorno a noi e dentro di noi.
Orfeo e Euridice
A Orfeo è concesso di riportare la dolce sposa dall’Ade sulla terra a patto di non girarsi a guardarla. Ma, racconta Virgilio ( Georgiche, 4, 485 sgg.), lo sprovveduto amante uscendo dagli Inferi viene preso dalla follia d’amore e viola i patti ( rupta foedera): «Quale furia d’amore ha portato me misera, ha portato te Orfeo, alla perdizione? » (4, 494 sg.: Quis et me [...] miseram et te perdidit, Orpheu, / quis tantus furor?), grida Euridice quando Orfeo si volta a guardarla. «Muto e impaziente» Orfeo, «mite nella sua pazienza» Euridice, dirà Rilke. Non è forse vero che non bisogna amarla troppo questa vita per non perderla? Come non è forse vero che non bisogna attaccarsi troppo a una persona per non soffocarla? Se non sopportiamo il peso della privazione, il prezzo dell’attesa, il páthos della distanza, perdiamo coloro che amiamo e perdiamo noi stessi. Restiamo agli Inferi: nell’Inferno della nostra identità. Questa favola vale per la scuola come per la vita. Penso al nostro modo di leggere i classici, oscillante fra due estremi malsani: o non cogliamo le interrogazioni dei testi e li consideriamo come fossili, muti, inanimati, cadaverici, oppure vi sovrapponiamo le nostre domande e li riduciamo a pretesti per le nostre ragioni. Non abbiamo forse pietrificato i classici tutte le volte che, affetti da miopia e incapaci di resistere all’impazienza e all’illusione del possesso, abbiamo anteposto le ragioni della vicinanza e della presenza, incuranti di ogni distanza passata e futura?
Parole per noi
Negata anche la pietas: non si può abbracciare né chi nasce né chi muore. Catastrofe, inferno, tragedia sono le parole giuste per questi giorni. Va pensata la genesi dopo l’apocalisse: la scienza medica deve curare e guarire, la politica provvedere e prevedere, con l’auspicio che i tanti eurobond siano affiancati da altrettanti neurobond. Avremo bisogno di Mosè, di tanti Mosè che ci guidino nella traversata del deserto. Non è l’ora delle nostre parole che suonano inutili o inopportune. Altro timbro possiedono le parole di coloro che hanno scritto per noi e di noi, che resistono al tempo e alle mode. Ci ricordano con il Prometeo di Eschilo e l’Antigone di Sofocle che l’uomo ha posto rimedio a tutti i mali ma non al suo destino mortale; con il Platone della Repubblica, che non si possono privatizzare i beni materiali ma neppure i sentimenti quali la gioia e il dolore, e che nella città al vertice dell’istruzione deve sedere il migliore; con l’Aristotele della Politica, che l’uomo dotato di norme civili e di senso del giusto è la migliore delle creature; con Lucrezio, che solo la scienza può rimuovere la paura, frutto dell’ignoranza e causa di tutti i mali; con Virgilio, che i vecchi valgono non meno dei giovani; con Seneca, che è cosa diversa vivere ( vivere) dallo stare al mondo ( esse); con Marco Aurelio, che ognuno di noi vale quanto la causa per cui lotta; con Agostino, che la qualità dei tempi dipende da quella degli uomini ( Sermoni, 80, 8: Nos sumus tempora: quales sumus, talia sunt tempora).
Lucrezio lo aveva detto
La storia ama non solo sorprendere ma anche ripetersi. Si vada alla peste di Atene (430 a.C.) descritta da Lucrezio nel finale del suo poema: vi si troveranno consonanze raggelanti con i nostri giorni. Sotto scacco, la medicina allora mostrava tutta la sua incertezza e impotenza: silenziosa e timorosa esitava e balbettava (6, 1179: Mussabat tacito medicina timore).
Parimenti disarmata e svilita la religione (vv. 1276–1277: Nec iam religio divum nec numina magni / pendebantur): i templi stipati di cadaveri accatastati (vv. 1272–1273: omnia sancta deum delubra replerat / corporibus mors) e impediti in città perfino i riti della sepoltura (v. 1278: nec mos ille sepulturae remanebat in urbe).
Anche la pietà parentale era messa a dura prova: quanti erano accorsi al capezzale dei loro cari, incorrevano nel contagio (v. 1243: Qui fuerant autem praesto, contagibus ibant) e quanti si rifiutavano di portare soccorso morivano soli e abbandonati (vv. 1239 sgg.: Nam quicumque suos fugitabant visere ad aegros / [...] / poenibat [...] / desertos, opis expertis, incuria mactans). Con i nostri occhi li abbiamo visti i medici supplire con la compassione alla carenza di terapie; le abbiamo viste le chiese diventate cimiteri, piazza San Pietro deserta e il Papa, solo, a testimoniare non la potenza del rito ma la passione della croce; li abbiamo visti negli ospedali i mariti separati dalle mogli, i fratelli dai fratelli, gli amici dagli amici. E morire senza potere prendersi la mano e neppure salutarsi.
Un uomo, tutti gli uomini
I rimedi per la ricostruzione del Paese dovranno essere proporzionati ai danni: incalcolabili. Ci vorranno braccia e menti, e una duplice chiamata: da un lato, quella dei migliori cervelli, in seduta permanente in una sorta di “cern” politico, economico, sociale, culturale per progettare il futuro; dall’altro, quella dei ventenni, perché siano i protagonisti della rinascita. Arrivati in un mondo fatto su misura dei loro padri, dovranno ora costruirne uno per i loro figli. A nulla valgono le retoriche consolatorie di questi giorni: il ricorso al patriottismo d’occasione, l’enfasi sull’eroismo dei medici oggi sull’altare e domani di nuovo nella polvere, l’illusione che ne usciremo migliori. I retti saranno ancora retti, gli acuti torneranno acuti, e gli ottusi resteranno ottusi. Più facile prevedere un indurimento degli animi, un ulteriore divario fra chi ha e chi non ha, un ripopolamento di umiliati e gregari che al riconoscimento delle istituzioni e alla rivendicazione dei diritti preferiranno panem et circenses. Avremo imparato che il mondo non è in equilibrio economico, ambientale, sanitario? Che sapere e potere, competenza e politica, cultura e amministrazione sono inseparabili? Che sarà il pronome noi a salvarci? Ce lo ricorda Borges: «Ciò che fa un uomo è come se lo facessero tutti gli uomini. Per questo non è ingiusto che una disobbedienza in un giardino contamini il genere umano; per questo non è ingiusto che la crocifissione di un solo giudeo basti a salvarlo» ( La forma della spada).




giovedì 25 giugno 2020

SCUOLE DI SCRITTURA: INUTILI E OMOLOGANTI

Uno spietato pamphlet di Squillaci contro quelle realtà che si prefiggono di insegnare la creatività e l'editing secondo le mode e non per fare letteratura.
Ma, prima delle scuole, gli autori come facevano?


di MASSIMO ONOFRI

Il titolo del libro di Alfio Squillaci è un invito alla lotta: Chiudiamo le scuole di scrittura creativa! (Gog edizioni, pagine 128, euro 12). Il sottotitolo, invece, ne esplicita le ragioni polemiche: perché la letteratura non è una catena di montaggio. Il nostro scrittore ha notevoli dosi di sintesi e una mira che gli consente di raggiungere il bersaglio: al di là del fatto che si concordi o meno con lui. Senza dire della sua duttilità filosofica: quella di chi sa passare, all’uopo, da Aristotele a Guido Calogero.
Il quadro è dettagliato e preciso, senza elusioni, basato sui fatti (magari sulla storia del concetto di bestseller o su quella delle scuole di scrittura), franco nel linguaggio e spietato nelle sue verità (andate a vedere ciò che scrive di Roberto Saviano e delle sue eventuali contraddizioni). Ci concentreremo solo sulle questioni che ci interessano di più, ma si potrebbero fare altre scelte, tutte legittime. Ecco: «Fino a qualche decennio fa l’aspirante romanziere non faceva che seguire scuole tutte proprie di lettura creativa: si metteva a bottega ossia di uno o più maestri, leggeva molto e dopo un certo periodo di apprendistato, si lanciava». Mimesi e improvvisazione, insomma. E poi: «Oggi sempre più c’è chi si rivolge ai manuali o a scuole di scrittura creativa che fioriscono in ogni dove. Perché l’obiettivo è non solo scrivere, ma farsi leggere o addirittura scrivere bestseller, perforare la cortina dell’anonimato e raggiungere il più vasto pubblico».
Parole da cui si ricavano due cose fondamentali. Primo: che all’aspirante scrittore non interessa più la letteratura in se stessa, ma il successo. Secondo: l’idea (sostenuta con fede positivista) che non serva leggere per affinare il proprio eventuale talento sulle pagine dei grandi del passato, ma basti solo l’acquisizione (il più possibile veloce) delle tecniche (pratiche o teoriche) per raggiungere la fama e magari anche la soddisfazione economica. Detto in altri termini: non si vuole più essere simili, come in anni d’altre mitologie, a D’Arrigo o Pizzuto, ma a Carolina Invernizio (senza magari sapere chi sia stata costei). C’è poi un altro punto su cui si concorda con Squillaci da molto tempo, tant’è che chi scrive ne ha fondata una a Nuoro proprio lo scorso anno: «Più che scuole di scrittura creativa, si potranno concepire scuole di lettura creativa come suggeriva Steiner», in cui si insegni appunto «non solo a “imparare a capire la struttura delle frasi e ad analizzare la grammatica del testo” ma anche (…) a pescare nell’immenso laboratorio delle narrazioni mondiali le modalità in cui si è espressa la narrazione». Per comprendere meglio: anche in vista d’un esercizio d’ammirazione. Ma mai per ricavarne regole da applicare astrattamente e in modo non funzionale a quanto si va scrivendo. E delle pagine Contro l’editing ne vogliamo parlare? E di quelle sul mito dell’intreccio e della «bella storia»? Un dato del libro da non tacere è la presenza di brillanti analisi critiche, fatte sempre in vista degli scopi dell’argomentazione, senza ridondanze: si tratti di Balzac e Flaubert (soprattutto); Taine, Barthes e Céline; Moravia, Gadda e Arbasino; o Sebald. E che cosa c’è di più gratificante del constatare certe impreviste connessioni tra una riflessione sull’insegnamento della scrittura creativa e una citazione del Kant della Critica del giudizio sul concetto di «genio». Questo per dire che tante sono le frecce a disposizione di Squillaci per il suo arco: mantenendo sempre un piacevole tono da civile conversazione. Lasciamo al lettore il resto del libro, su cui aleggia una domanda cruciale: «Ma prima delle scuole di scrittura creativa come si faceva?». Che, in considerazione di tanti storici capolavori universali, ha come l’aria di delegittimare il tema stesso di queste pagine: facendoci intuire, delle scuole di scrittura, l’assoluta inutilità.







mercoledì 24 giugno 2020

SCUOLA. ATTIVITÀ' SCOLASTICHE, EDUCATIVE E FORMATIVE 2020-21

Pubblicata la bozza del documento di panificazione delle attività scolastiche e formative per il nuovo anno.
Sarà discussa dalla Conferenza Unificata prevista per il 25 giugno.







EDUCAZIONE CIVICA. LE LINEE GUIDA


Inviate alle scuole le Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica Azzolina: “Studio della Costituzione, sviluppo sostenibile, cittadinanza digitale sono i tre assi portanti. Fondamentale la formazione del personale”

Il Ministero dell’Istruzione ha inviato a tutte le scuole le Linee guida per l’insegnamento dell’Educazione civica. A partire dal prossimo anno scolastico, il 2020/2021, questo insegnamento, trasversale alle altre materie, sarà infatti obbligatorio in tutti i gradi dell’istruzione, a partire dalle scuole dell’infanzia.
Le Linee guida rappresentano un documento agile e di facile consultazione, attraverso il quale i dirigenti scolastici e gli insegnanti potranno dare seguito alle regole che entreranno in vigore a settembre. Secondo quanto previsto dalla legge 92 del 2019, infatti, l’insegnamento di Educazione civica avrà, dal prossimo anno scolastico, un proprio voto, con almeno 33 ore all'anno dedicate. Tre gli assi attorno a cui ruoterà l’Educazione civica: lo studio della Costituzione, lo sviluppo sostenibile, la cittadinanza digitale.
La Costituzione
Studentesse e studenti approfondiranno lo studio della nostra Carta costituzionale e delle principali leggi nazionali e internazionali. L’obiettivo sarà quello di fornire loro gli strumenti per conoscere i propri diritti e doveri, di formare cittadini responsabili e attivi che partecipino pienamente e con consapevolezza alla vita civica, culturale e  sociale  della loro comunità.
Lo sviluppo sostenibile
Alunne e alunni saranno formati su educazione ambientale, conoscenza e tutela del patrimonio e del territorio, tenendo conto degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU. Rientreranno in questo asse anche l’educazione alla salute, la tutela dei beni comuni, principi di protezione civile. La sostenibilità entrerà, così, negli obiettivi di apprendimento.
Cittadinanza digitale
A studentesse e studenti saranno dati gli strumenti per utilizzare consapevolmente e responsabilmente i nuovi mezzi di comunicazione e gli strumenti digitali. In un’ottica di sviluppo del pensiero critico, sensibilizzazione rispetto ai possibili rischi connessi all’uso dei social media e alla navigazione in Rete, contrasto del linguaggio dell’odio.
Nella scuola dell’infanzia, si dovrà prevedere, attraverso il gioco e le attività educative e didattiche, la sensibilizzazione delle bambine e dei bambini a concetti di base come la conoscenza e il rispetto delle differenze proprie e altrui, la consapevolezza delle affinità, il concetto di salute e di benessere. Ci saranno apposite misure di accompagnamento e supporto per docenti e dirigenti scolastici.
“In questi giorni - ricorda la Ministra Lucia Azzolina - stiamo lavorando senza sosta alle Linee guida per la riapertura delle scuole nel prossimo mese di settembre, un lavoro complesso che stiamo portando avanti con gli stakeholder della scuola, con le Regioni e gli Enti locali e che chiuderemo questa settimana. So che sono molto attese. Stiamo tutti collaborando per il bene dei nostri studenti. Ma la riapertura - sottolinea - non è fatta solo di misure di sicurezza e di prevenzione del contagio. Stiamo guardando anche oltre. Dal prossimo settembre, troverà applicazione la legge sull’Educazione Civica. Vogliamo che le scuole siano preparate”.
L’obiettivo è fare in modo che “le ragazze e i ragazzi, fin da piccoli, possano imparare principi come il rispetto dell’altro e dell’ambiente che li circonda, utilizzino linguaggi e comportamenti appropriati quando sono sui social media o navigano in rete. Realizzare questo documento e inviarlo alle scuole è un atto non solo amministrativo, ma anche profondamente simbolico. Ci dice che l’avvio del nuovo anno scolastico sarà non solo il momento del ritorno in classe, ma anche l’inizio di un nuovo cammino per portare la scuola nel futuro, rendendola più moderna, sostenibile, ancora più inclusiva. Essenziale sarà anche la formazione degli insegnanti, sarà quindi una delle priorità su cui lavoreremo per l’avvio del nuovo anno scolastico - aggiunge la Ministra -. Solo così le difficoltà che stiamo affrontando a causa della pandemia saranno non solo un ostacolo da superare, ma un’occasione di miglioramento, uno stimolo a guardare avanti, per tutti” conclude.