- di Giuseppe Savagnone
L’intervista rilasciata dal cardinale Ruini al «Corriere
della Sera», all’indomani dei funerali di papa Francesco, riporta alla realtà
di una Chiesa che in tutti questi anni è stata e continua ad essere divisa tra
i sostenitori della linea, sia religiosa che politica, inaugurata da Bergoglio
e i suoi più o meno estremi oppositori.
Ruini – a capo dei vescovi italiani per ben sedici anni,
dal 1991 al 2007, prima con Giovanni Paolo II, poi, dopo la sua morte, con
Benedetto XVI – è espressione di uno stile e di posizioni che papa
Francesco ha cercato di cambiare.
È naturale, dunque, che la sua voce suoni critica verso
questo pontificato. Ma la franchezza con cui si è pronunziato dimostra che egli
sa di avere dietro le spalle una componente non piccola della Chiesa di oggi.
«Bisogna restituire la Chiesa ai cattolici», ha detto
senza mezzi termini il cardinale. «Francesco è sembrato privilegiare
i lontani a scapito dei vicini», per di più «con modalità che hanno irritato
chi per anni si era speso a difendere le posizioni cattoliche» e che «ha
percepito una scelta netta di Bergoglio verso l’apertura alle novità.
E molti lo hanno rifiutato per rimanere fedeli alle loro convinzioni».
Ad essere in gioco, ha spiegato Ruini, è «la forma cattolica
della Chiesa», sia per quanto riguarda «l’adesione alla dottrina» sia nel modo
di concepire «le strutture ecclesiali, a partire dal papato e dall’episcopato».
«Sono capisaldi che oggi spesso non vengono compresi e sono contestati. Ma così
si mina la certezza della Verità e si toglie la gioia della fede. Non
possiamo accontentarci di una fede problematica».
Siamo dunque davanti a una netta alternativa tra i due modi
di vedere la Chiesa e i suoi rapporti col mondo. Prenderne coscienza è molto
importante per dissipare l’illusione ottica, creatasi intorno alla bara di
Francesco, di una sostanziale unanimità nella condivisione delle sue
scelte.
Questo riguarda già la politica. Personaggi che, come Trump,
erano in prima fila davanti a quella bara o, come Giorgia Meloni, hanno
addirittura vantato pubblicamente un rapporto di profonda amicizia e
sintonia con il defunto pontefice, in realtà nella loro attività di governo si
sono sempre posti in totale antitesi con il suo magistero in punti
essenziali, come l’accoglienza ai migranti, la corsa agli armamenti, la
redistribuzione della ricchezza contro l’ineguaglianza tra ricchi e
poveri, la custodia della terra mediante una ecologia integrale, la difesa
degli innocenti civili massacrati a Gaza. Essi, nella divisione tra amici e
nemici di Francesco, appartengono senza alcun dubbio al secondo gruppo.
Il nuovo papa dovrà decidere se continuare nella linea di
coraggiosa e aperta rottura con questi potenti, oppure attenuarla fino a
ridurre questa rottura a un generico, benevolo richiamo al rispetto di astratti
valori, su cui tutti a parole sono d’accordo.
Dai “valori non negoziabili” all’annuncio dell’amore di Dio
per ogni essere umano
Ma la radice del conflitto a livello politico si trova nel
diverso modo di intendere il messaggio che la Chiesa deve dare al mondo.
Se qualcuno, fino al febbraio del 2013, – la data delle dimissioni di papa
Ratzinger, – avesse chiesto in giro quale fosse l’essenziale di questo
messaggio, la risposta della grande maggioranza avrebbe indicato senza
esitazioni tre temi: la difesa della vita nascente e morente (contro
aborto ed eutanasia), il primato della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo
e donna (contro le nozze gay) e la libertà di educazione (a favore delle scuole
paritarie).
Valori non negoziabili
Erano i cosiddetti “valori non negoziabili”, fortemente
sostenuti proprio dal cardinale Ruini, e su cui, in Italia, si era costituita
una sorta di alleanza con la destra guidata da Silvio Berlusconi, che su
questi temi ostentava una sintonia con la Chiesa.
Proprio mentre contribuiva – soprattutto attraverso le
televisioni commerciali del “cavaliere” e il suo esempio personale
– a determinare quella «desertificazione valoriale» denunciata dall’allora
presidente della CEI, card. Angelo Bagnasco, nella sua Prolusione al
Consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana (24 gennaio 2011).
Questa scelta di campo, peraltro, trovava la sua copertura
nello scivolamento della cosiddetta “sinistra”, orfana del marxismo, in
posizioni molto più simili a quelle del vecchio partito radicale (da sempre
ritenuto di destra), che mettevano in secondo piano i diritti sociali per
puntare sulla difesa di quelli civili, in una prospettiva spiccatamente
individualistica, minacciando effettivamente quei valori che la Chiesa era
costretta a difendere come “non negoziabili”.
Con papa Francesco si è avuta una svolta che ha disorientato
molti credenti e suscitato in altrettanti non credenti l’illusione di un
adattamento alle loro posizioni. In realtà quella di Bergoglio non era una
rinuncia alla dottrina precedente, ma il suo inserimento in una prospettiva più
ampia.
Già nell’intervista alla «Civiltà cattolica» nel settembre
del 2’13, poco dopo la sua elezione, il nuovo papa mostrava di essere
consapevole delle critiche che fin da allora montavano sordamente in alcuni
ambienti ecclesiastici: «Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad
aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è
possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato
rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto».
Fedeltà al Vangelo
Questo contesto era l’annuncio salvifico dell’amore di Dio
per ogni uomo e ogni donna. Proprio per essere fedele al vangelo Francesco
metteva in primo piano la strenua difesa della vita umana in tutta la sua
ampiezza, e non solo nella fase nascente o morente.
Dedicando il suo primo viaggio ai poveri naufraghi di
Lampedusa, egli faceva diventare centrale un problema su cui la Chiesa
istituzionale non aveva preso mai posizione con una forza paragonabile a
quella usata per i “valori non negoziabili”. Il migliore commento di
questa scelta si può trovare nel discorso rivolto da Francesco
all'associazione “Scienza e Vita” nel 2015: «Quando parliamo dell’uomo», ha
detto, «non dimentichiamo mai tutti gli attentati alla sacralità della vita
umana.
È attentato alla vita la piaga dell’aborto. È attentato alla
vita lasciar morire i nostri fratelli sui barconi nel canale di Sicilia. È
attentato alla vita la morte sul lavoro perché non si rispettano le minime
condizioni di sicurezza. È attentato alla vita la morte per denutrizione. È
attentato alla vita il terrorismo, la guerra, la violenza; ma anche
l’eutanasia. Amare la vita è sempre prendersi cura dell’altro, volere il suo
bene, coltivare e rispettare la sua dignità trascendente».
Fedele al centro della visione cristiana, secondo cui, con
l’incarnazione, Dio va cercato e venerato nel volto degli esseri umani di
cui Egli ha voluto assumere il destino, soprattutto dei più poveri e rifiutati,
Francesco ha abbracciato questo destino come un mistero sacro, irriducibile a
tutti gli schemi ideologici.
Questo ha sottratto la Chiesa agli opposti schieramenti
politici, in realtà molto meno distanti tra loro di quanto a parole sembrasse.
Basta pensare alla continuità tra gli accordi siglati con la Libia
del governo “di sinistra” Gentiloni, attraverso il ministro Minniti, e la
loro conferma ed estensione da parte del governo Meloni. Ma anche in
campo etico, con l’«Amoris laetitia», si è usciti dal rigido moralismo degli
«assoluti morali», proclamati da Giovanni Paolo II nella «Veritatis splendor»,
senza cedere al relativismo, oggi così diffuso, che giustamente Benedetto XVI
aveva considerato il maggior pericolo per la nostra società.
Con Francesco la Chiesa ha seguito una propria via,
irriducibile sicuramente a quello che della sua svolta hanno compreso
esponenti del mondo “laico” come Eugenio Scalfari, ma anche agli schemi dei
conservatori, come ha evidenziato la rabbiosa e spesso sguaiata
opposizione nei suoi confronti – ancora ribadita dopo la sua morte – da
parte dei giornali di destra.
Falso papa ed eretico
Si deve a questo, probabilmente, se, fin dall’inizio, questo
papa è stato oggetto di una contestazione “dall’interno” che non ha precedenti
nella storia della Chiesa degli ultimi secoli.
La più estrema, che ha trovato e continua ancora oggi a
trovare seguito – anche grazie a giornali come «Libero», che le hanno dato
spazio – è quella di essere un usurpatore, che ha occupato il soglio pontificio
senza averne alcun titolo.
L’argomento principale per sostenere che Francesco non è mai
stato papa è che il suo predecessore, Benedetto XVI, in realtà non avrebbe mai
cessato di occupare questa carica, neppure dopo quelle che tutti hanno
considerato le sue dimissioni. Perché ciò a cui Benedetto ha dichiarato di
rinunciare, stando al testo del documento ufficiale , non è il munus di
papa – il suo incarico di successore di Pietro – , ma solo il ministerium,
che, secondo il diritto canonico, ne è solo l’esercizio pratico. E siccome le
due funzioni sono inscindibili, papa Ratzinger avrebbe inscenato delle
dimissioni della cui nullità era perfettamente consapevole.
Perché lo avrebbe fatto? Sempre secondo i propugnatori di
questa versione, egli, messo con le spalle al muro dagli attacchi
provenienti dall’interno della Curia, era certo che, alla sua morte, un gruppo
di cardinali – il cosiddetto “gruppo di San Gallo”, collegato alla massoneria
globalista mondiale – avrebbe manipolato il successivo Conclave, facendo
eleggere (come poi è avvenuto) un candidato da loro voluto. Da qui la sua
scelta di renderlo in partenza nullo, privandolo della condizione
indispensabile della “sede vacante” e rimanendo ancora a capo della Chiesa
nell’unica forma – l’incognito – che gli permetteva lo strapotere dei suoi
nemici.
Ma, al di là – e alla radice – di queste contorte
ricostruzioni, degne di Dan Brown, la motivazione di fondo dell’opposizione nei
confronti di papa Francesco è stata l’accusa di essersi discostato dalla
dottrina tradizionale della Chiesa. Nelle forme più estreme, essa ha portato al
disconoscimento di questo papa, perché «eretico», in quelle più
“diplomatiche”, di cui abbiamo visto un esempio nell’intervista di Ruini, a un
richiamo – che adombrava una critica – a non inseguire le «novità».
In un’intervista del 2016 Antonio Socci – un noto
esponente del fronte degli oppositori – obiettava alla linea di Francesco
che «l’annuncio cristiano è uno (…). E la Chiesa in duemila anni ha battezzato
il mondo intero così. Non può esserci un altro Cristo che viene scoperto oggi,
diverso da quello vero, quello di sempre».
L’annuncio evangelico e le sue interpretazioni
Quello che, ieri come oggi, sembra sfuggire, a Socci e a
tanti critici di Francesco, è che l’unicità dell’annuncio cristiano non ha mai
escluso che di esso si siano date, nei secoli, interpretazioni diverse, in base
ai differenti contesti culturali, e che non si deve mai scambiare l’una o
l’altra di queste interpretazioni con l’annuncio stesso, assolutizzandola.
Certo, l’importanza fondamentale che si dà alla
coscienza nell’«Amoris laetitia», rispetto alle regole oggettive, costituisce
una novità rispetto alla dottrina degli «assoluti morali» di Giovanni Paolo II.
Ma anche questa dottrina era solo una interpretazione del vangelo, come lo era
del resto quella dei “valori non negoziabili».
La sana dottrina
Il criterio per valutare la fedeltà di un papa alla “sana
dottrina” non è il mantenimento del passato, ma la conformità all’insegnamento
di Gesù. E proprio ad esso Francesco, con le sue “novità”, si è rifatto,
in modo molto più fedele e convincente, quando ha difeso quei poveri e quei
migranti con cui Cristo si è indentificato: «Perché ho avuto fame e mi avete
dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi
avete accolto» (Mt 25,35).
È vero: «Non può esserci un altro Cristo che viene scoperto
oggi, diverso da quello vero, quello di sempre». Ma ci può essere una Chiesa
che oggi comprende meglio che Cristo, «quello vero, quello di sempre», è nelle
persone emarginate e rifiutate, nel cui volto papa Francesco lo ha
cercato.
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