ha fatto di più
per Gaza?
«Quello
che abbiamo fatto noi a Gaza non l’ha fatto nessun governo europeo», ha detto
il nostro ministro degli Esteri, Tajani, il 20 maggio, in margine ad un
incontro organizzato dall’Università Cattolica di Milano, polemizzando
con l’opposizione che il giorno prima, durante l’informativa alla Camera,
gli aveva rimproverato di non aver fatto abbastanza.
In
quella occasione Tajani aveva dichiarato: «Il governo non ha mai abbassato la
guardia sui comportamenti del governo israeliano che abbiamo ritenuto
meritevoli di censura». E aveva citato tre o quattro episodi in cui
l’Italia ha protestato per attacchi ingiustificati a singole realtà religiose o
umanitarie, come quello alla parrocchia cattolica di Gaza o quello agli
operatori umanitari di World Central Kitchen. Bocciando come «facili slogan,
buoni solo per le piazze», le critiche di coloro che pretendono di additare
alternative alla linea seguita dal nostro governo.
In
un clima politico surriscaldato come quello attuale, è importante, per
esercitare un serio giudizio critico, guardarsi dai pregiudizi che spesso
caratterizzano lo scontro tra “destra” e “sinistra”.
Vale
la pena, perciò, di valutare queste affermazioni stando semplicemente ai fatti.
E, poiché la vicenda drammatica a cui si riferiscono risale a più di un anno e
mezzo fa, il solo modo di verificarne la fondatezza o meno è provare a fare un
esercizio di memoria e di ripercorrere le prese di posizione del governo
italiano nel corso di questi diciotto mesi.
Dopo
il 7 ottobre 2023 è scattata subito la risposta israeliana, col duplice
obiettivo, dichiarato dal premier Netanyahu, di liberare gli ostaggi e di
distruggere Hamas. Prima ancora dell’invasione di terra, l’aviazione di Tel
Aviv ha cominciato a scaricare sulla Striscia, ininterrottamente,
tonnellate di bombe, con l’intento di smantellare la rete di
gallerie sotterranee che il movimento islamico in questi anni ha
costruito.
L’opinione
pubblica occidentale era tutta dalla parte delle vittime dell’atroce massacro
che si era consumato a danno di innocenti giovani israeliani. Il motto
ricorrente era «Israele ha il diritto di difendersi».
Pure,
anche allora, in un mio Chiaroscuro del 13 ottobre – proprio all’inizio di
questa lunga tragedia – scrivevo, prendendo le mosse da un raduno promosso dal
fondatore del «Foglio» a sostegno dello Stato ebraico: «“Bisogna liberare Gaza
anche con le bombe, anche con i carri armati, anche con l’esercito”, ha gridato
tra gli applausi scroscianti Giuliano Ferrara nel suo infiammato
discorso. Ma, in un territorio che è fra i più densamente popolati del
mondo, con due milioni di persone stipate su una superficie di 360 km quadrati
(aggiungo oggi: poco più di metà della città di Madrid), le bombe sono
inevitabilmente destinate a colpire prevalentemente i civili. Il bilancio di
sei giorni di raid aerei sulla Striscia è di più di 1.500 morti, di cui 500
bambini».
Tutti
sapevano che, per colpire l’ala militare di un gruppo come Hamas, profondamente
e capillarmente radicato nel territorio, sarebbe stata inevitabile una
carneficina di innocenti civili, sicuramente ostili a Israele (molti erano
profughi, rifugiati a Gaza dopo la Nakba), ma certo non direttamente
responsabili dell’attacco terroristico del 7 ottobre.
Da
questa consapevolezza è nata la mozione, presentata e votata già il
27 ottobre 2023 nell’Assemblea Generale dell’ONU, con cui si chiedeva una
tregua umanitaria che fermasse i raid. La mozione è stata approvata con
120 voti favorevoli, 45 astenuti e 14 contrari. Il nostro paese, in questa
votazione, si è astenuto. Hanno invece votato a favore, in base al principio
espresso dal rappresentante francese che «niente può giustificare le sofferenze
dei civili», Francia, Spagna, Belgio, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Portogallo,
Slovenia.
«L’Italia»
– ha spiegato in quell’occasione il nostro ambasciatore alle Nazioni Unite,
Maurizio Massari – «è e rimarrà fermamente solidale con Israele. Per noi, la
sicurezza israeliana non è negoziabile in alcun modo. Questo è ciò che il
governo italiano, a tutti i livelli, dal nostro Primo Ministro al nostro
Ministro degli Esteri, ha affermato fin dall’inizio». Dei palestinesi, già
allora colpiti senza pietà, nessuna parola.
Le
successive Assemblee dell’ONU sul problema di Gaza
In
base alla stessa logica l’Italia si è di nuovo astenuta nella votazione con
cui, il 13 dicembre successivo, l’Assemblea Generale, ha chiesto un
«immediato cessate il fuoco umanitario» e il «rilascio incondizionato di tutti
gli ostaggi», approvando la risoluzione con 153 voti favorevoli – tra cui
quelli di 17 paesi dell’UE – , 10 contrari e 23 astensioni. E sì che questa
volta la mozione includeva la richiesta dell’immediato rilascio degli ostaggi,
la cui assenza era stata citata come motivo per la mancata adesione alla
risoluzione precedente.
Fin
dal 27 ottobre, il nostro rappresentante aveva tenuto a sottolineare che
l’Italia è favorevole alla soluzione “due popoli – due Stati”, che implica la
nascita di uno Stato palestinese accanto a quello israeliano, come previsto
dalla risoluzione del 1947 dell’ONU. Ma quando, il 10 maggio 2024,
nell’Assemblea delle Nazioni Unite si è votata una nuova risoluzione –
approvata con 143 voti a favore, tra cui quelli di Francia e Spagna – per
il riconoscimento della Palestina come qualificata a diventare membro a
pieno titolo dell’ONU, l’Italia è stata ancora una volta, insieme ad altri 24
Stati, tra gli astenuti.
Questa
volta l’ambasciatore Massari, nello spiegare il voto, ha ribadito che l’Italia
è favorevole a questa soluzione. Tuttavia, ha aggiunto, «riteniamo che
tale obiettivo debba essere raggiunto attraverso negoziati diretti tra le parti
e dubitiamo che l’approvazione della risoluzione odierna contribuirà
all’obiettivo di una soluzione duratura al conflitto. Per questo motivo abbiamo
deciso di astenerci».
Ma
già allora in Italia l’opposizione, per bocca della segretaria del PD, Elly
Schlein, criticava con energia la scelta del governo: «Il popolo palestinese
non è Hamas, per isolare Hamas non bisogna schiacciare la legittima aspirazione
dei palestinesi ad avere uno Stato in cui vivere in pace e in sicurezza, come è
giusto che gli israeliani possano vivere in pace e in sicurezza».
Il
15 settembre dello stesso 2024 l’Assemblea generale dell’ONU ha di nuovo
votato, chiedendo questa volta la fine dell’occupazione di Gaza da parte
dell’esercito israeliano «entro 12 mesi». Nel documento si chiedeva, oltre
al ritiro delle truppe dai territori palestinesi, la cessazione di
nuovi insediamenti, la restituzione delle terre e delle
proprietà sequestrate e la possibilità di ritorno dei
palestinesi sfollati. La risoluzione è stata ancora una volta
approvata a larga maggioranza: 124 voti a favore, 14 contrari e
43 astensioni. Ma, ancora una volta, tra gli astenuti c’era
l’Italia.
Anche
in questo caso c’è stata una ferma protesta da parte delle opposizioni.
«L’Italia», ha detto il segretario dei 5stelle Giuseppe Conte, «si astiene
ancora una volta, all’ONU, su un voto per mettere fine
all’occupazione israeliana dei territori palestinesi. Che vergogna!
Continuiamo a girare la testa dall’altra parte di fronte a una
occupazione illegale, allo stesso modo in cui rimaniamo indifferenti
alla barbarie a Gaza, con il massacro di oltre 40mila civili».
La
difesa di Netanyahu e gli attestati di vicinanza ad Israele
Il
21 novembre 2024, la Corte penale internazionale dell’Aja, all’unanimità, ha
emesso mandati di arresto per il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e
l’ex Ministro della Difesa Yoav Gallant, colpevoli di «crimini contro
l’umanità» per l’embargo degli aiuti umanitari nella striscia di Gaza.
La
reazione della premier italiana Giorgia Meloni è stata di ribadire innanzi
tutto la solidarietà con gli incriminati: «Un punto resta fermo per questo
governo: non ci può essere una equivalenza tra le responsabilità dello Stato di
Israele e l’organizzazione terroristica Hamas». Ha poi avanzato il sospetto che
le motivazioni della sentenza fossero viziate da ragioni
politiche: «Approfondirò in questi giorni le motivazioni che hanno portato
alla sentenza. Motivazioni che dovrebbero essere sempre oggettive e non di
natura politica».
E
quando il presidente americano Trump, anche lui solidale con Netanyahu, ha
emesso una serie di misure punitive nei confronti della Corte per la sua
decisione, e 79 Stati membri dell’ONU – tra cui
tutti i paesi dell’Europa occidentale, tra cui Regno Unito, Francia,
Germania e Spagna – in una dichiarazione congiunta hanno
preso le distanze da questa presa di posizione, denunciandone l’incompatibilità
con il rispetto del diritto internazionale, l’Italia ha rifiutato di firmare.
Il
20 maggio scorso, davanti al dilagare delle violenze israeliane a Gaza, la
Commissione europea ha accolto la richiesta, sostenuta da 17 stati membri nel
Consiglio dell’Unione europea, di valutare se Israele abbia violato gli
obblighi previsti dall’articolo 2 dell’Accordo di cooperazione tra Unione
europea e Israele, che riguarda il rispetto dei diritti umani e dei principi
democratici. L’Italia, insieme alla Germania, ha votato no.
In
questo lasso di tempo, il governo italiano per due volte, a distanza di pochi
mesi – il 25-26 luglio 2024 e il 19-21 febbraio 2025 – , nel pieno svolgimento
dell’offensiva israeliana a Gaza – ha accolto in visita ufficiale il presidente
di Israele, Herzog, attestandogli l’amicizia incondizionata nei confronti del
suo paese e la solidarietà per la strage del 7 ottobre, limitandosi a parlare
dell’importanza di «giungere al più presto a un cessate il fuoco e
alla liberazione degli ostaggi», senza mai fare cenno al massacro di cui
Israele si stava rendendo responsabile. Nemmeno l’ombra delle appassionate
richieste che il nostro ministro degli Esteri, appena tre mesi dopo quella
visita, ha espresso nell’informativa alla Camera: «I bombardamenti devono
finire, l’assistenza umanitaria deve riprendere al più presto, il rispetto del
diritto internazionale umanitario deve essere ripristinato». Eppure,
i morti erano già a quella data decine di migliaia, in maggioranza donne e
bambini…
Parole
tardive rivolte agli italiani smemorati
Difficile,
alla fine di questa ricapitolazione, sottrarsi alla conclusione il ministro
Tajani, sostenendo che «il governo non ha mai abbassato la guardia sui
comportamenti del governo israeliano che abbiamo ritenuto meritevoli di censura» e
che «quello che abbiamo fatto noi a Gaza non l’ha fatto nessun governo
europeo», ha evidentemente confidato nella mancanza di memoria degli italiani.
E ha avuto ragione, perché la grande maggioranza dei giornali e degli
opinionisti non ha avuto nulla da ridire.
Ma
la verità è che diversi altri Stati europei in questi diciotto mesi hanno
mostrato – e continuano a mostrare – ben maggiore solidarietà nei
confronti degli sventurati abitanti della Striscia, battendosi per la fine del
massacro di cui erano e continuano ad essere vittime, senza esitare a entrare
in netto contrasto con le posizioni del governo israeliano, che ne ha
sempre rivendicato la piena legittimità.
Niente
di lontanamente simile nella linea italiana, sempre molto attenta a «non
isolare Israele», ma molto meno a cercare di risparmiare la vita e la dignità
di un popolo ridotto a carne da macello. Anzi, con le sue reiterate scelte
di neutralità, con la sua esplicita difesa dello Stato ebraico, l’Italia è
stata di fatto complice di quello che ormai sempre più chiaramente si presenta
come un genocidio.
Le
parole di Tajani avrebbero dovuto essere pronunziate – e in sede internazionale
– nell’ottobre del 2023. Oggi suonano solo come una concessione tardiva al
clima di indignazione ormai sempre più diffuso tra i governi e nell’opinione
pubblica occidentale. E non basta, per smentire l’accusa di aver chiuso gli
occhi, evocare la condanna dell’attacco alla parrocchia cattolica di
Gaza.
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