domenica 25 maggio 2025

LA RELIGIONE CHE CI CAMBIA

I percorsi “attuali”    di chi crede

 





-         di  ALESSANDRO DEHO’

-          «Qual è la vostra religione attuale, se ne avete una? E con quale siete cresciuti nella vostra infanzia?». Immagino per un attimo di essere uno degli ottantamila interpellati dal sondaggio i cui risultati sono da poco stati pubblicati dal Pew Research Center di Washington, immagino di rimanere immobile alla domanda, e perplesso, e sospeso, e sorpreso... « La mia religione? Cristiano cattolica, certo», così avrei risposto, di sicuro. Cristiano cattolica romana e no, non l’ho mai cambiata, dall’infanzia. Sono sicuro che avrei risposto così, ma sono altrettanto sicuro che, una volta chiusa l’intervista, sarei stato invaso da mille dubbi. Perché, se è vero che la mia appartenenza formale a una religione non è cambiata è altrettanto vero che la mia esperienza di fede in cinquant’anni è notevolmente mutata, oserei dire “convertita”. Eppure la religione è stata sempre quella, l’etichetta, la confezione: immutabile, io no. Così quando provo a interpretare i numeri che accompagnano i risultati della ricerca raccontata oggi da Avvenire in cui si testimonia un ingente abbandono da parte soprattutto di cristiani e buddisti io mi perdo, così come mi perdo quando mi imbatto in altri articoli che, al contrario, testimoniano un rinnovato interesse dei giovani per la religione. Numeri, tanti numeri, e in me: smarrimento completo.

Perché non stiamo parlando di una ricerca di mercato, stiamo parlando della parte più sacra e misteriosa di ogni uomo, la più difficile da decifrare, quella che probabilmente rimane impermeabile ai sondaggi. Stiamo parlando di fede, e la fede prevede sempre e solo una risposta personale, un incontro intimo e segreto.

La religione non l’ho mai cambiata ma io, io sono cambiato, e tanto, cambiata la mia idea di uomo, la mia idea di mondo, la mia idea di Dio. Questo credo sia il processo più delicato e importante e allora poco mi importa se qualcuno decide di uscire da un mondo religioso per adottarne un altro, oppure per non aderire a nulla, quello che mi sembra prezioso è sapere come quel processo sia avvenuto. Se è stato accompagnato da qualcuno, se è stato doloroso oppure no, che tracce ha lasciato in chi ha attraversato quel travaglio. Questo vale anche in senso opposto, per i giovani che si riavvicinano alla religione, anche loro per me non sono immediatamente una bella sorpresa, ci si può avvicinare alla religione per il semplice bisogno di avere dei riti in cui identificarsi, per un bisogno di sicurezza, per la nostalgia di regole chiare, per sentirsi migliori, per non sentirsi soli (tutte motivazioni plausibili) ma il problema a me sembra comunque un altro: come è stato vissuto quel passaggio? Chi ha accompagnato la decisione ha avuto attenzione di non usurpare lo spazio sacro dell’intimità? Abbracciare una religione ha aiutato l’emergere dell’identità profonda del soggetto o al contrario l’ha soggiogata? La religione ha reso più libera la vita oppure ha solo portato una serie di rassicuranti obblighi e divieti? «Qual è la vostra religione attuale?», io non so cosa abbiano inteso esattamente per “religione” le persone che hanno ipotizzato questa domanda ma quello che mi è piaciuto è l’uso di “attuale”, mi pare una precisazione coraggiosa. Attuale, cioè la nostra appartenenza in questo momento, e se per i sondaggisti si tratta di una precisazione dovuta alla presa di coscienza della fluidità del vissuto religioso io provo a forzare il testo e mi dico che la religione non può che essere “attuale”, sempre, nel senso che si tratta di un modo concreto e valido solo in questo spazio e in questo tempo per provare a balbettare qualcosa di noi in relazione a Dio. Qualcosa di valido solo qui, adesso, la vera sfida quindi non è allacciare le nuove generazioni alle antiche religioni ma ipotizzare cammini dove si impari la transitorietà di ogni cosa, anche delle prassi religiose, per dimorare nell’unica cosa che sarà sempre attuale, perché eterna, perché senza fine: l’Amore. Cioè Dio.

«La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino». Quello che Paolo canta splendidamente nel famoso tredicesimo capitolo della prima lettera ai Corinzi mi pare di dirompente attualità anche per quanto riguarda la nostra appartenenza religiosa, non importa quale sia la nostra condizione “attuale” quello che conta è che anche la religione, fortunatamente, sparirà, quello che conta è se, come Chiesa, stiamo creando le condizioni per far scomparire tutto ciò che è imperfetto. Più ancora, questi versetti biblici ci aiutano anche a correggere la seconda domanda del sondaggio: non è importante sapere se siamo stati fedeli alla religione della nostra infanzia ma se la nostra fede è cresciuta dalla nostra infanzia, se la religione ci ha accompagnato in un cammino personale e profondo di trasfigurazione, un processo eucaristico, o se ci ha tenuto ancorati ad antiche paure e immaturità.

Io non so cosa abbiano inteso i ricercatori con il termine “religione” ma so che solo un uomo di fede può dire: «adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!”. Credo profondamente che ciò che salva la vita non sia tanto ciò in cui credo ma percepire di essere creduto, non ciò che conosco ma la commovente dolcezza provata quando ho sentito di essere conosciuto dal Padre.

Davanti a tanti numeri, preziosi sicuramente per cercare di comprendere il contesto in cui ci stiamo muovendo, quello che manca sono i volti, più ancora è il volto singolo e irripetibile di ogni uomo, è la storia di ognuno di noi, quella che il Cristo risorge chiamandola per nome. Quello che manca non è comprendere il contesto, non è gioire per il numero di persone presenti a un concerto di musica cristiana, non è credere che l’evento di fede, quello che prevede una lotta profonda, sia pubblicizzabile da un influencer, e non è nemmeno gioire per il numero in aumento di Battesimi in alcune fasce di giovanissimi. Quello che conta è se siamo finalmente pronti a sprofondare radicalmente nella fede battesimale, quella che prevede un processo continuo di dolorosa morte e altrettanto dolorosa rinascita, perché questa è la fede, e l’unica religione che conta è quella della Carità che fa morire il seme in nome della vita eterna, perché credere è morire ogni giorno per imparare l’arte dell’abbandono tra le braccia del Padre. Ma nessun sondaggio potrà mai sapere se in questo abbandono all’Eterno noi crediamo davvero, perché nemmeno noi lo sappiamo, lo sapremo solo nell’attimo esatto della nostra morte. Intanto non resta che allenarci, di deposizione silenziosa in deposizione silenziosa. Lontano dai numeri e dai sondaggi.

 www.avvenire.it

 

Nessun commento:

Posta un commento