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- di Vito Mancuso
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L’azione che mise in moto la dinamica della Chiesa
contemporanea fu quella di papa Giovanni XXIII che, nel nome di una strategia
complessiva da lui denominata “aggiornamento” (“dibattutissimo termine”, lo
qualificò il grande storico della Chiesa Hubert Jedin), convocò il Concilio
ecumenico Vaticano II, celebrato tra il 1962 e il 1965. Lo scopo di papa
Giovanni era esplicito: che la dottrina “sia approfondita e presentata in modo
che risponda alle esigenze del nostro tempo” (dal discorso di apertura del concilio,
11 ottobre ’62). L’aggiornamento voluto dal Papa bergamasco effettivamente ci
fu …
Gli ebrei passarono da “perfidi giudei” a “fratelli
maggiori”, gli ortodossi e i protestanti da “eretici e scismatici” a “fratelli
separati”, le altre religioni da insieme di “infedeli” a “raggio di quella
Verità che illumina tutti gli uomini”. La libertà di coscienza in materia
religiosa, prima bollata come “assurda ed erronea sentenza, o piuttosto
delirio” (Gregorio XVI, Mirari vos, 1832), divenne oggetto della Dichiarazione
sulla libertà religiosa.
Dignitatis humanae
del 7 dicembre 1965, il documento più sofferto dei lavori conciliari. Altre
svolte significative riguardarono la Bibbia, la liturgia e in genere il
rapporto con il mondo, passato dalla condanna di tutto ciò che di nuovo esso
produce a un atteggiamento di attenzione e di benevolenza. Pio IX descriveva il
processo storico come “scellerate trame degli empi, che, come flutti di mare
tempestoso, spumano le proprie turpitudini”, il Vaticano II insegnò a “scrutare
i segni dei tempi per conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo” perché
“le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi” sono le
stesse dei discepoli di Cristo e “nulla vi è di genuinamente umano che non
trovi eco nel loro cuore”. Ma a questa potente azione non poteva non seguire,
come insegna la dinamica di Newton, una altrettanto potente reazione.
Il Vaticano II non poté essere concluso da Giovanni XXIII che
morì proprio nel mezzo dei lavori conciliari, venne portato a termine da Paolo
VI, il Papa che cominciò a depotenziarne la carica innovativa. Il luogo in cui
questo depotenziamento appare con più evidenza è la morale sessuale. Così il
cardinal Martini nelle sue Conversazioni notturne a Gerusalemme
riferendosi a Paolo VI: “Sottrasse scientemente l’argomento ai dibattiti dei
padri conciliari; in questa materia volle assumere una responsabilità altamente
personale”. Paolo VI avocò a sé la materia sessuale impedendo al concilio di
esprimersi al riguardo per timore di una frattura troppo forte rispetto al
passato. A suo avviso la Chiesa poteva sopportare il rinnovamento nel rapporto
con le altre religioni, nella liturgia, nella libertà religiosa, non però in
materia sessuale, dove l’innovazione rispetto alla Casti connubii di Pio XI che
aveva condannato ogni tipo di contraccezione avrebbe provocato una frattura
così ampia da prefigurare uno scisma. Così, temendo la divisione, Paolo VI
impedì al concilio di esprimersi sulla morale sessuale diminuendone la spinta
rinnovatrice e pubblicò nel 1968 una sua enciclica il cui esito è descritto
così da Martini: “L’enciclica Humanae vitae ha purtroppo
prodotto anche un effetto negativo. Molte persone si sono allontanate dalla
Chiesa e la Chiesa dalle persone. Ne è derivato un grave danno”.
Giovanni Paolo I ebbe solo il tempo di un luminoso sorriso e
di ricordare la tenerezza materna di Dio, mentre il lungo pontificato di
Giovanni Paolo II disegna una parabola complessivamente all’insegna della
conservazione e a tratti della restaurazione. In verità nel suo papato non
mancarono gesti innovativi e profetici, perfettamente nella linea conciliare,
come la richiesta di perdono per le colpe storiche della Chiesa (a partire
dall’abiura inflitta a Galileo nel 1633) e come la bellissima preghiera comune
con i rappresentanti delle altre religioni ripetuta due volte ad Assisi nel
1986 e nel 2002, e la visita alla sinagoga di Roma nel 1986. Ma nel complesso
il suo papato è stato di stampo conservatore per quanto attiene alla conduzione
generale della Chiesa a livello di nomine ecclesiastiche, morale sessuale,
bioetica e in genere le questioni dottrinali più importanti, non ultimo il
ruolo della donna. Tale impostazione dottrinale ebbe nel cardinale Ratzinger
quale Prefetto della Congregazione della fede il principale interprete e fu
quindi del tutto naturale il passaggio da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI. Il
papa tedesco continuò l’operazione di retromarcia, arrivando persino a favorire
la Messa in latino e a riabilitare i lefebvriani, i veri e propri oppositori
strutturali alla dinamica conciliare.
Il vero gesto innovativo di Benedetto XVI furono le sue
dimissioni, causate dalla presa di coscienza di non essere in grado di
ricoprire il ruolo di Pontefice, anche se egli
non smise la veste bianca e non lasciò Roma, come invece, a
mio avviso, avrebbe dovuto fare. In vista delle dimissioni egli aveva preparato
il suo candidato alla successione, ma i cardinali in conclave preferirono Jorge Mario Bergoglio, che, scegliendo di chiamarsi Francesco e presentandosi come vescovo di Roma, fece
subito capire il suo desiderio di riprendere la spinta innovatrice del Vaticano
II.
Emblematica al
riguardo è l’importanza che nel suo pontificato assunse la teologia della
liberazione: quei teologi e quegli uomini di chiesa che durante i pontificati
di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI erano stati emarginati e talora
condannati vennero ampiamente riabilitati, come Leonardo Boff che fu uno dei
principali estensori dell’enciclica “Laudato si” sull’ecologia del 2015. Ancora
più emblematica è la vicenda di Oscar Romero, il vescovo martire di San Salvador
assassinato nel 1980 dagli squadroni della morte al soldo delle multinazionali
e della giunta militare, che non venne beatificato da Giovanni Paolo II (che
pure arrivò a un numero di beatificazioni più alto di quello di tutti gli altri
papi messi insieme, ma che riservò a Romero un trattamento gelido durante la
sua visita a Roma) né da Benedetto XVI, e che invece venne subito beatificato
(2015) e canonizzato (2108) da papa Francesco.
Occorre però sottolineare che purtroppo la spinta innovatrice
di papa Francesco non ha avuto la necessaria forza
dottrinale e l’ancora più necessaria abilità diplomatica che avevano
contraddistinto l’aggiornamento introdotto da papa Giovanni, dotato di ben
altra consapevolezza storica e capacità di governo rispetto al papa argentino. Papa Francesco ha voluto sì continuare il
rinnovamento, ma per una serie di motivi (tra cui alcuni tratti caratteriali) è
risultato incapace di creare quell’armonia necessaria perché il rinnovamento
potesse effettivamente procedere. Senza considerare alcune conclamate
ambiguità, come l’appellativo di “sicari” riservato ai medici abortisti e poi
la visita a Emma Bonino, o in ordine all’omosessualità il “chi sono io per
giudicare?” e poi l’uso del termine frociaggine. Così il suo pontificato non è
riuscito a tradurre in nessun atto concreto a livello legislativo il desiderio
e talora l’impeto del rinnovamento.
Il risultato è quello davanti ai nostri occhi: una Chiesa
cattolica divisa, “sfrangiata” la descrive il cardinal Ravasi (Corriere della Sera del 23 aprile scorso),
nella quale i progressisti sono scontenti perché le riforme non sono arrivate e
i conservatori sono scontenti per il fatto che di queste riforme si parli.
Mi viene in mente il celebre passo dei “Promessi sposi” in
cui il Gran Cancelliere spagnolo alle prese con la folla inferocita si rivolge
al cocchiere: “Adelante, Pedro, con juicio”. Penso che la Chiesa abbia bisogno
di un Papa che la conduca “adelante” e non indietro, ma che lo faccia con più
“juicio” rispetto a papa Francesco: meno protagonismo e più collegialità, meno
picconate alla curia e più incoraggiamento, meno proclami e più nomine
ponderate, meno volontà di stupire e più rispetto della tradizione (è
inammissibile, per esempio, che diocesi come Parigi, Berlino, Vienna,
Bruxelles, Lisbona e tra le italiane Milano e Venezia, non siano rappresentate
al conclave perché Francesco non ha nominato cardinali i rispettivi
arcivescovi). Si tratta però, tutto sommato, di questioni secondarie. La vera
questione è la direzione complessiva, se “adelante” o se indietro. Tornando a
Newton, egli spiegava: “Se qualcuno spinge una pietra col dito, anche il suo
dito viene spinto dalla pietra”. Noi presto vedremo quale sarà la spinta che
vincerà il conclave: se l’azione del dito o la reazione della pietra.
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