- di Franco Vaccari
Non lasciate che resti solo un tema da omelie domenicali.
È troppo tardi per essere prudenti e troppo presto per essere
rassegnati...
L’interesse del mondo per chi sarà il successore di papa
Francesco è, in fondo, un buon segno.
Le preghiere silenziose delle comunità claustrali si
mescolano alle simpatiche scommesse da bar, al mormorio curioso del popolo di
Dio, alla buona attesa della gente di Roma e oltre.
Ma accanto a questo spirito autentico, ci sono anche il
chiacchiericcio, le pressioni, i messaggi in codice destinati a “chi deve
capire”, le lobby e gli interessi mondani.
E così, il cuore del pontificato rischia – ma non accadrà –
di essere archiviato con leggerezza, banalizzato o ridotto a slogan.
Specialmente riguardo all’impegno per la pace.
Si sente dire: “Francesco aveva un debole per la pace”
oppure: “Che cosa volevate che dicesse?
Ha semplicemente fatto il Papa”. Affermazioni che sembrano
innocue, ma che in realtà disinnescano la portata rivoluzionaria di un
ministero.
No, il Papa non ha avuto “un pallino” per la pace.
Il Papa – ogni Papa, e quindi anche Francesco – incarna una
parola che viene dal Vangelo, lo fa come uomo e come capo di una comunità
umano-divina.
Non si tratta di un’opinione personale né di un’idea
pastorale un po’ troppo insistente: la pace è il cuore stesso del Vangelo.
È una memoria viva della storia della Chiesa.
Papa Francesco ha semplicemente raccolto una fiaccola che
altri prima di lui hanno tenuto accesa.
San Giovanni XXIII lo scrisse nella Pacem in terris,
rivolgendosi a «tutti gli uomini di buona volontà». San Paolo VI gridò all’Onu:
«Mai più la guerra!».
San Giovanni Paolo II camminò tra le macerie con la croce in
mano, e Benedetto XVI ricordò che non c’è pace senza verità e giustizia,
iniziando dalla Chiesa.
Francesco ha tolto il punto esclamativo e ha messo i piedi
nel fango: Ucraina, Terra Santa, Sudan, Mediterraneo.
E ora ci guarda – sì, ci guarda – e ci chiede una cosa sola:
non archiviate la pace.
Non tacete.
Non lasciate che resti solo un tema da omelie domenicali.
È troppo tardi per essere prudenti e troppo presto per essere
rassegnati.
Da una parte c’è chi liquida questa insistenza come una
“fissazione” ecclesiale, perché “c’è tanto altro da fare”.
Dall’altra, chi la vanifica dicendo, appunto: “Francesco non
faceva nient’altro che il Papa, non ha poteri, non è un capo di Stato,
facile!”.
Fare il Papa: in certe accezioni fuorvianti potrebbe sembrare
un mestiere, tant’è che si candidano anche personaggi con nuovi curriculum
ritenuti idonei.
Due narrazioni che normalizzano la profezia e la degradano a
utopia, mentre si fanno paladine di un “sano realismo” il cui fallimento è
ormai evidente.
Viviamo in un mondo che si occupa di pace solo in funzione
della guerra: quando sta per scoppiare (per armarsi), quando è scoppiata (come
invocazione sterile), quando è finita (per dimenticarla).
Voi che fareste?
E poi ci chiede con cinismo: “E voi, che fareste?”.
La risposta è disarmante: faremmo – anzi, cerchiamo di fare –
quello che ogni giorno ha ripetuto quel “fissato” di Papa Francesco, e prima di
lui, quei “fissati” dei suoi predecessori.
Relegare le parole e i gesti dei Papi sulla pace a livello
spirituale, come una gentile ovvietà, svuota la forza dirompente del Vangelo,
riducendolo a una religione civile. Ma il Vangelo è ben altro: è l’anima
dell’umano, in ogni suo aspetto – civile, economico, politico – e chiede conto
a ciascuno di essere incarnato con coerenza nel proprio operato.
E questo Vangelo, proprio perché vivo, sovverte.
Sia dentro che fuori la Chiesa. Gesù stesso ha rotto gli
schemi del “dentro” e del “fuori”, mangiando con i peccatori, parlando con i
samaritani, guarendo di sabato, riconoscendo miracoli “non autorizzati”.
Ma, nonostante tutto, non ha rinunciato agli apostoli: li ha
voluti con sé, a patto che il loro potere fosse servizio, non dominio.
La pace messianica comincia da lì: dal modo in cui si vivono
le relazioni dentro la Chiesa, per poi dilagare nel mondo.
E interpella ciascuno – dall’ultimo nato ai vertici delle
istituzioni – con la domanda più semplice e più radicale: con chi stai?
Con Erode, con Pilato, con Barabba?
O con Cristo?
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