DISARMATA, DISARMANTE,
UMILE, PERSEVERANTE
Alessandro D’Avenia
Pace è la parola con cui Leone XIV ha inaugurato il suo pontificato, non è
un’utopia o un progetto politico, ma l’essenza della fede. È
la pace che Cristo prima promette ai suoi discepoli «Vi lascio la pace: è la
mia pace che vi dono. Non ve la dono come fa il mondo. Non si turbi il vostro
cuore e non si spaventi» (Gv 14, 27); e che dopo regala loro, una volta
risorto, con un soffio, «mentre erano chiuse le porte del luogo dove si
trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo a loro
e disse: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i
discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi!
Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Detto questo, alitò su di loro
e disse: “Ricevete lo Spirito Santo”» (Gv 20,19-22).
Questa pace, disarmata e disarmante, umile e perseverante,
come l’ha definita il papa, non è un’ideologia o un idealismo, ma la descrizione
della vita di Cristo data a chi la vuole, qui e ora: così come Dio crea l’umano
soffiando su di lui “plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue
narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” (Gn 2,7), allo
stesso modo Cristo lo ri-crea con un soffio, lo Spirito che dona e diffonde
questa pace, che è il marchio di garanzia del vangelo. Ma che cosa è questa
pace? Perché è diversa da quella del mondo?
Cristo specifica che la sua è una pace diversa da quella che
può dare il mondo. Quest’ultima, come mostra l’antica radice pag-, indicava il
legare due parti mediante un “pac-tum”, patto (della stessa radice rimane forse
traccia anche nel nostro “pagare”, nel senso di essere alla pari), ed è frutto
di compromessi. Per gli antichi Romani infatti lo stato di guerra era lo stato
naturale dei rapporti con i popoli stranieri, a meno che non si sancissero
patti per regolarli (ogni politica imperiale detta rapporti di forza, ieri come
oggi).
La cosiddetta “pax romana” era l’interruzione dello stato di
guerra permanente, un equilibrio imposto dal più forte, finché lo è stato...
Quando Cristo dice “pace a voi”, in latino “pax vobis”, non impone un rapporto
di forza del divino sull’umano, un accordo tra parti in guerra, ma crea la
nuova condizione in cui umano e divino sono una cosa sola. Infatti
nell’originale greco la frase suona “Εἰρήνη ὑμῖν” (eirene hymin), dove la
parola “pace” non indica “patto” (si usava un’altra parola) ma uno stato dell’essere,
non usa un termine giuridico o diplomatico, ma la condizione di chi è in
relazione armonica con se stesso, con le cose, con gli altri, perché ha in sé
la vita di Dio, che è Amore.
Eirene era la parola greca più vicina all’ebraico “Shalom”,
saluto usato dai popoli semitici che però, nel discorso del risorto, non è un
mero augurio ma un dato di fatto: felicità, gioia, pienezza, integrità,
salvezza, qui e ora, e sempre. Cristo offre ai suoi, soffiando lo Spirito, una
condizione nuova, in cui ognuno può, se lo vuole, fiorire, perché l’ostacolo
alla felicità - il male con tutte le sue manifestazioni (morte, dolore, paura,
violenza...) - non avrà mai la meglio (“Il male non prevarrà” ha detto Leone XIV, e non per consolare i fedeli con promesse di
marketing, ma per ricordare loro come stanno le cose sul piano della fede). La
pace che Cristo “soffia” nei suoi è quindi cosa ben diversa da quella incerta
del mondo, non è il benessere mentale o materiale, o un equilibrio provvisorio
imposto dal più forte, ma un modo di vivere nuovo: per amore e per amare.
Che nel mondo questa pace ci sia o meno dipende proprio dai
cristiani, perché questo è il dono e il compito che hanno ricevuto, come accade
a due che si amano: mettono su casa, ampliano la vita che hanno in loro. Questa
pace, narrata in forma di soffio e quindi non di imposizione, deve però essere
prima e ogni giorno accolta, solo così produce anche soggettivamente quello che
è oggettivamente (un regalo non è tale se non lo scarto, la grazia non la
ricevo se non la voglio). Questa pace è quindi uno stato a monte di qualsiasi
progetto o impegno, che ne sono poi la logica conseguenza. La pace è disarmata
e disarmante, umile e perseverante perché così è Cristo, se c’è Cristo in noi,
c’è questo modo di essere: «Chi crede in me compirà le opere che io compio e ne
farà di più grandi» (Gv 14,12), parole che prese sul serio riempirebbero le
chiese.
Il papa sta quindi ricordando ai cristiani non un
progetto, non un programma, non un’utopia, non un’etichetta, non un’ideologia,
per cui impegnarsi, ma chi loro stessi sono per grazia ricevuta e chi possono
essere sempre più, per libera scelta. Questo modo di essere non li differenzia
in nulla dagli altri, hanno gli stessi difetti e pregi, fortune e sfortune,
limiti e talenti, cadute e successi, ma il tutto con una gioia e un’assenza di
paura che non è, appunto, di questo mondo, cioè spiegabile con le sole forze umane.
È come quando mia madre (auguri alla mia e a tutte le madri
per la festa di ieri) fa una torta che anche io saprei fare, perché gli
ingredienti sono quelli, ma la sua è sempre di un altro livello: «Che cosa ci
hai messo? Qual è il segreto?». Come far sì quindi che si dia questa pace
disarmata e disarmante, umile e perseverante? Lo spiega Cristo in un altro
testo la cui potenza è stata ridimensionata: «Avete inteso che fu detto: Occhio
per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se
uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol
portare in tribunale per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se
uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due... Avete inteso che
fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate
i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siete figli del
Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i
buoni, fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti» (Mt 5, 38 ss). Queste
parole, pronunciate nel contesto del “Discorso della montagna”, sono spesso
ritenute un idealismo a cui tendere, ma comunque irraggiungibile.
Cristo però non sta invitando a farsi prendere a schiaffi, ma
sta descrivendo che cosa accade a chi crede in lui e riceve quindi la sua
vita/pace: disinnesca la violenza sul nascere, è disarmato e quindi disarma.
L’oggetto di un litigio è quasi sempre insignificante, ma diventa guerra
proprio perché non si è stati capaci di disobbedire alla “violenza iniziale”,
che poi provoca l’escalation a livello micro e macro. Noi non litighiamo a
causa di qualcosa, ma usiamo qualcosa come pretesto per litigare.
Abbandonare l’oggetto della contesa (nella metafora la
guancia, la tunica, il miglio...) sovverte la logica mondana dell’occhio per
occhio dente per dente.
Cristo legge la violenza come un contagio, e così anche
l’amore, che infatti soffia. Per questo papa Francesco diceva di non andare mai a dormire
senza chiedersi “scusa” e senza una carezza, perché solo questo interrompe
l’escalation che l’indomani non avrà energie per crescere. Ci capita quando
qualcuno ci insulta nel traffico, se rispondiamo inneschiamo la guerra, una
guerra sul nulla (i tre secondi che l’altro pensa di aver perso a causa nostra,
tre secondi per fare cosa?), se invece sorridiamo, tutto si sgonfia:
«Disarmante!».
In ogni ambito è così, anche per le attuali guerre, al fondo
delle quali ci sono “terre” che potevano e dovevano essere divise ma che
proprio la violenza ora ha reso indivisibili, con reazioni fuori da ogni
legittima difesa, pagate per lo più da innocenti. Le parole di Cristo non sono
quindi un invito alla passività, a farsi maltrattare, ma a un’azione molto più
coraggiosa, intelligente e duratura: smascherare la violenza, rendendola
insignificante quando si è ancora in tempo, mostrare subito il nulla per cui si
arriverebbe a sentirsi “giustificati” nel distruggere la vita dell’altro.
Qualcosa che oggi i potenti della terra non sanno e non
vogliono fare, al contrario di molta gente della strada. Questo è ciò che il
nuovo Papa ha chiesto ai cristiani, di cui è guida e servo
(«con voi cristiano, per voi vescovo» ha detto con parole di Agostino):
riportare la vita di Cristo, cioè la pace, nel mondo.
Questa è una pace da Leone!
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Disarmiamo le parole per disarmare la Terra
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