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di Giuseppe Savagnone
Un progetto ambizioso
«Il mio obiettivo» – ha detto Giorgia Meloni al presidente
americano Trump, durante la sua visita alla Casa Bianca dello scorso 17 aprile
– «è rendere di nuovo grande l’Occidente e penso che possiamo farlo insieme»,
precisando: «Quando parlo di Occidente non parlo di uno spazio geografico,
parlo di una civiltà, e io voglio rendere più forte questa civiltà» .
L’idea non è nuova: «Rendiamo di nuovo grande l’Occidente!»,
aveva già scritto, a novembre, in un post su Instagram, un altro leader della
destra, Matteo Salvini, anche lui fervido ammiratore di Trump e
convinto che solo insieme a lui e puntando sulla sua politica sia possibile
realizzare questo ambizioso progetto.
A breve distanza di tempo, il 3 maggio, il noto storico e
opinionista Galli della Loggia, sul «Corriere della Sera», ha pubblicato un
editoriale dal titolo «La rinascita contestata dell’idea di Occidente».
Nessun riferimento alle parole della Meloni, anzi il pensiero dell’autore è
palesemente rivolto alle polemiche suscitate dalle «Nuove Indicazioni
Nazionali» – recentemente emanate dal ministero della Pubblica Istruzione e del
Merito e da lui coordinate nella sottosezione storica – in cui la superiorità
dell’Occidente sulle altre culture viene decisamente affermata.
Ma la continuità con il discorso della nostra premier, al di
là delle intenzioni, è oggettiva ed evidente. Anche Galli, infatti, parla
non di un’area geografica, ma di una civiltà. Ed è riferendosi ad essa che, a
suo avviso, «oggi ritorna prepotentemente sulla scena la categoria di
Occidente».
La svalutazione dell’identità occidentale
Anche se, osserva lo storico, «alla parte dura e pura del
pensiero progressista e a un certo cattolicesimo l’Occidente non piace». Di
esso si parla solo per denunziarne «le malefatte», le prevaricazioni passate
nei confronti degli altri popoli e delle altre culture, misconoscendo la
ricchezza e la fecondità dei valori che esso ha elaborato e proposto. E cita,
come esempio di questa peculiarità positiva, la «Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino».
Da questa rimozione del nostro patrimonio valoriale deriva, a
suo avviso, lo smarrimento della nostra identità, in questo momento storico.
«Mi chiedo», scrive Galli, «fino a che punto i progressisti si rendano conto
che su questo terreno si gioca una partita che, ben prima ancora di riguardare
il nostro rapporto con gli altri (…), riguarda invece direttamente noi stessi.
Perché in realtà la questione del passato riguarda il legame sociale che tiene
insieme la collettività (…), la base del consenso delle nostre democrazie».
C’è molto di vero in queste parole. Emblematico, anche se non
se ne parla nell’articolo, l’acceso dibattito, nel 2004, sulla
opportunità di inserire, nel preambolo della Costituzione europea un
riferimento alle «radici cristiane dell’Europa», che evidenziò l’allergia di
tanti “progressisti” nei confronti non solo del riconoscimento di un dato
storico innegabile, ma anche di qualsiasi valorizzazione del patrimonio di
valori umani che nel cristianesimo è implicito.
Quanto fosse difficile riempire questo vuoto lo dimostra il
fatto che non è stato finora riempito. Con il risultato che oggi tutti vediamo:
un’Europa incapace di andare oltre l’unificazione economica, perché priva di
qualunque motivazione ideale che, in nome di un bene comune condiviso, possa
giustificare il superamento degli egoismi nazionalistici.
Senza dire che, anche all’interno dei singoli paesi, la
scristianizzazione dilagante ha dato luogo a una trionfante cultura
individualistica, che dissolve le forme comunitarie e riproduce nelle relazioni
tra le persone la logica del mercato capitalistico, fondata sul do
ut des e sulla libertà di rescissione dei contratti: «Stiamo insieme
finché stiamo bene insieme». L’economia anche qui ha sostituito l’etica.
Il problema dei diritti umani
Ciò che balza agli occhi, però, nel discorso di Galli della
Loggia, è il suo silenzio sulla prospettiva di rilancio dell’Occidente
ricorrente, come si è visto, da parte degli esponenti della destra italiana e
formulata pochi giorni prima dalla nostra premier, a cui – che egli lo volesse
o no – il suo articolo fornisce un autorevole puntello culturale. Tanto più
che, attribuendo univocamente ai “progressisti” la responsabilità di avere
offuscato questa idea, egli ha implicitamente avallato la sua rivendicazione
da parte delle destre.
Ma – ferma restando la tendenza di una diffusa cultura a
svalutare la categoria dell’Occidente – , davvero sono loro a poterlo «rendere
di nuovo grande»? E’ proprio l’esempio della «Dichiarazione dei diritti»
come emblema della civiltà occidentale a fornire una risposta
chiara e netta in senso negativo.
Perché ciò che accomuna Meloni e Trump – un tandem ormai
consacrato da un rapporto di sintonia che entrambi hanno definito
«privilegiato» – è precisamente l’esplicita subordinazione del rispetto
dei diritti umani agli interessi dei rispettivi Stati. La loro logica
sovranista comporta che questo obiettivo sia primario rispetto a qualunque
principio morale e giuridico, rendendoli entrambi sordi ad ogni
appello etico-religioso – come quelli loro rivolti da papa Francesco – e
insofferenti di fronte ai limiti posti dalla magistratura, sia nei rispettivi
paesi che a livello internazionale.
Il banco di prova più evidente è quello delle politiche
migratorie. Alla «difesa dei confini» Meloni ha dato fin dall’inizio del
suo governo un ruolo centrale, rendendo sempre più difficile l’opera di
salvataggio in mare dei migranti da parte delle navi delle ONG e finanziando i
campi di concentramento in paesi noncuranti dei diritti umani, come
la Libia e la Tunisia, dove essi sono oggetto di ogni sorta di violenze.
In questa logica ha varato il progetto di campi di
detenzione in Albania, fallimentare sul piano funzionale ed economico, ma
perfettamente riuscito sul piano dell’immagine, come modello per un’Europa
che cerca di mascherare i suoi vuoti e la sua fragilità alzando barriere
verso l’esterno.
Su scala ben più grande, Trump sta perseguendo la stessa
linea. Frontiere blindate per i poveri e più di undici milioni di persone
travolte dalla «più grande operazione di deportazione di massa della storia».
Anche qui con violenze inaudite, tra cui il trasferimento in catene nella
prigione di El Salvador (soprannominata «il carcere più pericoloso del mondo»)
di persone accusate – ma senza alcun processo! – di far parte di una banda
criminale.
Entrambi i leader fanno di questa politica, contraria ai più
elementari diritti umani, un fiore all’occhiello, da ostentare con fierezza di
fronte ai loro elettori, vantandosi così di rispettare le loro promesse di fare
gli interessi dei propri connazionali, all’insegna di slogan come «Prima gli
italiani!» e «First America!» .
La divisione dei poteri e il rispetto della legge
Da qui anche la difficoltà del duo Trump-Meloni, di
rispettare un altro principio fondamentale della civiltà occidentale, quello
per cui il potere è limitato dal diritto e chi lo esercita deve fare i
conti con organi di controllo che non dipendono dalla sua giurisdizione.
È la grande conquista della separazione dei poteri, che ha
reso possibile l’instaurazione dello Stato di diritto, in cui la legge prevale
sulla forza.
Basta leggere i giornali per sapere che lo scontro con la
magistratura caratterizza la storia del governo di destra italiano fin dai suoi
primi passi e si è riprodotto identico negli Stati Uniti dopo l’avvento di
Trump.
Dove ciò che colpisce sono lo stupore e l’indignazione dei
rispettivi leader e del loro entourage di fronte a sentenze che
contrastano i loro progetti e che essi avvertono sinceramente come un
inaccettabile sabotaggio.
L’avversione nei confronti della magistratura ha accomunato
Trump e Meloni anche a livello internazionale. Il problema di fondo è,
stato ancora una volta, il rispetto dei diritti umani, in nome dei quali
la Corte Penale Internazionale – davanti all’embargo israeliano che ha privato
dei mezzi di sopravvivenza due milioni di palestinesi, per la maggior parte
donne e bambini – nel novembre 2024 ha condannato il premier
israeliano Netanyahu per «crimini contro l’umanità».
Una sentenza che ha provocato da parte di Trump, alleato
strettissimo di Netanyahu, sanzioni nei confronti della Corte. E, quando l’ONU
e l’Unione Europea hanno protestato ufficialmente per questo attacco a un
organo giudiziario istituito per garantire il diritto internazionale, il
governo italiano si è rifiutato di unirsi alla protesta, dando così il proprio
avallo a presidente americano e, implicitamente, al premier israeliano.
I nemici dell’Occidente
No, i nemici dell’Occidente non sono solo i
“progressisti” di cui parla Galli della Loggia. Ancora più pericolosi sono
coloro che oggi – sull’onda della deriva che sta portando gli elettori, su
entrambe le sponde dell’Atlantico, ad appoggiare politiche miopemente
nazionaliste (fino al ritorno di forme di nazismo, in Germania) – pretendono di
ridefinire la civiltà occidentale secondo princìpi che sono agli antipodi
della sua storia, ispirata, piaccia o no ai “progressisti”, dalla visione
cristiana del primato della persona e della fraternità senza confini.
Non sono Donald Trump né Giorgia Meloni (per non parlare
di Savini) che possono restituire all’Occidente la sua anima. Meno che meno
quella cristiana.
Anche le loro ostentate professioni di cristianesimo – Trump
ha istituito per la prima volta un Ufficio della fede, guidato da una
telepredicatrice; Meloni continua a proclamarsi cristiana e si detta
guidata dai consigli di papa Francesco; Salvini si è presentato ai comizi con
vangelo e rosario in mano – hanno avuto solo l’effetto di evidenziare
ulteriormente che i loro progetti, misconoscendo la dignità delle persone,
non hanno nulla a che vedere con il Dio cristiano, che si è fatto uomo ed è
presente in ogni essere umano .
Per rendere di nuovo grande l’Occidente occorre una
rivoluzione culturale e spirituale che, sia o no ispirata esplicitamente
al vangelo, ne raccolga l’idea che gli uomini e le donne sono sacri e devono
essere rispettati quali che siano la loro nazione, la loro razza, la loro
cultura.
È il contrario di ciò che i partiti sovranisti oggi
trionfanti affermano quando esaltano l’Occidente. Quanto a noi, anche se non
possiamo fermarli, abbiamo il diritto e il dovere di ricordare che quello di
cui parlano è solo una tragica caricatura.
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